Figli e figliastri per i rimborsi in banca
Le quattro banche risolte a fine 2015, il Monte dei Paschi, le due Popolari venete: ogni volta è stato deciso un ristoro diverso, e con un differente approccio per azionisti e obbligazionisti. L’unica certezza è che pagano i contribuenti. Un «pasticcio» s
VL’ANALISI edremo come evolverà l’esame parlamentare del decreto legge salva banche. Urgono modifiche, da recepire nel successivo decreto ministeriale in cui si metteranno nero su bianco molti dettagli mancanti dell’intervento pubblico sul Monte dei Paschi. Sono necessarie. E non stiamo parlando del tema che oggi va per la maggiore: cioè la lista pubblica dei maggiori creditori insolventi delle banche, richiesta dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. Già sappiamo dalla centrale rischi che, su un totale di 1,3 milioni di «clienti problematici» delle banche, sono 5.784 ad aver generato da soli 65,5 miliardi di sofferenze su un totale di 199. E quelle poche migliaia sono tutti clienti che hanno avuto affidamenti superiori ai 5 milioni, cioè tutte medie, grandi e grandissime imprese, industriali e finanziarie. Non artigiani e commercianti truffaldini, ma grandi soggetti a cui il credito è stato concesso evidentemente per ragioni spesso relazionali e non di merito: il che configura responsabilità della banca che glieli ha dati.
Ma quel che conta di più è chiarire come e se lo Stato utilizzerà i soldi dei contribuenti aggravando le disparità di trattamento. Perché azionisti e obbligazionisti delle quattro banche risolte a novembre 2015, delle due banche venete oggi affidate alle cure di Atlante, e di Mps (da quel che si è capito sinora) sono trattati in maniera molto diversa. E la decisione è tutta italiana, non dell’Europa.
Certo, i tre sottoinsieme di banche su cui si è intervenuti sono diversi. Etruria, Chieti, Marche, Ferrara erano avviate a risoluzione. Le due popolari non quotate venete – Vicenza e Veneto – erano e sono solvibili, ma solo a patto di un pesantissimo aiuto di sistema delle altre banche, e con un azzeramento di valore per i soci pari a circa 10 miliardi. Mps è solvibile anch’essa, ma ha bisogno dello Stato perché la sua ricapitalizzazione precauzionale non ha visto disponibile nessun grande privato. Ma per ragioni di elementare equità i criteri seguiti per azionisti e obbligazionisti avrebbero dovuto essere comuni.
Invece no. La mannaia è stata totale per le quattro banche del 2015, con una prima variante. Gli obbligazionisti retail ammessi a ristoro pubblico non sono stati quelli «raggirati» dalla banca secondo la definizione Mifid, bensì si è identificato un diverso doppio canale, per soglia di reddito e patrimonio, e per chi volesse seguire la via di un arbitrato. Per le venete, a 175 mila azionisti su oltre 200 mila «pelati» si propone una via privatistica di recupero poco sopra o sotto il 15 per cento del valore di acquisto. Per Siena, il decreto legge vara una terza definizione di obbligazionisti da ristorare col denaro pubblico. Non più per soglia di reddito-patrimonio o con arbitrato come nelle quattro risolte, ma per tipo di obbligazione subordinata, proponendo una conversione in azioni al 75 per cento per i supposti investitori istituzionali sottoscrittori di bond subordinati Tier 1, e al 100 per cento per i supposti piccoli risparmiatori titolari di Tier 2. Senonché non è affatto vero che gli istituzionali abbiano solo Tier1, né che solo i retail abbiano solo Tier 2. Né tanto meno si capisce perché convertire al 100 o al 75 chi ha comprato sul mercato obbligazioni che valevano 50 rispetto al 100 di nominale, il che sarebbe un bel regalo. Come un bel regalino è anche quello previsto dal decreto per i vecchi azionisti, diluiti sì, ma non azzerati integralmente come avvenuto invece nelle quattro banche.