Ei giudici vollero sostituirsi ai politici
«Craxi non può essere schiacciato in un dibattito tra innocentisti e colpevolisti perché seppe interpretare la società italiana meglio di altri». Luciano Violante rilegge senza riserve Mani pulite. Con la critica severa ai magistrati, un tributo alle vitt
Il violante del dogma. L’ex presidente della Camera, già magistrato comunista mai toga rossa, «piccolo Vishinsky» nelle parole di Francesco Cossiga, su Tangentopoli ha detto e scritto in abbondanza. Per esempio, il 3 agosto 1993, sulle colonne de L’Unità Luciano Violante riteneva che fosse doveroso «vietare ai magistrati, con adeguate sanzioni disciplinari, di dare interviste o rilasciare dichiarazioni sui procedimenti a loro affidati; il magistrato ha gli stessi diritti di qualsiasi cittadino tranne che in relazione agli specifici processi che sta conducendo: in quella materia deve parlare soltanto con i propri atti, non attraverso i telegiornali». Per amore di chiarezza proseguiva così: «Il magistrato non persegue finalità politiche come l’abbattimento del sistema politico. Questo può diventare un effetto della sua azione, ma non può costituirne il motivo ispiratore». A distanza di 25 anni dall’arresto di Mario Chiesa, si torna a parlare dell’inchiesta che terremotò il panorama politico italiano. «Tangentopoli si è fondata su un grande equivoco» dice Violante a Panorama. «Non spetta alla magistratura estirpare fenomeni sociali sebbene si sia incaricata di farlo, nell’ordine, contro terrorismo, mafia e corruzione. I magistrati devono individuare e processare i terroristi, i mafiosi e i corrotti. Sono due prospettive opposte».
Il sindaco di Milano Beppe Sala ha aperto alla possibilità di intestare un luogo pubblico al leader socialista Bettino Craxi.
Il rischio di queste sortite è che si traducano in iniziative estemporanee foriere di aspre polemiche e nessun risultato. Schiacciare Craxi in un’arena tra innocentisti e colpevolisti non esaurisce la capacità dell’uomo politico. Pongo da lungo tempo la necessità
di una riflessione pacata e seria su una figura che non si può ridurre alla vicenda giudiziaria. Non c’è dubbio che in quegli anni il partito socialista guidato da Craxi sia riuscito a comprendere e a interpretare i movimenti della società italiana meglio di ogni altro. Agli inizi degli anni Duemila, alla Camera, lei finì sotto il fuoco di fila dei suoi stessi colleghi per aver sollevato l’ipotesi di una commissione d’inchiesta su Tangentopoli. In realtà io esprimevo la disponibilità a un approfondimento sull’inchiesta e i suoi effetti, si sarebbe potuto assegnare a una commissione già esistente il compito di svolgere un’indagine conoscitiva. Il centrodestra presentò una proposta che poneva l’accento soltanto sugli abusi delle toghe in modo da imbastire una sorta di controprocesso in Parlamento. Alla fine non se ne fece nulla. Tra gli eccessi di Tangentopoli primeggiano le manette preventive come mezzo per estorcere confessioni e sfibrare l’indagato nello spirito e nel corpo. C’è chi si è arreso spegnendosi da innocente dietro le sbarre. In aula ai miei allievi propongo sempre, a ogni corso, la lettura di due lettere fondamentali per comprendere quale onere assume su di sé chi sceglie di studiare il diritto e magari, un giorno, di indossare la toga. La prima la scrisse, prima di suicidarsi in cella, il deputato socialista Sergio Moroni il quale cita il «grande velo di ipocrisia» che ha coperto per anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. Nella missiva indirizzata all’allora presidente della Camera Giorgio Napolitano, il parlamentare denunciava «la propensione allo sciacallaggio di soggetti politici che, ricercando un utile meschino, dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori» . La seconda epistola appartiene al presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, da San Vittore la spedì alla famiglia prima del suicidio, il 20 luglio del 1993. A 67 anni si domanda quali siano le esigenze cautelari che da quattro mesi lo trattengono in galera e dice testualmente: «La criminalizzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi magistrati, anche a Milano, ha messo fuori gioco soltanto alcuni di noi, abbandonandoci alla gogna e al rancore dell’opinione pubblica. La mano pesante, squilibrata e ingiusta dei giudici ha fatto il resto. Ci trattano veramente come non-persone, come cani ricacciati ogni volta al canile» . Vengono i brividi. In Italia certi magistrati fondano
partiti, in molti fanno politica senza abbandonare la toga.
Antonio Di Pietro e Antonio Ingroia, due magistrati capipartito, sono un’anomalia nazionale, non conosco casi simili all’estero. Quando decisi di candidarmi in Parlamento, mi dimisi dalla magistratura. Penso che Michele Emiliano e Anna Finocchiaro, entrambi in aspettativa, non tornerebbero mai alla funzione giurisdizionale. Mi lasci dire, però, che ci sono pure magistrati non iscritti ad alcun partito, ma non per questo meno faziosi.
Il che non fa dormire sonni tranquilli.
Dalla metà degli anni Settanta si afferma l’idea di una magistratura di scopo che si prefigge un obiettivo e s’impegna per realizzarlo. Così facendo colma il vuoto della politica che abdica al proprio ruolo e delega ai magistrati funzioni che in uno stato democratico non ricadono sotto la competenza di questi ultimi. Il giudice deve applicare le regole secondo un principio di responsabilità, non asservire il diritto al raggiungimento di uno scopo, giusto o sbagliato che sia.
Lei ha scritto che se un tempo dalle inchieste giornalistiche scaturivano quelle giudiziarie, oggi accade l’opposto.
C’è un gigantesco problema di violazione del segreto istruttorio, basta sfogliare i giornali per averne contezza. Durante Tangentopoli, invece, c’era una comunicazione organizzata: i giornalisti s’incontravano a una certa ora al bar per decidere quali notizie far uscire all’indomani affinché nessuno bucasse lo scoop.
Di recente abbiamo assistito alla giustizia in streaming quando, a interrogatorio in corso, due testate hanno pubblicato la notizia della polizza contestata dai pm al sindaco di Roma Virginia Raggi. A proposito, i grillini non sono più i depositari della purezza?
Ho letto le fuoriuscite e sono rimasto perplesso. Com’è possibile che ciò accada? Raggi non deve dimettersi per un avviso di garanzia, semmai per una questione politica. Il M5S è nato sul presupposto della subalternità della politica al potere giudiziario, i grillini hanno invocato le dimissioni degli avversari per molto meno. Spero che i guai giudiziari li portino a una maturazione.
Tra i protagonisti di Tangentopoli c’è Piercamillo Davigo, che oggi presiede l’Anm e regala ai media sortite pirotecniche: ha anche affermato che non esistono innocenti, ma colpevoli non ancora scoperti.
Mi sembra che le correnti abbiano siglato un accordo simile a quello tra Craxi e Ciriaco de Mita. Ora che si avvicina il momento della rotazione Davigo alza il tiro, forse nella speranza di essere riconfermato.