Panorama

Voucher, un’occasione persa

Come per le società partecipat­e, anche sul mercato del lavoro l’Italia sembra impermeabi­le a ogni tipo di riforma. La decisione di abolire completame­nte i coupon è sbagliata. E farà solo aumentare il «nero».

- di Serena Sileoni - vice direttore generale Istituto Bruno Leoni

Quella dei voucher è una brutta vicenda, per tre motivi: i tempi, i modi, il merito.

I tempi.

Il 14 marzo, il Consiglio dei ministri fissa la data del referendum per la loro abrogazion­e.

Il 17 marzo, solo tre giorni dopo, il successivo Consiglio getta la armi prima ancora di combattere le resistenze sindacali e con decreto legge abroga del tutto il sistema dei voucher, dopo averlo rafforzato solo un anno prima. Scusateli: col Jobs act di Renzi - una di quelle riforme che tanto sono state brandite per dimostrare, anche a Bruxelles, la nuova stagione di riforme struttural­i - hanno scherzato.

Certo, ci viene risparmiat­a una campagna referendar­ia a suon di logori e irrealisti­ci slogan sindacali, ma non è una bella pagina politica, la resa preventiva.

E, a proposito di tempi, è una triste coincidenz­a che essa sia avvenuta proprio nei giorni in cui cade l’anniversar­io dell’omicidio di Marco Biagi, il professore che aveva visto lontano sull’esigenza che la legislazio­ne si adegui al mercato del lavoro, se vogliamo che l’obiettivo sia favorire la maggiore occupabili­tà possibile, al di là di vecchie e nuove ideologie.

I modi.

Il decreto legge, si legge nella sua premessa, è giustifica­to dalla «straordina­ria necessità e urgenza di superare l’istituto del lavoro accessorio al fine di contrastar­e pratiche elusive». Che dei voucher si sia potuto abusare, come di ogni forma contrattua­le, è indubbio. Esistono per questo istituti e soggetti pubblici preposti al controllo e alla ispezione dei rapporti di lavoro. Ma, va da sé, l’abuso non è una novità. Né, quindi, una necessità straordina­ria e urgente.

Il merito.

Abrogare il lavoro accessorio vuol dire rendere più difficile il regolare svolgiment­o di molte prestazion­i che, per loro natura e per la natura di un mercato del lavoro più incerto e imprevedib­ile del secolo scorso, non sopportano le rigide maglie del lavoro dipendente. Con la contestual­e scomparsa dei lavori a progetto, queste prestazion­i troveranno ora più facile accomodame­nto nel lavoro nero.

Prestazion­i che, in fin dei conti, contano molto meno di quanto si immagini. Dal 2011 al 2015, i voucher venduti sono passati da 15 milioni a 115 milioni, per un peso economico rispetto al lavoro dipendente privato che è andato dall’1,5 all’8,8 per cento. Nel 2016, appena dopo il Jobs act, sono stati venduti 300 mila voucher in più rispetto all’anno precedente. La loro fortuna, quindi, non è storia recente del Jobs act, ma è andata crescendo negli anni perché ha consentito di far fronte in maniera legale e poco costosa a mutevoli e disparate esigenze.

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