Italia ingrata addio, me n ne vado in Cina
Un imprenditore veneto ha una tecnologia innovativa ma nessuno lo finanzia. Il ministro Calenda gli fa una visita di cortesia. Però sono i cinesi a credere nella sua auto elettrica. Ne vogliono 30 mila all’anno, per cominciare. Peccato che saranno «made i
IIn questo Paese io non investo più, neppure un euro». La frase gli ha fatto male come una coltellata. E la ripete con rabbia, per urlare al mondo in che razza di situazione sta precipitando l’Italia. «La nostra è un’economia che sta morendo, se un imprenditore ti dice una cosa del genere» lamenta Elio Marioni, 70 anni, fondatore della Askoll di Povolaro di Dueville , provincia di Vicenza.
Marioni è il protagonista di una storia che descrive molto bene i tormenti di chi vuole fare innovazione in Italia. Una storia che mostra anche la distanza siderale tra il mondo di chi fa impresa e di chi fa politica. A partire da Matteo Renzi, che va in California a omaggiare Elon Musk, inventore della Tesla e dell’auto elettrica di lusso, ma non risponde a chi, qui da noi, un’auto elettrica low cost la vorrebbe fare e non ci riesce perché non trova nessuno che lo voglia finanziare. Finché non gli stendono tappeti rossi in Cina, dove andrà a produrre per ora 30 mila vetture e poi, chissà, magari 300 mila.
Un’occasione perduta per il nostro Paese.
Non è uno sprovveduto, Marioni. La sua Askoll nasce nel 1978 da un’intuizione che lui definisce rivoluzionaria: la tecnologia sincrona applicata ai motori elettrici. «La tecnologia sincrona offre l’opportunità di sviluppare motori che possono risparmiare oltre il 50 per cento di energia rispetto ai motori elettrici tradizionali» spiegano in azienda. Risultato: oggi la società è il leader mondiale nella produzione di motori elettrici per elettrodomestici: vanta oltre 800 brevetti registrati, fattura 300 milioni di euro, ha 2 mila dipendenti e 11 stabilimenti in giro per il mondo (in Italia, Brasile, Cina, Messico, Romania e Slovacchia). «E debiti irrisori» sottolinea Marioni: «non ho mai fatto il passo più lungo della gamba».
Qualche anno fa, pensando che il mercato degli elettrodomestici non avrà un futuro facile, l’imprenditore veneto decide di diversificare in un settore che considera molto promettente: la mobilità sostenibile. Nel 2015, dopo tre anni di ricerca, sfruttando le conoscenze accumulate nei motori elettrici, la Askoll lancia prima una bici e poi uno scooter a batteria prodotti a Povolaro di Dueville. L’esperimento funziona: «Ora i nostri prodotti sono in testa alle vendite in Italia» sostiene Marioni.
Visto il successo, l’imprenditore si mette a lavorare sul progetto di una vettura elettrica. Il frutto è un’auto che ha un’autonomia di 200 chilometri, può essere ricaricata alla presa di casa, va a 80 chilometri all’ora e costa 10-12 mila euro. «Chi in un anno percorre 6-7 mila chilometri si troverebbe a spendere una cinquantina di euro in elettricità» annuncia Marioni. «Io penso che questa sia l’unica auto elettrica realmente fattibile: è leggera, sicura, non ha bisogno di infrastrutture speciali per essere ricaricata, non richiede manutenzione...». Marioni vorrebbe produrre la sua vettura elettrica, battezzata Elò, in Italia. Ma ha bisogno di finanziamenti: l’investimento richiesto si aggira sui 60-80 milioni. E qui inizia l’inferno. «Ho contattato un centinaio tra banche, fondi di private equity, finanziarie pubbliche, imprenditori. Niente da fare. Nessuno ci ha voluto finanziare. Chi perché non crede più in questo Paese, chi perché vuole rientrare dall’investimento in tempi troppo ristretti rispetto a quelli richiesti da un’operazione nel settore automobilistico». L’Elon Musk vicentino ha scritto pure a Renzi. E Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, è venuto a trovarlo in azienda: «È arrivato con la sua scorta, ha preso appunti su un taccuino che gli abbiamo dato noi perché era senza. E se n’è andato dimenticando il blocco sul tavolo. Non dico altro».
Ora, può anche essere che il progetto
dell’auto elettrica di Marioni sia campato per aria. Ma sta di fatto che, tramite uno degli intermediari che ha contattato lungo la sua via crucis, l’imprenditore è venuto in contatto con un gruppo cinese produttore di batterie e con un soggetto pubblico che rappresenta una regione del grande Paese asiatico: entrambi si sono dimostrati interessati. Del resto, si sa che in Cina il problema dell’inquinamento è molto sentito e Pechino ha fatto dello sviluppo dell’auto elettrica una priorità per ripulire le città inquinate. Lo scorso anno sono state vendute in Cina più di mezzo milione di auto elettriche.
Tra Marioni e i cinesi inizia una lunga trattativa: prima viene firmata una lettera d’intenti, che coinvolge anche il governo cinese; poi, il 17 febbraio scorso, la firma di un secondo documento più stringente, al quale dovrà seguire un contratto definitivo. L’accordo preliminare prevede la realizzazione di uno stabilimento per la produzione di 30 mila vetture. Ma è solo un primo passo: «L’obiettivo potrebbe essere quello di arrivare a 300 mila auto all’anno» spera Marioni. Il quale non rivela i nomi di questi interlocutori, in attesa della firma che metterà fine a una storia, per l’economia italiana, dal finale amaro.