Giacomo il poliedrico
Dopo il ristorante, il bistrot, la pasticceria, la tabaccheria, il caffè e il locale vista Duomo, il mitico ristoratore milanese apre anche una rosticceria. Rigorosamente in via Sottocorno, la strada colonizzata dalla dinastia toscana.
Bianche come il latte sono le mattonelle che decorano i muri, in arrivo dall’Inghilterra. Alle pareti si susseguono campioni di colore, dal carta da zucchero al sabbia. Su per la stretta scala il primo piano si affaccia con un balconcino sul piccolo giardino, dove a fine estate l’uva fragola matura profumatissima. La palazzina in via Sottocorno a Milano è ancora un cantiere, ma sarà presto, in primavera, la nuova destinazione in città firmata Giacomo. La Rosticceria, che servirà cibi semplici come pollo allo spiedo, fagioli di Sorana, torta alla crema, da portar via o consumare sur place. L’ultimo in quel distretto, dove il ristorante da Giacomo, Giacomo Bistrot, la Pasticceria e la Tabaccheria di Giacomo costituiscono già un piccolo impero del gusto (a cui si aggiungono Giacomo Caffè
a Palazzo Reale e il ristorante in Piazza Duomo). «Mancava un locale per il nostro pubblico giovane, più accessibile» spiega Marco Monti, che di tutto questo è l’amministratore «qui proporremo i piatti poveri della tradizione contadina che Giacomo portò con sé a Milano».
Quando Giacomo Bulleri, toscano di Collodi, nel 1958 apre una trattoria in via Donizetti, ha già fatto esperienza a Torino e per poco, sotto le bombe della seconda guerra mondiale, non ci ha lasciato la pelle. All’indirizzo meneghino, tra il tribunale e il conservatorio, accoglie avvocati e musicisti, tra cui anche Maria Callas. Un giorno però, trent’anni dopo, lo stabile che ospita il ristorante viene venduto. Ra ccon tal’ a mm in in strato re :« Ricevemmo una notifica di sfratto, lui non la prese bene; aveva 64 anni e pensò di tornare in Toscana».
Allora, un già famoso architetto, cliente habitué del mezzogiorno, di nome Renzo Mongiardino, si propose: «Ma ve ne andate? Se rimanete in zona ve lo faccio io il locale». La cosa fu presa dapprincipio come una boutade, poi saltò fuori una pizzeria. «Un posto alquanto ordinario, all’angolo di Sottocorno» ricorda Tiziana Bulleri, secondogenita del fondatore che dirige l’azienda (perché tale è diventata e conta oltre 100 dipendenti) con il marito Marco Monti: «Eppure l’architetto guardò in alto e sentenziò: bellissimo». Giacomo non è tuttavia meno preoccupato. Certo, Mongiardino arreda case per aristocratici eu- ropei e fino a New York, ma che ne sa di ristoranti? Inoltre si ostina a presentargli disegni non più grandi di una scatola di sigarette. E invece, nell’autunno del 1989, il locale è lì, come se lì ci fosse sempre stato, con quell’allure inizio Novecento, la boiserie verde reseda e il pavimento antico che par vero. «Le inaugurazioni furono due: la prima con i clienti abituali, l’altra con l’entourage di Mongiardino». Vennero Gianni Versace, Mike Bongiorno, Marta Marzotto, Leonardo Mondadori. Un’altra stagione era iniziata. Nel 2009 aprirà un secondo ristorante dallo charme più notturno proprio lì accanto, il bistrot, progettato questa volta dagli eredi di Mongiardino, Roberto Peregalli e Laura Sartori Rimini, come poi il terzo, nel
2010, annesso al Museo del Novecento all’Arengario: «Nell’edificio di Piero Portaluppi e Giovanni Muzio hanno voluto resuscitare le atmosfere déco degli anni Trenta» racconta ancora Monti. Ogni locale con la sua personalità, così come il menu. In linea generica, si va da Giacomo per il pesce; al Bistrot per la carne; il repertorio dell’Arengario è più internazionale, dalla tartare di tonno con alghe wakame alla cotoletta alla milanese. Da trait-d’union fanno la cucina, attenta alla qualità delle materie prime variate in accordo alla stagione, ricercata ma schietta, il pane sfornato dai loro laboratori e gli strepitosi dessert in arrivo dalla pasticceria diretta da Elena e Giulia, nipoti trentenni di Giacomo: «All’inizio, impastare i dolci accanto a mia madre, a casa, era un modo per stare con lei nel poco tempo che avevamo per vederci» racconta Giulia. «Non le ho mai spinte a seguirci, perché la ristorazione è un lavoro duro» commenta il padre Marco Monti «ma a un
certo punto me le sono ritrovate accanto».
Il nome di Giacomo, così legato alla città di Milano, è volato da tempo oltreoceano, di qui sono passati Henry Kissinger, J.J. Kennedy, Michelle Obama e John Kerry che, nel 2015, con il suo corteo di 20 macchine, bloccò la via Sottocorno per l’intera serata, mentre dentro tutto si svolgeva normalmente.
Giacomo, 91 anni, ogni tanto lo si vede ancora attraversare i suoi locali. Vestito di tutto punto con un dettaglio sgargiante d’inverno, completi chiari d’estate e il cappello, quello sempre, segno di un decoro d’antan oggi spesso rimpianto. «Quando venne Madonna a cena qualche anno fa, fu necessario spiegargli che era la cantante: lui naturalmente aveva un’altra idea di “madonna”» ricorda Monti. Ma poi si presentò al tavolo e fece: «Quindi lei è Madonna?» E allungando la mano: «Molto piacere, io invece sono Giacomo».