Il profeta e le bufale sul web
Proclami vuoti, proposte assurde e irrealizzabili, finta democrazia, tanta demagogia e populismo. Ecco che cos’è il Movimento 5 stelle. Per questo i seguaci di Beppe Grillo sono sempre più isolati.
Immaginatevi un Paese che sia la fotografia, corretta e rivista, di quello uscito dalla fantasia visionaria di George Orwell. Un Paese in cui le leggi vengono comunicate da un blog, che da un momento all’altro le cambia, a suo piacimento. O dove i candidati alle elezioni vengono cancellati e riammessi da un Garante, a seconda delle sue simpatie, antipatie o desideri. Un Paese governato, a secondo dei momenti, dalle convinzioni, dalle fobie, dalle credenze, dalle bufale che viaggiano sul web. Beh, il mondo grillino è questa roba qui.
Il mondo degli onesti, governato da quelli che appaiono disonesti (i tanti Raffaele Marra che si annidano nell’amministrazione della cosa pubblica), perché i primi hanno poca dimestichezza con il governo e sostituiscono la competenza con i proclami vuoti. Un futuro davvero allucinante. Dove l’incapacità di proporre una politica economica credibile si trasforma nell’apoteosi dei propri limiti: per cui chi non ha idee per la crescita, decreta che la decrescita è «felice». Un’esagerazione? Macché! Se si sta appresso a quello che avviene in quel mondo, ciò che si esorcizza come un incubo, in realtà, è la probabile realtà.
Ad esempio, i sacerdoti della democrazia di base, che teorizzano «una testa, un voto», sono quelli che cambiano il risultato delle primarie (le cosiddette comunarde) per il candidato del sindaco di Genova con un comunicato: «Il candidato che avete scelto» è la voce del profeta Grillo che esce fuori dal web «non va bene; fidatevi di me». Oppure la posizione sull’euro calibrata sul momento, dentro o fuori, a seconda dell’aria che tira, fino alla teorizzazione di una «moneta fiscale» che significa niente. O, ancora, i sacerdoti delle «regole», della legalità, lasciano gli spazi in bianco nelle liste per presentare le candidature: le firme, nel loro stile, vengono aggiunte poi, secondo i loro comodi. O, ancora, difendono la Costituzione in un referendum senza conoscerla e se, ad esempio, l’art.66 sulla decadenza di un parlamentare non gli piace (caso Minzolini), lo reinterpretano in modo diverso: almeno Matteo Renzi la Costituzione voleva cambiarla con un voto degli elettori; Beppe Grillo e soci la reinventano come gli pare.
Non bisogna meravigliarsi, quindi, se più si va avanti e più il giudizio degli altri sul movimento è negativo: si passa da chi li considera pericolosi («Grillo sembra la parodia di Hitler», dice il Cav); a chi, come Renzi, gli conduce contro una guerra senza quartiere, mutuandone spesso, però, la demagogia («Sono ignoranti, non sanno quello che dicono»); o a chi, dopo averli corteggiati come
Matteo Salvini, non ne può proprio più («Quelli sono» osserva il leghista Gian Marco Centinaio «degli zulù»). Ma c’è anche chi come Pierluigi Bersani, dopo esserne rimasto bruciato «via stream», persevera nell’errore, facendo arrabbiare i propri compagni di cordata: «Mi sa che Pierluigi» è il commento sarcastico di Massimo D’A
lema dopo l’ennesima apertura a Grillo «è masochista». Sembrerà un paradosso, ma in quel mondo dove si vive all’insegna della democrazia di base e della sobrietà, ciò che manca è proprio la serietà. «Dicono che vogliono le elezioni, che non vogliono le pensioni?» li irretisce l’azzurro Nitto Palma: «Basterebbe che si dimettessero in massa. La verità è che sono solo dei quaquaraquà». n