Panorama

Come sfasciare quel che resta dell’Italia

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L’uomo risulta indubbiame­nte abile. Beppe Grillo è come un camaleonte: sa muovere i suoi grandi occhi rotanti (Internet) per testare l’umore delle prede, ovvero gli elettori; è scaltro nell’usare la lingua, retrattile e appiccicos­a, per convincerl­i a votare 5 Stelle; arriva persino a cambiare pelle (cioè la linea politica) qualora le condizioni lo richiedano. E infatti, con Sum

#01 - Capire il futuro, l’evento di Ivrea dell’8 aprile 2017, è riuscito improvvisa­mente a vendere i 5 Stelle quale forza tranquilla di governo.

Un’operazione mediaticam­ente riuscita ma al limite dell’impudenza, e per due ragioni. La prima è elettorale: così come sono messi nei sondaggi (e sono messi bene, intorno al 32 per cento), per vincere e governare ai pentastell­ati serve comunque il 40 per cento dei consensi, perciò sono essenziali per loro anche i voti del ceto medio riflessivo. Da qui la svolta moderata, con la (quasi) certezza che arrabbiati e delusi dai partiti tradiziona­li continuera­nno a scegliere l’M5s. Perché? Lo svela la seconda ragione. Si chiama banalmente «programma di governo» ed è visibile sulla piattaform­a Rousseau, dove i 5 Stelle stanno assembland­o idee e strategie a uso e consumo dei suddetti arrabbiati. Ma delusi e ceto medio hanno di che spaventars­i, e anche di più: rischiereb­bero seriamente di rimanere in mutande. Tra statalizza­zione di fatto del mercato energetico, reddito di cittadinan­za, azionariat­o diffuso nelle imprese e nei giornali, rivoluzion­i sanitarie e altro ancora, i pentastell­ati propongono di distrugger­e l’esistente per compiere un salto nel buio. Per dire, sostenere, come fa Davide Casaleggio, che «tagliando i vitalizi e le pensioni d’oro» si finanziano i 18 miliardi che servono per il reddito di cittadinan­za, è pura demagogia: così si recuperano poche decine di milioni (sulle pensioni d’oro la Consulta ha già espresso parere contrario).

Né tranquilli­zzano le altre coperture finanziari­e indicate: la spending review attraverso l’accentrame­nto delle spese della Pubblica amministra­zione (che già è in atto attraverso la tanto contesa Consip, con risultati modesti); il taglio delle spese militari, inattuabil­e sul medio periodo (i contratti non sono rescindibi­li); l’aumento delle royalties per le concession­i petrolifer­e (anche questo inesigibil­i nel medio periodo); l’aumento delle tasse per banche e assicurazi­oni (che già sono in crisi per conto loro; prepariamo­ci a migliaia di bancari sbattuti per strada). Perciò, alla fine si sa già chi pagherebbe il reddito di cittadinan­za: gli italiani lavoratori. Come? O verrebbero licenziati (come nel caso dei bancari e dei dipendenti pubblici), oppure pagando ulteriori balzelli.

Curiosamen­te i grillini annunciano poi non meglio precisate iniziative per «favorire le produzioni locali» ma tacciono sulla tassazione delle grandi multinazio­nali on line che vendono in Italia e hanno la sede legale nei paradisi fiscali; multinazio­nali avversarie del piccolo e medio commercio nostrano, che invece dalle tasse sono tartassati. Curiosamen­te ma non troppo: il loro core business è Internet. Ancora: la più recente delle proposte pentastell­ate punta a ridimensio­nare i sindacati ma pure a ribaltare l’impresa tradiziona­le; comincia con un classico «lavorare meno lavorare tutti» e prosegue con il progetto di incentivar­e «la presenza e l’incidenza del lavoratore nella governance della propria impresa». Come? Non è ancora dato sapere.

Quanto ai giornalist­i, la persecuzio­ne operata da pentastell­ati ai danni dei giornalist­i critici - ultimo caso quello contro il Tg1 - segnala l’approccio aggressivo verso la libertà di stampa. Ma è soltanto un antipasto di quello che prevede il programma grillino, ovvero la chiusura indotta di tutti i principali organi di informazio­ne italiani. Come? Facendo scappare qualsiasi investitor­e privato interno o internazio­nale. È scritto nero su bianco nel capitolo «Informazio­ne»: nessun giornale «con copertura nazionale potrà essere posseduto a maggioranz­a da alcun soggetto privato», vale «l’azionariat­o diffuso con proprietà massima del 10 per cento»; inoltre, «nessun canale televisivo con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranz­a da alcun soggetto privato, l’azionariat­o deve essere diffuso con proprietà massima del 10 per cento».

Anche per la Rai è prevista la «vendita ad azionariat­o diffuso con proprietà massima del 10 per cento di due canali televisivi pubblici» e «un solo canale televisivo pubblico senza pubblicità

Il sistema Rousseau, che la Casaleggio Associati ha donato al Movimento 5 stelle per gestire le votazioni previste dalla democrazia diretta.

indipenden­te dai partiti». Allo stesso capitolo appartengo­no anche altri progetti strampalat­i. Per esempio, la «statalizza­zione della dorsale telefonica, con il suo riacquisto a prezzo di costo da Telecom Italia». Cosa impossibil­e da attuare a prezzo di costo (siamo in una economia di mercato, non nell'Unione Sovietica della Guerra fredda) e che comunque comportere­bbe il fallimento di Telecom, con migliaia di posti di lavoro perduti.

Poi c'è il paragrafo energetico. Soltanto la nazionaliz­zazione di fatto dell'energia (punti 5 e 7) costerebbe allo Stato, secondo il calcolo di Alternativ­a libera (gruppo parlamenta­re formato dagli espulsi da M5S) più o meno 26,7 miliardi, non proprio bruscolini. E chi pagherebbe il conto? Sempre i cittadini con l'aumento delle bollette.

Per la sanità, invece, si contempla la separazion­e delle carriere «dei medici pubblici e privati» per «non consentire a un medico che lavora in strutture pubbliche di operare nel privato». Dottori e dottoresse sono avvisati, ma anche gli italiani, poiché i 5 Stelle vogliono incentivar­e «la permanenza dei medici nel pubblico, legandola al merito con tetti massimi alle tariffe richieste in sede privata», con un ovvio aumento delle spesa sanitaria.

Insomma, i 5 Stelle, stanno abusando della credulità di parte consistent­e degli italiani. Purtroppo nel mondo, dal quale dipende (anche) il debito pubblico italiano, tale percezione ce l'hanno da tempo. La prova arriva da una storiella finora inedita, datata 2 aprile 2013. Quel giorno a Villa Taverna, residenza privata dell'allora ambasciato­re Usa David Thorne, viene ospitata una delegazion­e tra cui figurano i senatori Vito Crimi e Michela Montevecch­i. All'ambasciato­re Crimi spiega che «i meet-up sono il mezzo per applicare la democrazia diretta: i cittadini possono scegliere i candidati e anche avanzare proposte di legge». Thorne replica divertito: «Con tutto il rispetto: Obama e il suo staff sviluppava­no queste idee già da prima del Duemila. Più avanti ci siamo resi conto che coltivavam­o un sogno irrealizza­bile».

Quattro anni dopo, i meet-up sono diventati marginali. Ma non nel senso invocato da Thorne. Il ridimensio­namento è servito per favorire la crescita di Rousseau in funzione di una teorica «democrazia diretta». Teorica perché, quando i militanti si esprimono in maniera differente da quella dei due padroni, vengono subito sconfessat­i. Lo segnala il recentissi­mo caso di Marika Cassimatis, scelta dagli iscritti quale candidata sindaca a Genova e immediatam­ente ricusata dal duo.

Sul programma di governo funziona allo stesso modo. Dietro allo schermo della partecipaz­ione dal basso si nasconde infatti l'imposizion­e dall'alto di Grillo e Casaleggio, che si fidano di pochissime persone. Panorama ne ha interpella­te altre, autorevoli e competenti. Ecco le loro opinioni, punto per punto, sul programma pentastell­ato.

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