C’è nessuno là fuori?
Supertelescopi terrestri e spaziali daranno la caccia a pianeti come il nostro. Per capire se la vita esiste anche lì.
Tra meno di dieci anni un nuovo occhio puntato nello spazio darà la caccia a pianeti simili al nostro e alla loro (eventuale) vita aliena. Lo strumento Plato, progettato dall’Agenzia spaziale europea, è appena stato approvato dopo anni di studi. A bordo di un satellite, una piattaforma formata da 24 telescopi scandaglierà il cielo per cercare tra i tanti nuovi pianeti (scoperti a ritmo incalzante: gli ultimi cinque qualche giorno fa, a 12 e 16 anni luce da noi) i gemelli della Terra. Non tanto vicini alla loro stella da arrostire qualunque forma di vita, non troppo lontani da congelarla. Il lancio avverrà nel 2026.
Nel prossimo decennio molti altri osservatori spaziali scruteranno l’universo per rispondere alla domanda «siamo soli?» o ad altri grandi interrogativi della cosmologia. Nel 2018 è previsto il lancio del James Webb Space Telescope, il successore di Hubble. «Il James Webb è una grande avventura che ha rischiato di far implodere i finanziamenti per l’astrofisica della Nasa» dice Patrizia Caraveo, direttore dell’Istituto di astrofisica spaziale e fisica cosmica dell’Inaf a Milano.
Si può capire perché. Lo strumento che sarà inviato a ottobre 2018, a bordo di un razzo Ariane,
è formato da un puzzle di specchi esagonali ripiegati su se stessi, che si apriranno in orbita. Sempre in orbita, a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra, si dispiegerà una tenda grande come un campo da tennis per ripararlo dal Sole e permettergli osservazioni ottimali. Studierà stelle e galassie all’origine dell’universo, e la loro evoluzione.
Poco più di un mese fa, nel deserto di Atacama, Ande cilene, dove ha sede l’European Southern Observatory, è stata posata la prima pietra dell’Elt, Extremely large telescope: con uno specchio di 39 metri sarà il più grande telescopio ottico al mondo e potrà osservare pianeti remoti. Puntato sul sistema solare, offrirebbe incredibili vedute: la superficie di Marte apparirebbe fino al più piccolo sassolino.
Se poi gli alieni avessero una civiltà evoluta, sta per entrare in funzione lo strumento che potrebbe rivelarlo: lo Ska, lo Square Kilometer Array, una rete di antenne collocate tra Sud Africa e Australia. A regime il progetto prevede migliaia di radiotelescopi. Ska potrebbe fornire la pistola fumante sull’esistenza di extraterrestri. «Supponiamo che intorno a una stella a dieci anni luce da noi ci sia una civiltà come la nostra, con un sistema di trasporti basato sul controllo radar. Ska vedrebbe la radiazione emessa da ipotetiche torri di controllo dei loro aeroporti» osserva Caraveo.
Ai nastri di partenza è infine il Cherenkov Telescope Array, altra rete di telescopi tra l’emisfero nord e quello sud, di cui il prototipo è stato testato un mese fa nell’Osservatorio Inaf sull’Etna. A essere rivelati saranno i fenomeni più violenti dell’universo, e magari anche la sua «composizione»: quella materia oscura che sappiamo essere abbondantissima, ma che ancora non si sa di che cosa sia fatta.