SU QUANTI SIMPATIZZANTI PUÒ CONTARE L’ISIS IN EUROPA
I reduci di rientro dalla guerra in Siria e i più esagitati «sotto osservazione» sono qualche migliaio, ma i seguaci delle interpretazioni più estreme dell’Islam, ulteriore brodo di coltura, sono centomila.
Nel 2016 sono state 135 le persone uccise in attentati di matrice jihadista nell’Unione europea, su un totale di 13 attacchi certificati: cinque in Francia, quattro in Belgio e altrettanti in Germania. In questo stesso periodo, secondo Europol, sono 718 le persone arrestate con l’accusa di terrorismo islamista (solo in Francia si è passati dalle 188 nel 2014 alle 429 in 2016). Nel 2017 sono almeno 50, finora, i morti per attentati compiuti tra Londra, Stoccolma, Parigi, Manchester e Barcellona. Mentre continua a crescere il numero di arrestati, il 26 per cento dei quali sono donne, in netto aumento rispetto ai dati del 2015.
Questi numeri possono sembrare contenuti, ma sono rivelatori di una guerra a bassa intensità che la società europea non riesce a frenare, a causa del numero sempre più elevato di potenziali terroristi: solo nel biennio 2014-2016 la violenza di stampo jihadista in Europa ha ucciso più persone (273) che in tutte le epoche precedenti (267). A compiere gli attentati sono stati sia i foreign fighters di ritorno dal conflitto siro-iracheno sia le nuove generazioni di homegrown terrorists: terroristi nati e cresciuti nelle aree grigie dei falliti modelli di multiculturalismo approntati nel secondo novecento nelle metropoli europee.
Un’interessante statistica sul terrorismo dell’Università di Leida rivela come da un lato la tendenza alla pianificazione di attentati di matrice islamista sia cresciuta esponenzialmente dal 2011 a oggi; dall’altro la partecipazione dei foreign fighters all’esecuzione materiale degli attentati sia progressivamente diminuita in favore pro-
prio degli «homegrown terrorists», insieme a un’accresciuta presenza di singoli soggetti e non più soltanto di gruppi organizzati nella progettazione.
Per quanto concerne i foreign fighters rientrati dal teatro di guerra siro-iracheno (dove tra il 2011 e il 2016 si sono riversati ben 42 mila jihadisti provenienti da oltre 120 paesi nel mondo), quelli partiti dall’Europa sono stati 6 mila. Non esclusivamente cittadini europei, ma comunque soggetti che nel continente hanno dimora e spesso famiglia. Di questi, circa 2.500 unità si trovano ancora in Medio Oriente o risultano dispersi (la maggior parte perché caduti in battaglia), mentre secondo il Dipartimento di Stato americano oltre il 30 per cento ha già fatto ritorno. La maggior parte proviene da Francia, Regno Unito e Germania: del migliaio di jihadisti francesi, oggi almeno 210 hanno fatto rientro; mentre degli 850 britannici partiti per la Siria, sono 450 i rientrati; e degli 820 tedeschi risultano rincasati in 280.
In relazione alla popolazione totale sono però Belgio e Svezia a preoccupare di più, rispettivamente con 120 su 278 e 150 su 300 foreign fighters che hanno fatto ritorno, seguiti da Danimarca (70 su 145), Norvegia (40 su 100) e Finlandia (20 su 80). L’Italia, con il suo centinaio di volontari che hanno raggiunto la Siria a partire dal 2014, ne ha registrati soltanto sei di ritorno.
In totale, sono circa 1.750 i foreign fighters a piede libero sul suolo europeo. In definitiva, è un’esigua minoranza rispetto alle grandi masse di sostenitori della Jihad presenti in tutta Europa. I quali, vuoi più vicini ad Al Qaeda vuoi allo Stato Islamico vuoi invece alla Fratellanza Musulmana, si annidano nei grandi agglomerati urbani
dove la popolazione arabo-musulmana è storicamente più concentrata.
In Francia e Germania, dove il numero di stranieri di religione coranica è al vertice delle classifiche europee e dove sono stati accolti più immigrati che altrove, gli estremisti di stretta osservanza wahhabita e salafita (le versioni più radicali dell’Islam) sono in totale 25 mila. Pochi più del Belgio, che ne conta 18 mila di cui 6.500 solo a Bruxelles. Almeno la metà di loro è ritenuta estremamente pericolosa e in grado di attivarsi per compiere un attacco terroristico. Non va meglio nei Balcani, vero crocevia di jihadisti e di reclutatori, dove si trova anche uno dei più grandi terminali del traffico d’armi internazionale e dove però le statistiche si perdono tra Kosovo, Albania, Sangiaccato di Serbia e Macedonia.
Allarmante è poi il caso inglese, dove l’intelligence britannica ha dichiarato di stare attualmente monitorando oltre 3 mila elementi radicalizzati (su un totale di 23 mila) che sarebbero pronti a compiere attacchi nel Regno Unito. Questi elementi si concentrano nelle «Sharia zone», ovvero aree dove la predicazione salafita ha creato veri e propri quartieri islamizzati impenetrabili alle stesse forze dell’ordine e dove la vita viene regolata dalle cosiddette Corti islamiche (veri e propri tribunali alternativi alle leggi dello stato).
Anche Spagna (Catalogna e Paesi Baschi su tutti) e Italia (Liguria e Lombardia) sono terreno fertile per l’espansione dell’estremismo islamista, ma i casi più inquietanti e in proporzione allarmanti oggi si registrano in Nord Europa: Svezia, Norvegia e persino Finlandia, teatro dell’ultimo attentato di matrice islamista.