Panorama

Ma com’è avere un padrone cinese?

Dal 2012 Weichai ha iniettato 500 milioni di risorse nel gruppo nautico Ferretti. E dopo otto anni e 24 nuovi modelli l’azienda è tornata all’utile. Un mix di capitale asiatico e know how tricolore che sta funzionand­o. L’amministra­tore delegato Alberto Ga

- Mikol Belluzzi)

Sa che cosa mi ripetono i nostri azionisti cinesi ogni volta che li incontro? Di continuare a investire in tecnologia e ricerca e sviluppo. Non lo chiedono, lo pretendono». I cinesi di cui parla l’avvocato Alberto Galassi, dal 2014 amministra­tore delegato di Ferretti Group, sono i vertici di Weichai, tra i maggiori gruppi manifattur­ieri del Celeste impero con un fatturato di 20 miliardi di dollari, che nel gennaio 2012 hanno rilevato gli yacht «made in Forlì» colpiti (e quasi affondati) dalla mareggiata della crisi economica e dalle scelte sbagliate delle precedenti proprietà. Da allora Weichai non ha mai smesso di cementare la solidità di Ferretti iniettando 500 milioni di euro, compreso un aumento di capitale da 80 milioni, di cui 50 sono finiti proprio in ricerca e sviluppo. Uno sforzo finanziari­o enorme, che ha portato negli ultimi tre anni al lancio di 24 nuove barche (nove modelli Riva, sei Ferretti, cinque Pershing e quattro Custom Line) e al primo esercizio in utile dopo otto di perdite. Lo scorso anno il valore della produzione del gruppo Ferretti è stato di 562,5 milioni di euro, il 36 per cento in più del 2015, con un utile netto di 14,1 milioni e «nei primi sei mesi di quest’anno i profitti netti sono già balzati a 14,3 milioni, con il 70 per cento del giro d’affari legato a nuovi modelli» aggiunge Galassi. Risultati che mostrano come in questo caso l’innesto di capitali asiatici su know how italiano stia funzionand­o alla perfezione, superando il luogo comune degli investitor­i cinesi più interessat­i alla quantità che alla qualità

e desiderosi soltanto di spostare preziose produzioni in Asia. Nessun «pericolo giallo» per Ferretti? I cinesi non sono stupidi, sanno molto bene che cosa non devono fare. Per questo non entrano mai nel merito del prodotto, ma pretendono solo che non si fermino gli investimen­ti in tecnologia, ricerca e risorse umane. Anche perché chi si occupa del prodotto in Ferretti è già il massimo. La gestione dello sviluppo di nuovi modelli è stata affidata all’ingegner Piero Ferrari (figlio del mitico Drake, ndr) che nel 2016 con la sua holding F Investment­s ha rilevato il 13,2 per cento di Ferretti da Weichai. Difficile avere un partner migliore nel campo dello stile made in Italy. Ma i cinesi avranno qualche difetto… Sicurament­e l’ossessione per il controllo. Le faccio un esempio: ogni 10 del mese vogliono un report molto dettagliat­o sull’attività del mese precedente. E su questo non transigono. Eppure quando Ferretti finì in mani asiatiche, in molti pensarono che l’azienda era arrivata al capolinea. È vero, però mi lasci dire che in quel momento nessun investitor­e italiano si fece avanti, mentre ora in tanti vorrebbero entrare nel capitale di un gruppo risanato che macina utili. Ma non ci sono spazi. Certo, all’inizio avere Weichai come azionista ci ha dato grande credibilit­à e ha spinto le vendite in Asia. Adesso, invece, vendiamo perché siamo noi e siamo bravi in quel che facciamo. Quanto vale per voi il mercato asiatico? Circa il 20 per cento del fatturato, contro il 55 di Europa e Middle East e il 25 delle due Americhe. E prevediamo di crescere ancora anche se le assicuro che l’armatore cinese è un vero osso duro. In che senso? Beh, i cinesi non prendono il sole, è raro che vadano al mare e soprattutt­o non amano navigare. La barca la utilizzano per rappresent­anza, mai per dormirci e spesso al posto della cabina armatorial­e creiamo un grande salone per il karaoke. Alcuni, poi, non vogliono neppure i motori tanto lo yacht non uscirà mai dal porto. Più su misura di così... È per questa creatività che la nautica italiana sta vivendo un momento d’oro. Il mercato cresce a una cifra e noi a due quindi siamo un po’ più bravi degli altri. Detto questo, sono contento perché c’è mare per tutti. Il prossimo 21 settembre aprirà il Salone nautico di Genova, ma Ferretti lo diserterà per la seconda volta. Molti vi criticano per questa scelta esterofila. Questa diatriba su Genova è davvero la cosa più lontana che ci sia dai miei pensieri. Ma stavolta le faccio io una domanda: a che cosa servono le fiere di settore? A trovare nuovi clienti, immagino. Appunto! Ma se a settembre ci sono già gli appuntamen­ti di Montecarlo e Cannes, mi spiega il senso di partecipar­e anche a quello di Genova che non offre né la logistica né la ricettivit­à degli altri due? Però lancio una proposta alle istituzion­i liguri: cambiamo data alla manifestaz­ione e ne riparliamo. Il vostro addio ha bloccato anche l’erogazione di fondi pubblici al Salone. Potrei risponderl­e che di denaro pubblico c’è n’è così poco che andrebbe riservato alle vere emergenze, che sono sotto gli occhi di tutti, e non ai saloni nautici. A proposito di diatribe, è ancora in alto mare l’affaire Fincantier­i-Stx, i cantieri navali francesi che Macron non vuol più vender agli italiani. Che cosa ne pensa? Da italiano mi vergogno di vedere un Paese che scambia il diritto con mere questioni commercial­i. Detto questo, vista la stima che ho per l’a.d. di Fincantier­i Giuseppe Bono gli consiglier­ei di fare un passo indietro e le assicuro che stavolta saranno i francesi a cercarci. (

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Il giro d’affari 2016 di Ferretti è cresciuto del 36 per cento, a 562,5 milioni di euro
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L’avvocato Alberto Galassi, classe 1964, dopo un passato in Piaggio Aero industries, dal 2014 è al vertice di Ferretti.
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