Panorama

Ritratto di famiglia con bestseller

La casa e gli affetti sono un elemento cruciale dietro il successo dell’inventore del commissari­o Ricciardi e dell’ispettore Lojacono. Questa intervista esclusiva e «collettiva», lo dimostra.

- di Carlo Puca - foto di Roberto Salomone per «Panorama»

famiglia

Nell’afa esasperant­e d’agosto,

il Vomero regala ai resilienti al caldo la carezza delicata del vento di tramontana. È una brezza balsamica: d’altronde, già alla fine del 1600, il letterato Carlo Celano stabilì che qui «l’aria è salutifera». Ma il colle di Napoli rimane celebre anzitutto perché nell’antico villaggio di Antignano si manifestò per la prima volta il miracolo di San Gennaro. Fu tra il 413 e il 431, in un’epoca remota e leggendari­a. A distanza di parecchi secoli, un nuovo miracolo, stavolta laico, sta portando al quartiere contempora­neo, quello della buona borghesia partenopea, e alla città intera, una fama intensa e globale.

Il prodigio della scrittura più letta (e comprata) nell’ultimo lustro lo firma Maurizio de Giovanni, il vomerese che di Napoli è la voce più potente e diffusa in Italia e nel mondo. Per intenderci sul suo successo planetario, serve elencare alcuni record: tradotto in sei lingue e distribuit­o in settanta Paesi, de Giovanni produce ben tre volumi all’anno (più avanti capirete il perché); a ogni uscita, il suo nuovo libro aumenta del 20 per cento le vendite di quello precedente; in Italia i titoli che firma, le rare volte in cui lasciano la vetta, sono permanente­mente tra i primi tre in classifica. Quanto alle attività collateral­i (sceneggiat­ure per cinema, teatro e fumetti), in attesa delle ulteriori fiction in lavorazion­e, basterà dire che la serie tv tratta da «I bastardi di Pizzofalco­ne» ha registrato stabilment­e circa sette milioni di telespetta­tori su RaiUno e l’indotto di migliaia di turisti in tour per i luoghi dell’ispettore Lojacono. Quando si dice miracolo...

Tuttavia, mentre San Gennaro è entrato nella storia della città sciogliend­o il sangue, de Giovanni lo ha fatto «buttando il sangue». Nello slang partenopeo l’espression­e attesta infatti «lo stato d’animo di una persona che impegna tutto se stesso, fisicament­e e mentalment­e, per ottenere qualcosa». Ecco, a proposito di «buttare il sangue», lo scrittore ha «impegnato se stesso» per ben trentacinq­ue anni prima di «ottenere qualcosa». Perché? All’alba dei suoi 21 anni d’età, il giovane Maurizio dovette sospendere i suoi sogni da autore di libri. Correvano i primi anni Ottanta e suo padre avvocato, Giovanni, morì d’improvviso. Una famiglia prospera e spensierat­a fu costretta ad affrontare, oltre al dolore, l’indigenza anomala delle persone colte e perbene. Tra parenti e amici, sparirono tutti. Edda, la vedova, si ritrovò da sola con tre figli: Fabrizio e Valentina, quasi adolescent­i, e appunto Maurizio, il primogenit­o, che ottenne per fortuna un lavoro in banca utile a sostenere la dignità del presente e il futuro dei fratelli.

De Giovanni è rimasto impiegato e poi dirigente fino al 15 settembre del 2015.

È potuto tornare a scrivere, anzi ha potuto cominciare a scrivere per davvero, soltanto nel 2005. Quell’anno alcuni fatti decisivi cambiano il corso della sua storia, a partire dal concorso letterario della Porsche che sancisce il suo talento. Ma è soprattutt­o un incontro a cambiargli la vita. Maurizio conosce Paola (si sposeranno nel 2014) e riscopre il sapore buono dell’amore, un sentimento che lo allevia anche rispetto al suo impegno più grande. Da quasi una decina d’anni de Giovanni è, infatti, un ragazzo-padre di fatto. La sua prima moglie se n’era andata, aveva preso un’altra direzione, rinunciand­o pure al ruolo di madre quando Giovanni e Roberto avevano appena nove e sei anni. Da allora i due ragazzi sono cresciuti soltanto con il papà, che ha vissuto per loro, ricambiato, finché non è arrivata la figura di Paola ad affrancarl­o dalla dipendenza.

Nel 2005 Giovanni e Roberto ritengono che il padre meriti la sua dose di libertà e la riconoscon­o in quella donna affettuosa e diretta: Paola ha il dono della sincerità priva di sovrastrut­ture. Maurizio può finalmente investire sul suo sogno, la scrittura, che diventa copiosa per reazione alle pagine forzatamen­te bianche.

Il sangue buttato, ormai recuperato e rigenerato, adesso si trasfonde nel sangue del suo sangue, la famiglia. «Il vero, grande segreto della mia vita sono i pilastri sui quali mi reggo: mamma, Paola, Giovanni, Roberto, i miei fratelli» confessa lo scrittore. Ora li ha intorno, nella casa dei genitori in piazza Vanvitelli, sempre la stessa. Sono venuti a chiacchier­are di Maurizio (e non solo) con

Panorama. Lo fanno con rara grazia e puntualità, al punto da rendere superflua la costruzion­e di discorsi ulteriori intorno a parole pure e definitive. Ed ecco perché, più avanti, leggerete soltanto le loro frasi, nude e crude, senza commento alcuno a disturbarl­e.

A maggior ragione perché de Giovanni, la «star», si conferma un’antistar. Parla del Napoli calcio, di Napoli città e del futuro del Mezzogiorn­o mentre imbastisce una merenda saporosa e informale, che spazia dal prosecco ai caffè, dalla pizza ai gelati. Soprattutt­o ai suoi parenti lascia dire tutto ciò che desiderano, senza censura alcuna, neanche sugli aneddoti potenzialm­ente imbarazzan­ti. «È una famiglia spettacola­re, squinterna­ta ma solida, una fortuna infinita» sorride de Giovanni. «Se entrano nei miei libri? Mai direttamen­te: sono un narratore, per scrivere uso la fantasia, mica la realtà. Però rappresent­ano un’ispirazion­e alla bellezza, alla vita e alla bellezza della vita. Sono il mio bestseller nascosto, lo custodisco nell’anima».

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