Ritratto di famiglia con bestseller
La casa e gli affetti sono un elemento cruciale dietro il successo dell’inventore del commissario Ricciardi e dell’ispettore Lojacono. Questa intervista esclusiva e «collettiva», lo dimostra.
famiglia
Nell’afa esasperante d’agosto,
il Vomero regala ai resilienti al caldo la carezza delicata del vento di tramontana. È una brezza balsamica: d’altronde, già alla fine del 1600, il letterato Carlo Celano stabilì che qui «l’aria è salutifera». Ma il colle di Napoli rimane celebre anzitutto perché nell’antico villaggio di Antignano si manifestò per la prima volta il miracolo di San Gennaro. Fu tra il 413 e il 431, in un’epoca remota e leggendaria. A distanza di parecchi secoli, un nuovo miracolo, stavolta laico, sta portando al quartiere contemporaneo, quello della buona borghesia partenopea, e alla città intera, una fama intensa e globale.
Il prodigio della scrittura più letta (e comprata) nell’ultimo lustro lo firma Maurizio de Giovanni, il vomerese che di Napoli è la voce più potente e diffusa in Italia e nel mondo. Per intenderci sul suo successo planetario, serve elencare alcuni record: tradotto in sei lingue e distribuito in settanta Paesi, de Giovanni produce ben tre volumi all’anno (più avanti capirete il perché); a ogni uscita, il suo nuovo libro aumenta del 20 per cento le vendite di quello precedente; in Italia i titoli che firma, le rare volte in cui lasciano la vetta, sono permanentemente tra i primi tre in classifica. Quanto alle attività collaterali (sceneggiature per cinema, teatro e fumetti), in attesa delle ulteriori fiction in lavorazione, basterà dire che la serie tv tratta da «I bastardi di Pizzofalcone» ha registrato stabilmente circa sette milioni di telespettatori su RaiUno e l’indotto di migliaia di turisti in tour per i luoghi dell’ispettore Lojacono. Quando si dice miracolo...
Tuttavia, mentre San Gennaro è entrato nella storia della città sciogliendo il sangue, de Giovanni lo ha fatto «buttando il sangue». Nello slang partenopeo l’espressione attesta infatti «lo stato d’animo di una persona che impegna tutto se stesso, fisicamente e mentalmente, per ottenere qualcosa». Ecco, a proposito di «buttare il sangue», lo scrittore ha «impegnato se stesso» per ben trentacinque anni prima di «ottenere qualcosa». Perché? All’alba dei suoi 21 anni d’età, il giovane Maurizio dovette sospendere i suoi sogni da autore di libri. Correvano i primi anni Ottanta e suo padre avvocato, Giovanni, morì d’improvviso. Una famiglia prospera e spensierata fu costretta ad affrontare, oltre al dolore, l’indigenza anomala delle persone colte e perbene. Tra parenti e amici, sparirono tutti. Edda, la vedova, si ritrovò da sola con tre figli: Fabrizio e Valentina, quasi adolescenti, e appunto Maurizio, il primogenito, che ottenne per fortuna un lavoro in banca utile a sostenere la dignità del presente e il futuro dei fratelli.
De Giovanni è rimasto impiegato e poi dirigente fino al 15 settembre del 2015.
È potuto tornare a scrivere, anzi ha potuto cominciare a scrivere per davvero, soltanto nel 2005. Quell’anno alcuni fatti decisivi cambiano il corso della sua storia, a partire dal concorso letterario della Porsche che sancisce il suo talento. Ma è soprattutto un incontro a cambiargli la vita. Maurizio conosce Paola (si sposeranno nel 2014) e riscopre il sapore buono dell’amore, un sentimento che lo allevia anche rispetto al suo impegno più grande. Da quasi una decina d’anni de Giovanni è, infatti, un ragazzo-padre di fatto. La sua prima moglie se n’era andata, aveva preso un’altra direzione, rinunciando pure al ruolo di madre quando Giovanni e Roberto avevano appena nove e sei anni. Da allora i due ragazzi sono cresciuti soltanto con il papà, che ha vissuto per loro, ricambiato, finché non è arrivata la figura di Paola ad affrancarlo dalla dipendenza.
Nel 2005 Giovanni e Roberto ritengono che il padre meriti la sua dose di libertà e la riconoscono in quella donna affettuosa e diretta: Paola ha il dono della sincerità priva di sovrastrutture. Maurizio può finalmente investire sul suo sogno, la scrittura, che diventa copiosa per reazione alle pagine forzatamente bianche.
Il sangue buttato, ormai recuperato e rigenerato, adesso si trasfonde nel sangue del suo sangue, la famiglia. «Il vero, grande segreto della mia vita sono i pilastri sui quali mi reggo: mamma, Paola, Giovanni, Roberto, i miei fratelli» confessa lo scrittore. Ora li ha intorno, nella casa dei genitori in piazza Vanvitelli, sempre la stessa. Sono venuti a chiacchierare di Maurizio (e non solo) con
Panorama. Lo fanno con rara grazia e puntualità, al punto da rendere superflua la costruzione di discorsi ulteriori intorno a parole pure e definitive. Ed ecco perché, più avanti, leggerete soltanto le loro frasi, nude e crude, senza commento alcuno a disturbarle.
A maggior ragione perché de Giovanni, la «star», si conferma un’antistar. Parla del Napoli calcio, di Napoli città e del futuro del Mezzogiorno mentre imbastisce una merenda saporosa e informale, che spazia dal prosecco ai caffè, dalla pizza ai gelati. Soprattutto ai suoi parenti lascia dire tutto ciò che desiderano, senza censura alcuna, neanche sugli aneddoti potenzialmente imbarazzanti. «È una famiglia spettacolare, squinternata ma solida, una fortuna infinita» sorride de Giovanni. «Se entrano nei miei libri? Mai direttamente: sono un narratore, per scrivere uso la fantasia, mica la realtà. Però rappresentano un’ispirazione alla bellezza, alla vita e alla bellezza della vita. Sono il mio bestseller nascosto, lo custodisco nell’anima».