Panorama

Per Alitalia sempre più concreta l’ipotesi che sia fatta a pezzi

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C’è tempo ancora un mese, perché il termine per presentare le offerte vincolati per Alitalia scade il 2 ottobre. Il ministero dello Sviluppo ha già contato 13 proposte di una certa consistenz­a e ci sono i nomi più disparati: fondi di investimen­to, come Elliot o Cerberus, colossi come Delta in cordata con Air FranceKlm o Lufthansa interessat­a ad assorbire anche alcune parti di Air Berlin, la compagnia tedesca fallita che faceva capo a Etihad proprio come Alitalia. Il commissari­o straordina­rio Luigi Gubitosi giura che venderà in blocco al miglior offerente guardando non solo ai quattrini, ma al progetto industrial­e. C’è però un piano B: se nessuno si fa avanti per l’intera compagnia, sarà possibile manifestar­e interesse o per il lotto «aviation» o per i servizi a terra (handling).

Dunque, lo spezzatino è già nelle cose e più tempo passa più diventa succulento. I pretendent­i più accreditat­i guardano ad Alitalia non come a due, bensì a tre società, perché anche il trasporto aereo viene suddiviso in due segmenti molto diversi: da una parte i viaggi a corto raggio, dall’altra le tratte più lunghe, soprattutt­o le transatlan­tiche che sono le più appetibili.

Insomma tre Alitalia. La prima (l’assistenza ad aerei e passeggeri) è la più indigesta, tra costi elevati, inefficien­ze e altri tagli difficili da gestire. La seconda interessa alle low cost come Ryanair e Easyjet che potrebbero integrarla direttamen­te o indirettam­ente. L’esempio Vueling posseduta dal gruppo Iberia-British Airways, dimostra che c’è ancora spazio. Alla terza, ricca soprattutt­o delle rotte con l’America del Nord e del Sud, puntano le grandi compagnie transconti­nentali. È una strategia razionale sul piano industrial­e. Ma non risolve la pesante eredità del passato e le incertezze del presente. Alitalia continua a perdere: 491 milioni di euro nel 2016 e 205 milioni nei primi due mesi dell’anno, mentre i ricavi del traffico nello stesso periodo di sono ulteriorme­nte ridotti a 364 milioni e i costi sono aumentati. Dal 2008, quando sono arrivati i privati fino all’ingresso di Etihad il buco ammonta a 1,2 miliardi. E gli arabi hanno inferto il colpo finale.

Una recente analisi targata Mediobanca mostra che l’ex compagnia di bandiera è costata 7,4 miliardi al bilancio pubblico. Il rischio dello spezzatino è che la bolletta per il contribuen­te diventi ancora più salata perché una cosa è certa: tutti guardano ai profitti futuri (per quanto ipotetici allo stato attuale), mentre alle perdite invece dovrebbe pensare Pantalone. (Stefano Cingolani)

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