Casa (mia) offresi
Sono migliaia gli italiani diventati «locandieri» per avere un introito aggiuntivo. Che la nuova cedolare secca vuole far emergere. Ma la norma non è chiara. Così il più famoso portale online e i suoi fratelli giocano sulle interpretazioni.
Devo la vita a un amico. Era il 1977, Brigate rosse e soci imperversavano, capitò che minacciassero anche me, impegnato allora nel giornale Lotta continua. L’amico andò da loro e fu chiaro: «Se lo toccate, finite male!». Non mi toccarono. Non saremmo mai andati dai carabinieri a denunciare i «compagni che sbagliavano». Tenevamo tra noi le cose che sapevamo. Protestavamo contro le azioni omicide, certo. Il giorno dopo. Quello prima, facevamo lunghi e sentiti pistolotti contro il terrorismo. Eravamo, si direbbe oggi, gli estremisti moderati. Avremmo potuto fare qualcosa di più efficace. Quando sento parlare di Islam moderato, ripenso a noi, estremisti moderati di 40 anni fa. A come, antiterroristi quanto radicalmente fossimo, avessimo lasciato ad altri il peso della battaglia contro il terrore di casa nostra. Appunto. L’Islam moderato esiste. Ma non esiste. Esiste, perché moltissimi musulmani in Italia non vorrebbero tra i piedi l’Islam combattente. Non esiste, perché non assumono parte attiva per toglierselo dai piedi. Qualche corteino, qualche comunicatino tirato per i capelli. Il giorno dopo l’attentato. Già. E il giorno prima? Niente. Conoscono chi farà l’attentato. Sono i loro fratelli, figli, parenti, amici. Vivono con loro e tra loro. Se non li conoscono sono tutti stupidi. E suonerebbe vagamente razzista affermarlo. È dura, si capisce. Rompere relazioni, consuetudini, legami più che solidi. Il giorno prima. Questione molto più che complicata. Ma complicata per tutti, anche per le vittime, e i loro cari, e l’Occidente, direi. O l’islamico moderato si acconcerà a quel tremendo passo che la guerra scatenata dal suo fratello impone, o almeno la pianti con gli stessi ragionevolissimi predicozzi (loro sull’islamofobia) che noi «estremisti moderati» facemmo a suo tempo ai «compagni che sbagliavano» a proposito della (per fortuna scampata) rivoluzione proletaria.