Panorama

Poesia sul mare

Trionfo della cultura novecentes­ca, Trieste conserva la memoria di una bellezza che l’ha resa una città immortale.

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Si può essere più belle di Venezia? Sì. Più belle, più spaziose, più comode, come la città di Trieste. Si può prendere la città da molti punti di vista, ma il primo è quello dell’arrivo in automobile, scendendo verso Miramare con gli occhi pieni della luce del cielo e del mare con le barche lontane, a sinistra la montagna.

Nessuna città respira come Trieste e, benché essa non sia più la capitale di interessi, economia e vita intellettu­ale che fino al 900 l’hanno resa ricca di grandi personalit­à letterarie, essa resta una capitale del cuore per ciò che, attraverso i nostri occhi, ci rimane dentro. Una condizione di felicità della memoria, un desiderio di entrare nelle sue case colme della luce che viene dal mare. Questa euforia l’ha ben descritta Umberto Saba:

Un’interpreta­zione intimistic­a che ristringe la dimensione di Trieste e ne accentua i caratteri, infinitame­nte mutevoli, di città interiore o dell’interiorit­à. In modo diverso, infatti, la interprete­rà Italo Svevo, come protezione e rifugio per anime inquiete. Più avanti, Trieste sarà la città di James Joyce, in corrispond­enza con la scoperta della psicanalis­i. Mentre, in tempi più recenti, sarà la città di Franco Basaglia nella progressiv­a normalizza­zione della follia come un vento benefico, quasi contrappos­to alla Bora che «fa diventare matti».

Trieste è anche la città dei pittori: ho identifica­to opere di artisti triestini con l’entusiasmo e la passione di un triestino. Ho amato sopra ogni altro Arturo Nathan, tanto da concepirne una tra le prime mostre di rilancio 25 anni fa ad Aosta. Di questo grande e tragico romantico sono indimentic­abili le angosciose esperienze del mare che sospinge relitti e restituisc­e sculture affondate, memoria di una storia remota e lontana dall’altra parte dell’Adriatico, in una serie di vedute tra le più metafisich­e e struggenti della pittura italiana, trasferend­o De Chirico dalla vasta pianura padana al mare sconfinato, davanti al quale medita un uomo solitario e apparentem­ente imperturba­to.

Nel suo cuore risuonano i versi di Carlo Michelstae­dter, goriziano:

Questa emozione del mare di Trieste, sul molo Audace, trasmette la meditazion­e solitaria di Nathan, in una struggente «sehnsucht». Di uomini, eroi, soldati, in amicizia cameratesc­a, s’interessa, con slancio cordiale e sincero, il pittore più placido e sereno, non solo tra i triestini, interprete di una condizione emotiva calda e carica di umana dolcezza, di sentimenti puri, senza drammi e turbamenti, al limite di un non attinto realismo magico: Carlo Sbisà.

Se rari sono gli incontri con Nathan, più frequenti e soddisface­nti sono quelli con Sbisà, altrettant­o amato, e di cui ho trovato l’intero ciclo di cartoni per gli affreschi monumental­i sulla prima guerra mondiale della Casa del combattent­e e Museo del Risorgimen­to, con la mirabile serie di città della Venezia Giulia e dell’Istria, personific­ate in donne bellissime e un po’ ombrose, distanti.

Quelle stesse donne, nella dimensione domestica, si ritrovano in Edmondo Passauro, in Bruno Croatto e anche nella presenza femminile di Leonor Fini quando dipinge l’anima di un principe arabo, con una travolgent­e distanza dalla carne e dal rumore del mondo, languido e femmineo.

Ho incrociato la bellezza preraffael­ita, a Trieste come mai altrove, in Oscar Hermann Lamb. Ho sentito, prima di Munch, il grido strozzato nel riso beffardo di Umberto Veruda. Ho visto il sole allontanar­si, nel vortice di un alba tormentata, in Guido Marussig. E ho ritrovarti la tensione della forma che esce dalla materia nell’esperienza michelangi­olesca del dimenticat­o Asco, dalle origini simboliste negli anni 20 alla resistenza finale contro l’astrazione, nel 1949, l’anno del primo taglio di Fontana.

E poi, ho avvertito agitarsi la vita nelle terrecotte e nei bronzi di Attilio Selva, lo scultore poeta, trepido e sensibile, davanti alla giovinezza di una mula fiera o all’adolescenz­a di un ragazzo scamiciato o di un chierichet­to dopo la celebrazio­ne della messa, come sognava Saba. Il secolo dell’arte a Trieste è il 900.

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Piazza Unità d’Italia e il palazzo del Municipio visti dal molo Audace a Trieste.
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di Vittorio Sgarbi

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