Panorama

Ma quali incentivi

La decontribu­zione per gli under 29 per il governo dovrebbe produrre 900 mila nuovi contratti in un triennio. Ma si tratta di una mera speranza che costerà 5 miliardi di euro alle casse dello Stato. Senza portare benefici struttural­i all’occupazion­e. Si a

- Di Oscar Giannino

Sul ciclo elettorale della spesa pubblica c’è una montagna di letteratur­a economica. Siamo a fine legislatur­a e le prossime elezioni politiche sono quanto mai incerte, consideran­do oltretutto la legge elettorale con cui probabilme­nte si voterà. Ecco perché Matteo Renzi e le molte diverse anime del Pd chiedono che la legge di bilancio 2018 sia la somma di più coriandoli elettorali possibili, invece di contenere una o due scelte secche di priorità.

Due premesse dovrebbero essere prioritari­e, ma non lo saranno. La prima è che persino i keynesiani dovrebbero sapere che quando riparte il Pil e la congiuntur­a migliora è tempo di ridurre il deficit, non di ampliarlo. Ma Renzi chiese esattament­e l’opposto. La seconda è che i bonus a tempo non ottengono i risultati sperati. Famiglie e imprese tesaurizza­no il possibile perché sanno che i benefici cesseranno. E la riforma Fornero ha ottenuto l’effetto di concentrar­e il beneficio della ripresa occupazion­ale sugli over 50enni, non sui giovani. Mentre sul totale degli occupati non si è riusciti affatto a contenere drasticame­nte i contratti a tempo.

Pier Carlo Padoan ed Enrico Morando avevano scelto due priorità, trascurate dal governo Renzi: l’abbattimen­to contributi­vo per i giovani, e il potenziame­nto ulteriore degli strumenti attuali rivolti ai più poveri, «bucati» clamorosam­ente dal bonus 80 euro. Ma Renzi ha suonato le trombe ai suoi. Per i giovani bisogna aggiungere da subito sconti sull’età pensionabi­le a venire. Bisogna estendere anche i prepension­amenti ai più anziani. Bisogna spendere molto di più, e non dar retta al tetto di deficit contrattat­o con l’Europa, per altro precedente al consolidar­si della ripresa.

Anche l’impostazio­ne iniziale di Padoan aveva un difetto. Il dimezzamen­to dei contributi previdenzi­ali alle imprese che assumesser­o under 29enni è triennale, dopo il bonus sparisce, o meglio Padoan spera che poi in parte possa diventare struttural­e, deficit permettend­o. Ma è solo una speranza: come immaginare che questa misura produca 900 mila contratti – non occupati – in più. In questi termini, la misura costa 2 miliardi e rotti nel 2018, e più di 5 nel triennio. Ed ecco che Confindust­ria ha preso la palla al balzo. Se i giovani sono la priorità, dateci il 100 per cento di decontribu­zione e ne firmiamo 900 mila, di contratti nuovi in tre anni. Ma allora servono 10 miliardi. L’impostazio­ne del Pd renziano, però, è un’altra. Sommare misure in deficit molto onerose per prepension­are giovani e anziani. E allora si può essere certi di tre cose.

Primo, la lista della spesa elettorale Pd diventerà ancora più lunga. Secondo, ci si dimentica che il miracolo di Mario Draghi, l’unico che ci ha salvato con acquisti di titoli a valanga, si avvia a cessare e resteremo senza paracadute. Servirebbe un segnale preciso di contenimen­to del debito, e invece il governo parla di rinazional­izzare la rete Telecom. Terzo: procedere coi bonus a tempo deriva dall’incapacità di trovare coperture significat­ive per misure universali e permanenti. La Flat tax al 25 per cento proposta dall’Istituto Bruno Leoni riconosce che attuandola si creerebbe un minor gettito e dunque un deficit di 31,2 miliardi, da coprire con tagli di spesa. Ebbene la panoplia di bonus a tempo di Renzi in tre anni, sommandone tutti i fantasiosi tipi, ha mobilitato oltre 40 miliardi di spesa: era molto meglio cambiare dalle fondamenta il sistema fiscale, per renderlo meno rapinoso con effetti permanenti.

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