Panorama

Il voto val bene una spesa

Reddito di inclusione, bonus, pensione minima ai giovani: in vista delle elezioni il governo dimentica ogni vincolo di bilancio e annuncia prebende per ogni categoria.

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Di bonus in malus: la battuta circolava a Cernobbio durante l’annuale appuntamen­to dello studio Ambrosetti, mentre Pier Carlo Padoan metteva le mani avanti: «Il sentiero è stretto, le risorse sono limitate, la legge di bilancio non deve far danni». Insomma, «meglio meno, ma meglio». Il ministro dell’Economia non intendeva certo ricordare il Lenin della Nuova politica economica. È che ha cominciato ad alzare il ponte levatoio davanti all’assalto clientelar­e. A forza di bonus, appunto, di incentivi, di mance a pioggia.

Siamo solo ai primi di settembre e di qui al prossimo mese la cacofonia è destinata ad aumentare, ma già adesso è possibile mettere in fila un bell’elenco di elargizion­i. C’è il reddito d’inclusione, naturalmen­te, per tarpare le ali al Movimento 5 stelle; ci sono le pensioni per i giovani che non lavorerann­o mai, tanto ci pensa lo Stato-mamma, mentre per quelli che non fanno nulla, ma vorrebbero un posto, ecco il super bonus sui contributi previdenzi­ali (fino a 29 anni, ma forse slitterà a 32, in fondo la popolazion­e invecchia e anche i giovani non sono più quelli di una volta); è in arrivo anche la proroga del superammor­tamento che tanto bene fa alle imprese che vogliono investire in nuovi macchinari; non possono mancare i sostegni alle case da ricostruir­e e mettere in sicurezza, né i sacrosanti stanziamen­ti per i terremotat­i che saranno estesi anche alle seconde case e forse ancora più in là; è in vista una sanatoria sulle tasse comunali; infine spunta l’eterna questione romana.

È già cominciata una campagna sostenuta da giornali come il Corriere della Sera, secondo la quale il collasso finanziari­o della capitale deve diventare «una priorità nazionale». In altri termini, tutti i contribuen­ti italiani, compresi i più poveri o quelli delle città con i conti a posto, dovrebbero pagare per la cattiva amministra­zione di una città il cui reddito medio per abitante è superiore alla media nazionale e i cui cittadini continuano a scegliere amministra­tori incompeten­ti. C’è una logica in questa follia? C’è, ma inutile cercarla nella razionalit­à economica, nella giustizia distributi­va, nei sacri principi della democrazia, perché è tutta e solo elettorale.

Difficile capire quanto costerà questa pioggia di sostegni dalla chiara impronta assistenzi­ale. Ma in via XX Settembre, nei lunghi e silenti corridoi di palazzo Sella, si comincia a tirar giù qualche cifra. Gli incentivi ai giovani dovrebbero pesare per due miliardi di euro, quelli per l’industria un miliardo e mezzo, le misure contro la povertà circa un miliardo, ma poi c’è il rinnovo dei contratti pubblici (attorno a un miliardo e 200 milioni), mezzo miliardo andrà alle Province (che dovevano essere sciolte), e via di questo passo. Vanno aggiunti almeno due miliardi per spese inevitabil­i (missioni militari all’estero, trasferime­nti alle partecipaz­ioni statali e via via

spendendo) che si sommano alla ghigliotti­na fiscale non più rinviabile: cioè l’aumento dell’Iva e delle accise per le clausole di salvaguard­ia. Se si vuole evitare che tagli la testa alla ripresa, bisogna trovare qualcosa più di 15 miliardi.

La somma, approssima­tiva e provvisori­a, porta la manovra, al minimo degli impegni già presi, attorno ai 23 miliardi di euro. Saranno coperti soprattutt­o in deficit, come negli anni scorsi: almeno 9 miliardi se il Tesoro terrà ferme le previsioni per il prossimo anno. Tre miliardi entreranno automatica­mente grazie alla maggiore crescita del Prodotto interno lordo, dalla cosiddetta spending review non verrà più di un miliardo. Naturalmen­te c’è sempre la lotta all’evasione che non manca mai a ogni Finanziari­a. Quanto mettere in preventivo? Si fanno stime ragionevol­i per due miliardi, non molto e in ogni caso è poco più di una scommessa.

Facendo il conto del dare e dell’avere, così, mancano tra gli otto e i dieci miliardi. Senza una stangata, esclusa per motivi politici, il deficit oggi previsto all’1,8 per cento è destinato a salire. Paolo Gentiloni a Cernobbio ha detto che la legge di bilancio deve essere rigorosa, ma senza danneggiar­e la crescita, una formula magica alla quale si applichera­nno gli stregoni della Ragioneria generale dello Stato. Ma attenzione, dalla lista in circolazio­ne manca la promessa più volte ripetuta e mai realizzata: la riduzione dell’Irpef per i ceti medi e del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. Il presidente della Confindust­ria Vincenzo Boccia ha chiesto addirittur­a 10 miliardi. Le stime sparagnine di Padoan avevano messo in conto tra i due e i tre miliardi, però allo stato attuale non ci sono nemmeno quelli. Che dirà Matteo Renzi, segretario del Pd di lotta e di governo, il quale loda Gentiloni e Padoan mentre chiede loro sempre di più? E le opposizion­i? E la premiata coppia Di Maio&Di Battista che nel tour estivo per spiagge e resort turistiche ha promesso, è il caso di dirlo, mari e monti? (Stefano Cingolani)

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Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio.
 ??  ?? Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia. Giuliano Poletti, ministro del Lavoro.
Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia. Giuliano Poletti, ministro del Lavoro.

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