Una manager tra le vigne
Dopo anni di finanza a Londra Beatrice Mozzi produce vino e olio nella sua azienda nel cuore della Toscana. E la siccità non la spaventa. Anzi, le ha ispirato una serie limitata...
Figlia di un agente di cambio, kickboxer arcigna, esperta di fondi d’investimento dopo anni a Londra nella finanziaria Dawnay Day, nessuno può dire che Beatrice Mozzi non sia una donna avvezza agli imprevisti. Ma il rebus che le sta sottoponendo questo cielo toscano, appare indistricabile: prima la gelata del 20 aprile, che ha scioccato tutte le uve. Poi la siccità feroce, che negli ultimi cinque mesi ha fatto cadere sulle vigne di Barberino Val d’Elsa poco più di 25 millimetri di pioggia. «Stiamo ancora vendemmiando e numeri definitivi non ne ho» racconta, «ma credo che almeno il 30 per cento del raccolto sia perduto».
Basta aggirarsi tra i filari per capire che la stima non è approssimativa: il terreno è ridotto a sabbia e per ironia irrigare è vietato, almeno se si vuole mantenere la Doc del Chianti. «Si può dare un po’ di rame e zolfo, ma nulla di più», dice. Ad assaggiarli, gli acini disidratati dal sole sono dolci come caramelle, e persino i semi risultano gradevoli al palato. Per non parlare del mosto già pigiato che sembra miele, richiamo perfetto per gli insetti. «Il livello alcolico» spiega Alessandro, il cantiniere, «è di uno o due gradi superiore all’anno scorso». I grappoli integri sono rari, tanto che bisogna camminare parecchio prima di riuscire a potarne uno con le cesoie, appoggiarlo nel cesto, posarlo sul trattore e inviarlo alla macchina diraspatrice che separa i chicchi dal graspo. I vendemmiatori accelerano il ritmo scandito da Beatrice, piantata sotto il sole di mezzogiorno nonostante febbre e mal di gola: «Forza ragazzi, più veloci». Osserva i grappoli che rilasciano il succo della prima spremitura, glissa con voce decisa sui recenti momenti di sconforto e trasforma la preoccupazione in nuove idee: «Abbiamo vendemmiato prima di tutti, i nostri parametri dicevano che zuccheri e acidità avevano un equilibrio perfetto», rivendica, unica donna vignaiola nel raggio di decine di chilometri. «Aumenterò la produzione dello spumante rosé brut, da 4 mila a 10 mila bottiglie: queste uve rimaste un po’ indietro, per un prodotto così sono perfette. E poi, col Merlot, voglio creare una serie limitata dedicata a questo anno di sofferenza e battaglia». Il nome non l’ha ancora scelto, ma avrà molto a che fare con le nuvole maledette che si sono annunciate mille volte, ma non sono arrivate mai. Le uve bianche son già state raccolte. Il merlot anche, perché ha una buccia fine, ed è più delicato. Il cabernet invece, più arcigno, può aspettare un po’.
Trentasette anni, fidanzata col famosissimo tenore Vittorio Grigolo (che ha passato con lei questi giorni difficili pri-
ma di recarsi all’Arena di Verona, dove ha chiuso il concerto per Luciano Pavarotti), Mozzi è a capo dell’azienda agricola Le Torri dal 2014. Centocinquantamila bottiglie l’anno, se il clima lo permette. Trenta ettari coltivati a uve sangiovese, cabernet sauvignon, canaiolo, merlot, chardonnay e persino un raro riesling, almeno per queste terre tra Firenze e Siena. Un agriturismo con piscina che può ospitare fino a 40 persone. E poi ulivi a perdita d’occhio, oltre 5 mila piante tra cui 80 secolari. Solo a potarle, dice, costano sei euro l’una. Ecco perché comprare un olio a quattro euro la bottiglia è economicamente impossibile.
«L’altro giorno stavamo trasportando dell’olio sulla jeep e mi ha sgridato perché ho preso una buca e i tini si sono mossi» racconta Grigolo, che ha capito lo stato di stress della sua compagna e sembra pronto a subire tutto, rassegnato come Alfredo Germont ne La Traviata. «Non voglio che le olive restino in cassetta più di sei ore, prima di essere spremute» spiega Beatrice, fisico slanciato e coda di cavallo altissima. «Sonia Donati di Slow Food dice che è un’intuizione giusta».
Liceo scientifico a Milano, laurea in Psicologia della comunicazione, quindi master in Marketing e in Risk management e business analysis alla London Business School. È stato suo padre Cesare, che insieme a Ezio Vaccari e Maurizio Gattidei ha acquistato il podere nel 1980, a chiederle, tre anni fa, di lasciare la City e occuparsi dei campi. L’ha fatto con umiltà e velocità meneghina: addetta all’imbottigliamento, poi la gavetta in cantina e in vigna, fino alle decisioni drastiche di cambiare enologo e agronomo, e di ripiantare completamente alcuni vecchi filari, ora visibili dalla terrazza della casa padronale. «Sono una donna in un mondo di uomini», constata, «ogni decisione giusta, deve essere giusta il doppio». n