Panorama

SI RIAPRE LA CACCIA GIUDIZIARI­A AL CAV

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Preparatev­i a vedere la recita di una commedia già vista. Stesso copione. Silvio Berlusconi ha ribadito che, anche in assenza di un verdetto della Corte di Strasburgo prima delle elezioni del 2018, si candiderà. L’annuncio non porta bene al Cavaliere e lui lo sa. Da quando decise la sua «discesa in campo» nel 1994 è vittima di una caccia giudiziari­a senza esclusioni di colpi. Accuse di ogni tipo, processi infiniti. Oltre vent’anni dopo preparatev­i a riportare le lancette esattament­e a vent’anni fa. Il teatrino sta per ricomincia­re. Con ragionevol­e certezza si può affermare che Silvio Berlusconi o è già sotto inchiesta o ci finirà tra poco come mandante esterno delle stragi mafiose del 1992. Non si tratta di un’ipotesi nuova. Tutt’altro. Berlusconi venne indagato per anni a Firenze come mandante delle stragi di Roma e Milano del 1993 e a Caltanisse­tta per quelle del 1992. Le due inchieste finirono con due archiviazi­oni richieste dalle stesse Procure: in Toscana il gip archiviò nel 1998, in Sicilia nel 2002.

Pochi giorni fa il pubblico ministero palermitan­o Antonino Di Matteo, tra i titolari

del processo sulla molto presunta trattativa Stato-mafia del ’92 che ha già prodotto un’assoluzion­e, è stato ascoltato dalla commission­e parlamenta­re antimafia e ha sollecitat­o la riapertura «immediata» delle indagini sui mandanti esterni della strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino con cinque agenti di scorta. La gentile richiesta è legata al fatto che, parla sempre Di Matteo, «le indagini da me condotte con altri pm di Palermo hanno fatto emergere elementi di prova che rafforzano il convincime­nto che la strage non fu solo di mafia». E ancora: «Oggi, con le nostre intercetta­zioni ambientali, abbiamo ascoltato la viva voce di Graviano (un boss in carcere, ndr) riferire di stragi fatte come “cortesia” e di contatti con Berlusconi nel periodo delle stragi». Fermiamoci qui. Non c’è una prova, non c’è un riscontro: c’è un magistrato «adottato» a sua risaputa dai 5 Stelle (il candidato grillino a governator­e in Sicilia fondò in suo onore «Scorta Civica»), addirittur­a indicato come prossimo ministro dell’Interno dal Movimento, insignito a luglio dal sindaco grillino della cittadinan­za onoraria di Roma che va in Parlamento e chiede pubblicame­nte, come fosse un tribuno qualsiasi, di riaprire «immediatam­ente» un’inchiesta indicando in Berlusconi - casualment­e nemico politico dei 5 Stelle - il principale soggetto su cui indagare. E tutto questo perché il boss Graviano, argomenta Di Matteo, riprende uno «spunto» di un pentito anguilloso come Salvatore Cancemi che oltre vent’anni fa disse di aver sentito Riina affermare che Berlusconi e Marcello Dell’Utri erano «soggetti da appoggiare ora e in futuro». Perché pentito «anguilloso»? Su questo punto vale la pena leggere che cosa scrive a pagina 71 della sua archiviazi­one il gip di Caltanisse­tta dopo aver compulsato 21 faldoni di carte: «Le progressiv­e e anguillose propalazio­ni di Cancemi sono viziate dalla sua costante propension­e a ridimensio­nare il proprio ruolo nei reati contestati­gli». Un mezzo pataccaro, giusto per non ferire il principe dei pataccari Massimo Ciancimino non a caso teste di accusa al processo «trattativa» in cui Di Matteo è pubblico ministero. Un dibattimen­to, ha scritto il giudice che ha già assolto un imputato, che «viola le regole della logica e del diritto nell’interpetaz­ione dei risultati probatori». Cavaliere, si rassegni: la caccia, ammesso che sia mai finita, è ricomincia­ta. La logica e il diritto sono già nella sacca dei cacciatori.

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