IRON DAD PER SALVARMI PAPÀ È DIVENTATO UN SUPEREROE
Questa bambina è Guia, ha due anni ed è affetta da neuroblastoma, una grave forma di tumore. Filippo, suo padre, per raccogliere i soldi necessari per le terapie si è trasformato in un atleta d’acciaio e partecipa al Triathlon, la gara più faticosa del mo
Mio papà si è appena svegliato. Come quasi tutte le notti nell’ultimo anno, ha dormito su una poltrona accanto al mio letto all’ospedale Gaslini di Genova. Si muove veloce e in silenzio, pensa che io sia ancora assopita, stanchissima per l’ennesima chemioterapia. A me piace osservarlo, di nascosto, mentre si veste. Niente giacca e cravatta. Quando esce all’alba, indossa una tutina attillata azzurra e rosa, si allaccia un caschetto e prende sotto braccio una bicicletta speciale. Poi mi dà un bacio sulla fronte e vola via. Ne sono certa, mio papà non va in ufficio. Mio papà è un supereroe e sta andando a salvare qualcuno».
Non è difficile leggere negli occhi di Guia queste parole, anche se ha solo due anni e parla poco. Ha capito tutto. È vero, il papà è in missione. Ma la persona che vuole salvare è proprio la sua Guia e tutti i bambini che soffrono della stessa malattia: il neuroblastoma, un tumore prevalentemente infantile, terzo per frequenza in età prescolare e, purtroppo, il primo per mortalità dopo la leucemia.
Il papà in questione si chiama Filippo Minuto, 40enne ingenere edile di Genova, fino a due anni fa una persona come tante. Poi è arrivata la terribile notizia della malattia che ha colpito la sua bimba, sorellina minore di Vittoria (sei anni) e Agostino (quattro). Una tegola che avrebbe messo in crisi chiunque. Ma Filippo Minuto ha reagito diversamente. Ha deciso di rendersi utile trasformandosi in IronDad per raccogliere fondi, papà d’acciaio e volto della battaglia al neuroblastoma. Si è allenato in ogni momento libero, rubando ore a sonno e lavoro, mai alla famiglia. Ha nuotato in mare, ha corso e pedalato in strada, sul tapis roulant e bici sui ceppi in salotto.
In nove mesi si è preparato per la gara più faticosa al mondo, l’Ironman Triathlon: 226 chilometri totali, divisi tra nuoto (3,8), bicicletta (180) e corsa (42,2, la distanza della maratona). Un’impresa titanica e impossibile quasi per tutti. Anche per lui che ha avuto un passato da pallanuotista, ma da anni lontano dallo sport. Una gara al limite delle capacità fisiche, una battaglia con sé stesso e contro il tumore della figlia che Filippo Minuto è riuscito a vincere grazie a una tenacia senza pari battendo anche parecchi record. «Mi sono stupito anche io: ho terminato la gara in 10 ore e 57 minuti» racconta il papà atleta a Panorama. Non male al primo tentativo, se si pensa che il campione del mondo Jan Frodeno ne ha impiegati poco meno di otto (7 ore e 45 minuti per la precisione).
«Uscito dall’operazione di mia figlia (aprile 2016) e da tutta la precedente trafila, chemioterapia, chemioterapia ad alte dosi, trapianto e radioterapia mi sono detto: ora tocca a me» continua Minuto. «Ero disperato. Un giorno, mentre guardavo gli occhi di Guia e dei bimbi che piangevano in braccio ai genitori in corsia, ho deciso di rendermi utile. Il primo passo è stato entrare nell’Associazione per la lotta al neuroblastoma. La ricerca è l’unica strada. La frontiera è l’immunoterapia genetica. Ma servono soldi». E aggiunge: «Volevo mettermi alla prova. Volevo soffrire. Volevo continuare a sperare». La sua idea è stata diffusa dal tam tam dei social. Come in una campagna di crowdfunding, ha chiesto aiuto economico online attraverso una formula, riassunta nello slogan: «Scommettete su di me».
«Ho chiesto ai miei amici di dichiarare, in anticipo, quanto avrebbero donato se: 1) fossi arrivato in fondo vivo; 2) se fossi riuscito a terminare l’I-
ronman in 15 ore; oppure in 14 ore, 13... Non potete capire la sorpresa quando ho iniziato a veder arrivare le donazioni. Specie dopo che ho pubblicato di aver terminato il Triathlon di Vichy in Francia sotto le 11 ore».
Se gli si chiede quale sia il segreto della sua impresa, risponde come un fiume in piena. «La prima persona che devo ringraziare è mia moglie, senza di lei non ce l’avrei fatta. Ma grande merito va anche agli altri due miei figli. Mi hanno dato la forza di non mollare. Dovermi occupare anche di loro è stata la mia forza. Li ho avuti davanti agli occhi durante tutta la gara. Che poi, a ben vedere, è una metafora della vita. Almeno della mia. I primi 3,8 chilometri a nuoto li ho fatti, idealmente, assieme a Vittoria: la mia bimba adora l’acqua e crede di essere una sirenetta. Mi sembrava di averla sulle spalle a cavalcarmi e spronarmi».
Minuto ha impiegato appena 57 minuti in questa fase della gara (13° assoluto su 1.500 partecipanti). «Il mio coach mentale nella corsa in bici è stato il mio bimbo Agostino, un uragano sempre in movimento. Pensare a lui mi ha spinto per 180 chilometri. Ci ho messo cinque ore e 23 minuti. Sono riuscito a battere di 40 minuti il migliore risultato che avevo ottenuto in allenamento. Poi è arrivata la maratona. Quei 42 chilometri sono stati i più duri. Perché già al quinto chilometro ho accusato crampi addominali fortissimi. I triatleti chiamano la crisi durante la gara “Tigre di carta”. È uno spauracchio sempre in agguato, è lì che ti insidia e fa paura. Ma volendo la puoi battere, perché è di carta. Per mia fortuna avevo dedicato questa parte della gara a mia moglie Isabella e a mia figlia Guia. Ho pensato al dolore e alle sofferenze che la mia piccola ha affrontato in silenzio. Ho chiuso gli occhi e ho stretto i denti».
«Così la “tigre” si è dissolta. Ho riaperto le palpebre e, proprio quando credevo di non farcela più, è comparsa (davvero) mia moglie. Non era un sogno, correva accanto a me. Ha percorso almeno due chilometri per motivarmi. Mi ha fatto ingerire qualcosa contro gli spasmi e anche una gelatina di integratori. È così che sono volato al traguardo senza mai scendere sotto i 6,25 minuti a chilometro».
Una curiosità: il coach che ha allenato Filippo Minuto nell’impresa è un suo amico, Timothy Cosulich, che ha corso parecchi Ironman spinto da motivi simili ai suoi (si è anche qualificato per i mondiali alle Hawaii del 2015). «Vive a Singapore, ma è stato con me ogni giorno con le sue tabelle di esercizi massacranti, collegamenti via Skype e Whatsapp» svela Minuto. «Non mi fermerò mai», lasciando intendere che questo è il primo di tanti trofei Ironman. «Continuerò a correre. Non so quanti passi ci vorranno, ma continuerò ad aiutare l’associazione per la lotta contro il neuroblastoma finchè non riusciremo a guarire tutti i bambini». Ha qualche segreto alimentare? Una dieta particolare? «Mangio tanta pasta, verdura frutta e proteine. Da due anni ho detto no a tutte le cose che mi piacciono: dolci, focaccia, salame e pizza. Ma non me lo ha consigliato nessun medico. È un fioretto. Tornerò a mangiarli quando mia figlia sarà guarita. In tutto questo, il vero eroe è lei. Io sono solo il contorno».