Panorama

CUCINE ROTTAMATE LE LA CENA VE LA SERVO IO

In futuro nessuno accenderà più i fornelli, se non per hobby. Perché tutti faranno ricorso al cibo «su misura» e consegnato a domicilio. Parola di Foodora.

- di Marco Morello

Tra i messaggi di WhatsApp e l’ennesima email, sullo schermo del telefono si affaccia una notifica invitante: «La tua ultima riunione è alle 18. Che ne dici di una carbonara a casa per le 21?». Oppure: «Oggi sei stato in palestra, ti meriti la tua pizza preferita. Se vuoi, posso portartela in 20 minuti. O preferisci un’insalatona? Sarà da te in 25». Il mittente non è una compagna premurosa o un amico precisino forse un po’ invadente, ma l’applicazio­ne del servizio di cibo a domicilio. Che, sincronizz­andosi con l’agenda sullo smartphone, conosce i nostri movimenti e può proporci pietanze in linea con i nostri gusti, abitudini, peccati di gola o smanie di rimanere in forma.

È uno dei prossimi sviluppi di Foodora, tra i principali operatori nella consegna dei pasti, presente in 65 città di 10 Paesi, tra cui 1.200 cucine tra Milano, Torino, Firenze e Roma. È parte a sua volta del gruppo Delivery Hero, gigante del settore attivo in 40 nazioni, con la capacità potenziale di saziare 2,7 miliardi di stomaci: «Facendo leva, presto, su un raffinato sistema di raccomanda­zioni personaliz­zate» anticipa Eduardo Goes, il 41enne di San Paolo che tiene il volante dell’azienda. «Oggi la scelta parte dal ristorante; entro un anno» assicura «muoverà dal piatto». Da scegliere in funzione del contenuto calorico o di un capriccio del momento; del prezzo, della presenza o assenza di carne, di eventuali intolleran­ze o vincoli dietetici. O magari, altra ipotesi allo studio, delle raccomanda­zioni degli amici sui

social network. «Così» osserva il manager brasiliano «potremo usare la app con fiducia quando ci troviamo all’estero, in una città sconosciut­a».

A garantire qualità e velocità è la piattaform­a stessa, tramite la sua vigilanza su affidabili­tà e puntualità degli chef. Un monitoragg­io in grado, già oggi, di contenere i ritardi superiori ai 10 minuti in una forbice che non sfora il 10 per cento degli ordini totali. La strategia, severa ma efficace, è escludere i cuochi non all’altezza degli standard, che colleziona­no lamentele o si attorcigli­ano in insopporta­bili lungaggini.

Panorama è dentro la sede di Berlino della società, un edificio austero con mattoni a vista all’esterno, interni candidi e parecchio luminosi. È in pieno centro, a una passeggiat­a dal Duomo e accanto al suggestivo lungofiume della Sprea. Qui, sparse su cinque piani, lavorano mille persone; tutto il gruppo vale circa 4,4 miliardi di euro, ma il clima è da start-up e l’ottimismo che si respira tra mobili dal design sobrio e quadri di golosità internazio­nali pare fondato: «In media, un individuo si fa portare a domicilio tra i 16 e i 20 pasti l’anno. Ma ne consumiamo un migliaio» sottolinea Goes, sottintend­endo che i margini di crescita sono notevoli e la migrazione verso dinamiche digitali del tutto logica: «Il 95 per cento delle volte» prosegue «l’ordine si fa al telefono. Che senso ha? È macchinoso per il cliente e per il ristorator­e».

Secondo il sito di statistich­e Statista.com, nel

nostro Paese a fine anno il settore varrà 3 miliardi di euro; per il 2021 la stima è di 6,8 miliardi. Decisivo è il salto di qualità delle proposte: da pizze e hamburger per studenti a delizie di livello. Coccole per il palato per le quali si è disposti a spendere: il carrello medio globale di Foodora nel 2016 è stato di 27 euro. Non poco. Con un nesso da tenere in conto: l’aumento della flotta di fattorini, i ragazzi che sfrecciano per le città carichi di sushi, risotti e dintorni. Solo il gruppo Delivery Hero ne conta 15 mila a livello globale. Un esercito. Che in Italia, più di una volta nei mesi scorsi, ha scioperato per il passaggio dalla retribuzio­ne oraria a quella a cottimo, pilastro e motore della cosiddetta «on demand economy», del meccanismo che fa funzionare Uber e tutti quei servizi in cui la paga varia con la frequenza della domanda e la tempestivi­tà del servizio reso.

Foodora stipula con i suoi corrieri un contratto di co.co.co. che prevede contributi Inps, assicurazi­one Inail, 4 euro a consegna più le mance. Sulla base della disponibil­ità di ognuno, li recluta quando i suoi algoritmi prevedono, per ciascuno, una media di almeno due ordini ogni 60 minuti. Ed evitando il sovraffoll­amento se le richieste languono: «Questo sistema» chiosa il manager «garantisce una remunerazi­one competitiv­a

e quella flessibili­tà che cercano. Per esempio, per poter fare un altro lavoro».

Seduto a un lungo tavolo della caffetteri­a dei suoi uffici berlinesi, Goes sceglie sempre con cura le parole, sbottonand­osi appena quando racconta della sua passione per la velocità: auto sportive, go kart che raggiungon­o i 180 chilometri orari in pochi attimi. «I miei colleghi» dice in mezzo a un sorriso «sostengono che io ami la logistica perché, come in pista, la differenza la fa il tempo, è questione di secondi». Ottimizzar­e le consegne resta infatti la sfida principale per Foodora e per i suoi concorrent­i. Un obiettivo che include vari percorsi. «Ad Amburgo» spiega «stiamo sperimenta­ndo piccoli veicoli che si guidano da soli. Ma non sono convenient­i perché obbligano ristorator­i e clienti a uscire per strada». Mentre il fattorino entra nel locale, prende l’ascensore, bussa alla porta. «Inoltre, alla luce delle norme attuali, i nostri corrieri sono tre volte più rapidi delle vetture senza conducente». Per ora, insomma, vince ancora l’elemento umano.

Il manager brasiliano cova anche una visione rivoluzion­aria. Da una parte, immagina nuove generazion­i di ristoranti dedicati alle sole consegne a domicilio, senza servizio al tavolo, che possono quindi dare un’attenzione totale alla preparazio­ne e al confeziona­mento dei piatti. In Inghilterr­a sta già succedendo. Dall’altra prevede la discesa dei prezzi (conseguenz­a diretta dell’aumento della domanda), con la certezza del momento del recapito e menu tagliati su misura del gusto del singolo utente, senza più bisogno di metterci ai fornelli. «Sarà soltanto un hobby, una passione» scommette: «Riflettiam­oci un attimo. Oggi nessuno pensa a cucirsi i vestiti da solo, in passato era l’abitudine». Ecco il sogno molto interessat­o di Eduardo Goes: case del futuro senza più cucine. (Twitter: @MarMorello)

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Il gruppo Delivery Hero, di cui Foodora fa parte, può contare su un esercito di quindicimi­la fattorini-corridori nel mondo.
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città del mondo con 60 mila partner locali. È a Milano da un anno, ma l’azienda non dà dati precisi: parla di centinaia di cucine e di corrieri.
1OO città del mondo con 60 mila partner locali. È a Milano da un anno, ma l’azienda non dà dati precisi: parla di centinaia di cucine e di corrieri.

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