Tra mito dei Giganti e storia degli uomini
C’è il fascino mediterraneo di Porto Cervo e della Costa Smeralda. Ma la grande bellezza di Olbia sta nelle pietre che risalgono all’origine del mondo, nelle chiese dove si respira il soffio di una fede arcana.
Tra i luoghi più luminosi del mondo, e contemporaneamente fuori dal mondo, in un tempo senza tempo, con la stessa forza evocativa di Micene, ci sono le «Tombe dei giganti». Assolutamente imprevedibili e inattese, rispetto alla percezione che si ha della città odierna di Olbia, in Sardegna. Partendo dall’Italia siamo arrivati in un altro continente; ma Olbia si è dotata di uno dei più importanti aeroporti, non per sé ma per la vasta e ormai mitologica Costa Smeralda. Una mitologia moderna che ha soverchiato e fatto dimenticare la mitologia antica.
Si arriva a Olbia, città percepita come moderna, per andare a Porto Cervo, a Porto Rotondo, a Porto Raphael. Si pensa al mare, alle rocce, alla luce, ai paesaggi più belli del mondo, che ci sono sempre stati ma che non erano raggiunti, vissuti, conquistati. Oggi mezzo mondo popola d’estate la costa Smeralda, ma pochissimi si avviano a tre chilometri da Olbia verso le Tombe dei giganti. E fanno male, perché le Tombe dei giganti ci fanno percepire una dimensione diversa, eroica, dell’uomo in un rapporto con la natura che sembra abitata dal Dio.
Le dimensioni sono sovrumane. Grandi lastre di pietra conficcate nella terra, a identificare uno spazio che pare dominato da un uomo-guida di un esercito di uomini di cui restano le ossa. Un santuario con evidenti intenzioni celebrative. A pochissima distanza dall’aeroporto di Olbia si trova la Tomba dei Giganti di Su Monte de s’Ape. Ma vediamo prima come doveva essere la struttura originale di uno di questi sepolcri nuragici. L’intero monumento funerario era probabilmente ricoperto da un tumulo di terra e pietre. Frontalmente, la struttura era delimitata da un’esedra. Questa era forse l’unica parte che rimaneva scoperta. Al centro si trovava una enorme stele granitica scolpita (alta fino a 4 metri), che alla base mostra una piccola apertura, presumibilmente per l’ingresso nella tomba. Al suo interno, il sepolcro era costituito da una camera funeraria lunga dai 5 ai 15 metri e alta un paio di metri.
C’è chi ha interpretato queste tombe
in chiave antropomorfica, immaginando una visione impossibile, dall’alto, come ci consente un drone. Ecco allora che l’area se-
polcrale sembra ricordare la testa di un toro e, per altri, addirittura, la stilizzazione di un utero, come il bacino e le gambe aperte di una partoriente. La Madre Terra? Il semicerchio sarebbe quindi una rappresentazione delle gambe umane con al centro l’utero che ci collega al mondo dell’aldilà. Più che la realtà dell’impresa architettonica questa è certamente una suggestione che potrebbe far riferimento a un significato simbolico nel rapporto tra i vivi e i morti. I morti non sono morti; e, infatti, in questo luogo avvertiamo la presenza dei giganti. Intuitivo, pertinente, riferimento popolare all’aura del luogo. Pochi monumenti sepolcrali ci comunicano questa così forte emozione. Morte e vita, nella civiltà nuragica, sono mondi comunicanti, spazi interferenti come il mistero della nascita, il passaggio dal corpo della madre al figlio che esce per entrare nel mondo.
Nelle Tombe dei giganti, la morte, per un’unica volta, è madre. E ciò non era soltanto per gli eroi ma, in una comunità dei morti come quella dei vivi, per tutti: le Tombe dei giganti ospitavano sepolture collettive, all’apparenza senza distinzione di classe. Gli ossari ritrovati contengono fino a duecento scheletri. Ciò evoca il sacro, celebrazioni religiose o sacrifici in quell’area. La Tomba dei Giganti di Monte de s’Ape ha, intatte, queste caratteristiche. Della stele centrale era rimasta solo una parte. L’intera opera, grandiosa nel concetto, è lunga 28 metri, per 6 di larghezza; la galleria sepolcrale è lunga oltre 10 metri. Per tali dimensioni quella di Monte de s’Ape è una delle più grandi Tombe dei Giganti dell’isola.
La costruzione del monumento fune
rario, come in molti altri casi, è passata per diverse fasi. La forma a pianta rettangolare risale al periodo prenuragico (Bronzo antico: 1800-1600 a.C.), con l’utilizzo di pietre meno lavorate e con la sola presenza della stanza funeraria. Anche alcune delle lastre di copertura risalgono a quel tempo. In piena epoca nuragica (intorno al 1600 a.C.) la costruzione fu modificata e integrata con nuovi elementi architettonici. La facciata monumentale a esedra e il rivestimento della camera funeraria con un paramento esterno risalirebbero infatti allo stesso momento.
Usciti da questo tempo immemorabile, mille anni, duemila anni prima di Cristo, entriamo nel centro della città di Olbia con il cielo conquistato dagli aerei. Vediamo dall’alto, e sentiamo da terra, l’aria parzialmente incontaminata del parco nazionale della Maddalena, con rocce le cui dimensioni fanno intendere l’umana competizione delle grandi lastre delle Tombe dei giganti. Gli uomini che sentono Dio ne vogliono continuare l’impresa di creazione. Poi l’uomo perde il respiro con la natura e, nell’arco del tempo, si fa più piccolo, non abbraccia altra umanità, ma cerca di difendersi.
Così nasce il castello di Pedres, con una funzione difensiva, e sempre costruito con pietre locali. Il mondo cristiano ha il suo presidio in quella pietra nella basilica di San Simplicio, sorta su un tempio di origine romana, tra XI e XII secolo. È austera, romanica, con la grazia di un piccolo campanile a vela. Curiosa anche la chiesa di San Paolo, con la meravigliosa cupola di ceramica policroma a motivi geometrici. Infine, il millenario museo che ci trasporta, in un solo fiato, dal mondo nuragico, ai fenici, ai greci, ai romani, ai sardi, per ciò che sono stati e, più di noi, continuano a essere.