Portaborse in nero? Ai partiti va bene così
Nonostante le denunce e gli scandali, Camera e Senato non fanno passi avanti per la riforma del regolamento sugli assistenti parlamentari.
Sono i collaboratori parlamentari, volgarmente conosciuti come portaborse. Ovvero coloro che lavorano alle dipendenze di deputati e senatori. Un popolo di un migliaio di persone, in molti casi sfruttate. I più fortunati hanno contratti a tempo determinato o a partita Iva da 800 a 1.200 euro mensili. Gli altri sono pagati in nero o contrattualizzati nei modi più fantasiosi, anche (è capitato) come colf o badanti. Insomma, una giungla.
A Montecitorio ogni deputato percepisce 3.690 euro come «rimborso delle spese per l’esercizio del mandato» (4.100 euro i senatori), di cui solo la metà deve essere rendicontato (1.845 euro). Denaro con cui andrebbero pagati anche i collaboratori. La voce di corridoio, però, è che molti onorevoli quei soldi se li mettano in tasca o li girino al partito. Da quando non c’è più il finanziamento pubblico, infatti, le casse languono e tutto fa brodo.
Il 5 ottobre i portaborse hanno protestato davanti a Montecitorio per chiedere di essere pagati direttamente dall’amministrazione delle Camere, come avviene al Parlamento europeo. In questo modo ci sarebbe più trasparenza, si eviterebbero il «nero» e situazioni ambigue, e il singolo eletto non gestirebbe più quei denari in libertà. Tutto ciò incontra però le resistenze delle forze politiche.
Per questa modifica occorre una delibera votata a maggioranza in Ufficio di presidenza, che è composto da 22 deputati in rappresentanza dei rapporti di forze in Aula. Il Pd, che in base ai numeri è decisivo, nicchia. Matteo Renzi, appena tornato alla carica sul taglio dei vitalizi, potrebbe invece sposare la più facile causa dei portaborse: con i suoi voti la delibera passerebbe senza difficoltà. Dopo aver detto di sì (spinti dalle inchieste giornalistiche)e poi fatto retromarcia, ora sembra che i dem avanzeranno una nuova proposta. Ma, con l’avvio della manovra di bilancio, non è detto che la partita si chiuda in tempo entro la fine della legislatura. Alla Camera Laura Boldrini sul tema si è spesa molto ma si è rivelata impotente. In Senato, invece, è tutto fermo. Tanto che Palazzo Madama non ha mai nemmeno fornito il numero degli assistenti contrattualizzati. (Gianluca Roselli)