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non si divincolano, non sbattono la porta. Eppure appaiono inesorabilmente vittime, è sempre colpa del maschio anche quando la femmina si abbandona, per interesse o lussuria, chiudendo gli occhi e sognando l’Oscar, sbrigando la pratica per aggiudicarsi il copione, o per trovare marito. Se tutto è stupro, nulla è stupro. L’atto violento è coercizione, non ammette la possibilità di dire no. Weinstein ci prova in modo insistente e volgare, blandisce le prede, le implora, offre loro una seduta di sesso orale. Lo respingono le giovanissime Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow le cui carriere non saranno per questo stroncate. L’allora 21enne Asia Argento invece non si sottrae, al primo incontro ne fa seguire altri in un’amicizia durata oltre cinque anni e puntellata di collaborazioni artistiche e non solo.
Che Weinstein fosse un porco era risaputo a Hollywood. Così come era riconosciuto il suo talento per gli affari. Tra i 328 film a lui accreditati ci sono Pulp fiction, Il paziente inglese, Shakespeare in love. Weinstein era notoriamente un cafone infoiato anche quando finanziava i Clinton e l’establishment liberal newyorkese si contendeva le sue attenzioni (secondo Business insider, dal 2000 a oggi ha versato al Partito democratico, come donazioni a personali, quasi 900 mila dollari cui vanno aggiunti oltre un milione e 400 mila raccolti con altri finanziatori). Oggi Weinstein è un uomo finito, la moglie lo ha mollato, Hillary si dice «scioccata» e annuncia la restituzione del denaro, sulla sua figura si scatena una damnatio inappellabile. Come se i vizi privati sotto le lenzuola polverizzassero, in un istante, le fatiche di una vita. «Tutti noi in questa stanza, prima o poi, abbiamo fatto qualcosa di cui vergognarci. Anche il Dalai Lama avrà fatto qualcosa di cui vergognarsi» ha dichiarato provocatoriamente Gay Telese esprimendo solidarietà verso l’attore Spacey. «Vorrei chiedere a lui» ha aggiunto «come ci si sente a perdere il successo di una vita di duro lavoro per dieci minuti di indiscrezione risalenti a venti anni fa». Il protagonista di House of cards, 83 film all’attivo e due volte premio Oscar, ha scelto il momento della caduta per un coming out sul suo essere gay sempre rinviato.
Nel suo caso, la scintilla dello scandalo è il racconto dell’attore Anthony Rapp: in una notte di trent’anni fa, dopo un festino alcolico, il 24enne Spacey tentò un approccio sessuale; Rapp, 10 anni meno, lo respinse e lui si addormentò. Tanto è bastato per annientarne la reputazione e privare noi, spettatori incolpevoli, del talento di Frank Underwood (nella sesta stagione, annuncia Netflix, si farà largo la moglie Claire). Tra i maschi che cadono come birilli, il ministro della Difesa britannico è costretto alle dimissioni per sfioramenti di ginocchia risalenti a 15 anni or sono. Un ex ministro gallese, sposato con due figli, si toglie la vita. A casa nostra, dopo la denuncia a «Le Iene» di una decina di aspirantiqualcosa con volto pixellato e voce contraffatta, il regista Fausto Brizzi sospende le attività lavorative e cede le quote societarie; mentre la Warner Bross Entertainment Italia fa sapere di «sospendere ogni futura collaborazione con Brizzi», il cui nome rischia di sparire dai crediti del prossimo cinepanettone. Del resto, perché recarsi in procura quando c’è Italia1? Giustizia è fatta.