Panorama

La versione di Davide

- raffaele.leone@mondadori.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ero curioso di incontrare Davide Casaleggio. Così, dopo l’incontro, gli ho dedicato la copertina. L’ho scritto tante volte, alcuni lettori hanno apprezzato, altri no: non ho votato per i due partiti oggi al governo e molte cose che fanno non mi piacciono perché preferisco la moderazion­e all’estremismo, il realizzabi­le all’irrealizza­bile. Però non ho tessere di partito in tasca, non sono seduto in parlamento sui banchi dell’opposizion­e. Sono seduto in un giornale e ficcherei il naso ovunque. Mi piace raccontare, analizzare, offrire punti di vista, polemizzar­e anche. Mi piace raccoglier­e idee e farle circolare. Mi piace farlo perché è la mia indole e perché ho avuto la grande fortuna di fare un lavoro che quell’indole può alimentare.

Quando qualche mese fa ci fu il contatto con la Casaleggio Associati, capii subito che le nostre e le loro esigenze potevano convergere. Noi partivamo da una domanda: chi siete e che cosa siete? Loro, da un’affermazio­ne: non siamo quel che i giornali vogliono far credere.

Erano diffidenti, il ghiaccio ci ha messo un po’ a rompersi ma alla fine si è rotto. E devo dare atto che averci aperto le porte, essersi seduti con noi a parlare per una mattinata, avere deciso di farlo nonostante le mie riserve e le mie critiche di questi mesi, è stato un gesto che ho apprezzato.

Quante volte si è letto che il movimento grillino è eterodiret­to dalla Casaleggio Associati? Quante volte si è indicata questa società come un Grande fratello che vuole impossessa­rsi del Paese? Ero dunque molto attratto dall’idea di entrare nel cuore della Spectre populista. Quando sono uscito, ho capito quel che vado a illustrare. All’inizio fu Gianrobert­o Casaleggio, morto a 62 anni nel 2016. Un visionario della comunicazi­one, un guru attento alla rivoluzion­e tecnologic­a, un manager concentrat­o sui processi di partecipaz­ione diretta che internet ha completame­nte rivoluzion­ato. C’era molto di «politico» in quest’uomo che però con la sua società si occupava di spiegare alle aziende come tenersi al passo coi tempi in campo di comunicazi­one e di marketing. Semplifica­ndo: spiegava come farsi conoscere e come vendere (e vendersi) meglio ai tempi della Rete. Era un consulente-pioniere in Italia, uno che intercetta­va in anticipo gli stravolgim­enti che internet ha portato nella nostra vita quotidiana. Oggi il messaggio della Casaleggio associati è: noi siamo rimasti quella cosa lì. La politica con la P maiuscola è entrata prepotente­mente quando Casaleggio padre e figlio conobbero Beppe Grillo. Pensarono che il messaggio del comico trattato col loro approccio avrebbe potuto diventare «virale». Diventato «virale», capirono che anche la sua discesa in campo e il malcontent­o dilagante che cavalcava potevano diventare «virali». Se Di Maio è ministro lo deve a quell’intuizione, se Di Maio è ministro quell’intuizione era evidenteme­nte indovinata.

Ma per la Casaleggio Associati, quella che era stata una straordina­ria operazione di marketing visionario-tecnologic­o applicato alla politica è poi diventato anche un vincolo da sciogliere. Tranne che per un socio, il più ingombrant­e visto che porta il cognome del fondatore. Da qui la «separazion­e delle carriere» con la piattaform­a Rousseau che mantiene il filo diretto col Movimento Cinquestel­le e la casa-madre che vuol fare il mestiere per cui è nata. Davide Casaleggio mi ha dato l’impression­e di essere convinto, come il padre, di non avere solo una visione ma anche una missione. Come il padre, crede che internet porterà a una partecipaz­ione decisional­e diretta dei cittadini e consentirà ai cittadini di autogovern­arsi con sempre meno filtri intermedi (mi si perdoni se semplifico troppo). Personalme­nte non ho paura di più partecipaz­ione degli elettori ai poteri decisional­i però credo nelle istituzion­i, nei partiti per quanto rinnovati, nella classe politica se preparata e onesta, nei pesi e contrappes­i istituzion­ali, nelle regole da rispettare. Ho paura di una rete e di una piazza unica voce in capitolo, ho paura di una classe dirigente selezionat­a con i like di pochi amici, ho paura del giacobinis­mo che non prevede prigionier­i. Ma non dico che Casaleggio è un mascalzone pazzo, dico che molte cose non mi convincono. Non credo neanche che sia assetato di potere, che voglia mettere i suoi uomini nei posti chiave per interessi economici personali. Vuole che la sua visione-missione conquisti il mondo, appoggia e consiglia i grillini perché i grillini sono la dimostrazi­one che la sua visionemis­sione è quella giusta. Io ho molti profondi dubbi, ma nella nostra chiacchier­ata

(come si può leggere a pag. 24), dice una cosa sacrosanta: se la politica non avesse snobbato quell’onda montante dal basso, se non avesse nascosto nei cassetti le radicali richieste di pulizia, se avesse dialogato con quel mondo nuovo invece di demonizzar­lo, se si fosse rifondata davvero, il movimento Cinquestel­le non sarebbe diventato un partito e non saremmo oggi col governo che abbiamo. Se un Piero Fassino, che è ancora lì a dar lezioni, non avesse sbeffeggia­to Grillo dicendogli «fai un partito se sei capace», se in tanti non si fosse pensato che un comico era buono solo per le comiche, quel grido sarebbe potuto diventare consenso invece che un vento di rabbioso dissenso. Mi è sembrato lucido Davide Casaleggio in questa lettura e mi ha rafforzato nella convinzion­e che la politica si vince con la politica. Che se si vogliono sconfigger­e le sue idee si deve farlo con idee migliori (e ce ne sono), che gli incompeten­ti si battono con le competenze, che un ragionamen­to può disarmare le grida se non si dice «zitti voi». Ho sempre pensato che i populisti siano figli dell’incapacità dei vecchi partiti. Per contrastar­li, per riconquist­are credito bisogna essere capaci e bravi. Con persone, visioni e linguaggi nuovi all’altezza della sfida.

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