Dizionario
Le urla mi svegliano in piena notte. Accendo la luce, ma è tutto ovattato: neon e garza. Sono sotto una zanzariera azzurra. Mi alzo e m’affaccio alla finestra; le urla aumentano d’intensità, ma sono oltre la cinta del mio piccolo hotel, nel centro di Ouagadougou (per tutti Ouagà), la capitale del Burkina Faso. Questo teatro invisibile dura quasi un’ora. Al mattino scendo per colazione e chiedo al cameriere cos’è successo. Un ladro, mi risponde. Ah, d’accordo. È ancora qui fuori, aggiunge. Decido di andare a vedere, la colazione può aspettare. Un capannello di gente svela il dove. Mi avvicino (in questi casi, mentalmente, conto sempre i passi che mi servono per rientrare). Al centro, ancora a terra, c’è il ladro massacrato di botte, non riesce a muoversi e il respiro gli balzella dentro, come un ingranaggio malmesso. Ma è vivo e accanto a lui c’è la prova principe: un borsone ormai vuoto. Tutti guardano, nessuno parla. Il capo della strada infine mi spiega, in un bel francese. È la seconda volta. La prima - col dito indica un rigonfiamento sul polso del giovane uomo - gli si spacca il braccio. Ma se ci ricasca: finisce così. E se succede una terza volta? Chiedo. Scuote la testa: dalla terza non c’è ritorno. A colazione, sentendomi al sicuro, filosofeggio col cameriere e concludo che anche nel Sahel vigono i tre gradi di giudizio. Ma perché, dopo tante ore, lo lasciano ancora lì? Silenzio tattico del cameriere. Mi allineo: se non serviva la polizia prima, non serve l’ambulanza adesso, giusto? Mais évidemment, monsieur.
(Alessandro Turci)