Panorama

I giochi sulla pelle della Libia

- Chiara Clausi)

La Libia è di nuovo nel caos.

Sul terreno bande di miliziani combattono a Tripoli, mentre a livello diplomatic­o le potenze tessono la loro rete di interessi. Francia, Egitto ed Emirati appoggiano il generale Khalifa Haftar ( foto), Italia e Usa puntano, tramite il premier Fayez Al Serraj, a un compromess­o nel solco della mediazione Onu. Ognuno gioca le proprie carte: l’ex ambasciato­re libico ad Abu Dhabi, Aref Al-Nayed, è volato a Mosca per convincere i russi a sostenere il voto subito e la sua candidatur­a. L’Italia ha strappato agli Stati Uniti l’accordo sulla conferenza che si terrà a novembre a Palermo o a Roma. Karim Mezran, analista dell’Atlantic Council, spiega gli interessi della forze in campo e i possibili scenari.

Che effetto potrebbe avere questo caos?

Se da una parte gli egiziani, gli emiratini e i francesi continuano a sostenere Haftar, il Qatar i gruppi di Tarhuna e Samoud del colonnello Sala Al-Badi e, dall’altra, gli italiani i misuratini, non se ne uscirà mai. La Libia va incontro a una guerra civile o a una battaglia su grande scala tra Haftar e le milizie della Tripolitan­ia. In tutto questo, il sud del Paese è in uno stato di guerriglia tra i migranti e i gruppi armati del Ciad, del Sudan e della Nigeria.

Quindi cosa si dovrebbe fare?

Urge un accordo internazio­nale che convinca i libici a riformare il consiglio presidenzi­ale, che da nove membri si riduca a tre. Tali membri avranno il compito di nominare (su suggerimen­to della comunità internazio­nale) un premier forte, non politicizz­ato, che formi un gabinetto e che, con l’accordo di Haftar e delle milizie, rifaccia partire l’economia, riporti sicurezza nelle città e ai confini e aiuti a risolvere il problema degli sfollati. Il tutto per arrivare a elezioni dopo un anno.

Come?

Bisognereb­be far sì che personaggi autorevoli mettano la faccia nella firma dell’intesa. Non come è avvenuto nel 2015 per gli accordi di Skhirat in Marocco, dove si erano riuniti dei signor nessuno. Con il risultato che alla fine ognuno ha pensato a sé, ai propri amici e ai propri parenti.

Quali sono le bande che si fronteggia­no sul campo a Tripoli?

Le principali sono quelle dei salafiti di Abdel Rauf Kara, quelle di Abu Salim e quelle di Haitham Tajouri. A parte i salafiti, gli altri non hanno una vera matrice ideologica: sono un coacervo di bande locali. Gli unici che possono avere una matrice ideologica (nel senso che vogliono fare la rivoluzion­e) sono quelli di Salah Badi e quelli di Tarjouna.

Come interferis­ce invece la comunità internazio­nale?

Francia ed Emirati vogliono che Haftar vinca le elezioni per portarlo al potere attraverso una legittimaz­ione. Perché se Washington non è d’accordo, non può imporlo. E il generale non ha la capacità di prendersi il Paese con le armi. Stati Uniti e Italia, invece, non vogliono che francesi ed emiratini impongano Haftar, tramite il voto, al mondo intero.

E la Russia come si sta muovendo?

A Mosca importano solo i suoi interessi. Parla con entrambe le fazioni, fa da mediatrice, cerca di ottenere qualche vantaggio. Bisogna stare a vedere.

Chi potrebbe uscire vincitore dalle elezioni?

Difficile fare un pronostico. Per quanto riguarda le lezioni legislativ­e, sarà importante la legge elettorale. Se invece la Libia dopo un referendum, previsto per gennaio, avrà una Costituzio­ne, si potranno tenere le elezioni in tarda primavera. Potrebbe essere la strategia di chi vuole tenere al potere Al Serraj. Usa ed Egitto invece vorrebbero formare un governo che duri un anno, e che dopo si vada al voto. Sarebbe un piano più produttivo. Traccheggi­are non è vantaggios­o: conviene solo ai corrotti e a chi approfitta di questo stato di insicurezz­a. (

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