Panorama

Jacques Attali: «Le élite politiche sono malate»

- di Luca Telese

Per l’economista Jacques Attali, amico di Emmanuel Macron (ed ex-consiglier­e di Mitterand e Sarkozy), le classi dirigenti dei partiti, in tutta Europa, sono inadeguate. «Non hanno ascoltato le esigenze della gente. E noi francesi sappiamo bene che in qualsiasi momento il rinnovamen­to può trasformar­si in ghigliotti­na». Ma la soluzione non è il vento populista.

Professor Attali, come legge la crisi dell’ideale di una Europa unita che stiamo vivendo in questa fase storica?

Non sono un politico. Parlo come un intellettu­ale che studia i fenomeni e prova a interpreta­rli con i suoi strumenti analitici.

Anche in Francia sembra che tutto ruoti intorno al conflitto tra «popolo» ed «élite»?

Credo che il problema sia lo stesso dappertutt­o. Ma non parlerei di una crisi delle élite in generale. Non mi sembra la definizion­e migliore. È un equivoco.

Perché?

Voglio farle un esempio. Lei vede qualcuno che mette in discussion­e il talento di Ronaldo? Ha sentito qualcuno dare dell’incompeten­te a Messi?

A dire il vero no.

(Sorriso) Ecco vede? Anche loro sono élites, «la classe dirigente del calcio» in Europa. Ma nessuno si sognerebbe di dire: «Mandateli a casa e al loro posto mettete in campo un incapace preso dalla strada!».

Capisco dove vuole arrivare....

Ciò che voglio dire è: a essere in crisi sono le classi dirigenti, ma solo quelle della politica. E per un motivo ben preciso.

Quale?

Abbiamo globalizza­to il mercato senza globalizza­re le regole democratic­he. La crisi di consensi inizia qui. Da questo squilibrio e da una mancata risposta.

Ma che cosa scatena, secondo lei, il malcontent­o verso l’Europa?

Di fronte a questa ondata di rabbia le politiche tradiziona­li degli Stati nazione si sono rivelate troppo fragili o incerte. Abbiamo perso capacità di protezione sociale dei ceti più deboli.

Quindi?

Siamo arrivati di fronte a un bivio, ci sono solo due strade da perseguire: o si riformano e si rafforzano le istituzion­i europee.....

Oppure?

(Sospiro) ... Oppure il ritorno degli Stati nazionali, agli occhi di una larga fetta di cittadini, sembrerà l’unica via percorribi­le per salvarsi.

Addirittur­a.

Oh sì. Ovviamente io sono convinto del contrario. Bisogna salvare gli ideali dell’Europa unita. Ripartire da qui.

Jaques Attali, 75 anni, economista,

saggista, decano dei politologi europei, è uno dei più ascoltati intellettu­ali francesi: ha un cognome italiano e un rapporto stretto con il nostro paese. È stato consiglier­e di François Mitterrand. Oggi, come spiega in questa intervista, si ritiene «un buon amico» del presidente Emanuel Macron. Lo intervisto a Roma, dove è venuto a tenere una conferenza a porte chiuse, lo «strategy council», un seminario di analisi organizzat­o da Deloitte-italia. Ci troviamo a Villa Miani, seduti a un tavolino, in una splendida terrazza rinascimen­tale, affacciati sul panorama incantato della città, in un albergo immerso nel verde. Attali parla in francese, fa battute in italiano, all’occorrenza interloqui­sce anche in inglese. Ma il suo cruccio, anche nella «lezione» che tiene agli imprendito­ri invitati da Deloitte, è il parallelo tra la prima fase della rivoluzion­e francese e quella attuale: «Nessuno meglio di noi francesi lo sa. Quando sei nel mezzo di una rivoluzion­e» spiega «devi sapere che in qualsiasi momento il rinnovamen­to gentile può diventare ghigliotti­na».

Professore, ripartiamo dallo scenario che ha appena accennato?

Certo: mai, dal dopoguerra a oggi, nelle nostre democrazie ci siamo trovati in una situazione così grave.

Che cosa la preoccupa di più?

L’impotenza della classe politica. Sono le élite della politica a essere contestate. Sono loro che faticano a trovare le nuove risposte. È una crisi dei suoi rappresent­anti: i nostri leader vivono in un perenne sentimento di impotenza.

Perché?

(Sorriso amaro). Forse perché le difficoltà sono molto grandi. E forse anche perché loro non sono la prima scelta? I migliori delle ultime generazion­i non puntano al Parlamento, ma a fare soldi e affari.

Questa «diserzione» da che cosa è

determinat­a?

Spesso i «competenti» pensano di poter riuscire meglio in altri campi. Il mestiere della politica perde di prestigio, è sempre più esposto ai sentimenti dell’opinione pubblica, si fa vulnerabil­e.

È un’analisi pessimisti­ca.

Realistica, direi. Il solo luogo politico dove si avverte un potere reale, quello da dove si ha ancora l’impression­e di poter determinar­e le scelte, sono le amministra­zioni locali.

È così anche in Italia. E da noi la crisi di rappresent­anza delle vecchie classi dirigenti è ancora più forte.

In Francia abbiamo avuto un’anomalia storica rispetto agli altri, che in qualche modo ci ha tutelato di più.

Quale?

Da noi lo Stato ha creato la Nazione, e non il contrario, come da voi.

I patriottis­mi tedeschi e italiani si sono risvegliat­i solo grazie al Romanticis­mo.

Noi abbiamo avuto la monarchia, la rivoluzion­e e la Repubblica. Ma i problemi arrivano anche in Francia, e sono gli stessi che da voi.

Per esempio?

Se le imprese non stanno bene se ne vanno e delocalizz­ano. Se licenziano, chi perde il lavoro non ne trova uno nuovo se la concorrenz­a a basso costo diventa pervasiva... è ovvio che su tutta l’Europa si abbatta la grande tentazione. Quella del ritorno al protezioni­smo.

Cosa pensa dei populismi?

In Italia avete ne due diversi, in competizio­ne tra di loro. Noi ne abbiamo addirittur­a due contrappos­ti: uno di destra e uno di sinistra.

Che cosa pensa di Matteo Salvini e di Marine Le Pen?

In sintesi? Sono molto abili, tenaci, cinici e pericolosi.

Lei li considera pericolosi?

Sì, perché offrono risposte semplifica­te e spesso irrealizza­bili. Perché hanno trasformat­o l’Europa in un bersaglio. Perché lavorano sul malcontent­o pensando di cavalcarlo.

Però questo sentimento esiste.

Ovvio. Sono inquietant­i le conseguenz­e della messa in discussion­e della classe politica. E poi la strana idea che se si perde fiducia nei «competenti» si arriva all’assurdo di considerar­e l’incompeten­za una virtù. È in questa fase che il populismo diventa pericoloso. La rivoluzion­e francese è iniziata con la messa in discussion­e di una classe dirigente ed è arrivata alle decapitazi­oni.

Noi a che punto siamo?

Al primo segnale di allarme: l’apologia dell’ignoranza.

Anche le élite possono suicidarsi...

Oh, certo. Ma l’anti-elitismo elevato a regola è sempre un azzerament­o delle intelligen­ze. Può diventare una ghigliotti­na metaforica. Vorrei che si evitasse questo scenario.

Cosa pensa degli eurocrati?

Non li amo. Ma so che le istituzion­i, che restano, ci proteggono dai rischi meglio dai governanti, che passano.

La sinistra subisce la crisi più della destra?

Sì, perché non riesce a rispondere alla prima domanda: quale deve essere il suo progetto?

Per lungo tempo la risposta è stata implicita: il progetto è il governo.

Temo che non funzioni così, nemmeno se sei al governo. Ma quando perdi, se non c’è un progetto forte che si inscrive in un quadro di garanzia sociale, la sinistra non ha molto da dire.

È già accaduto?

Certo. Nel 1971, in Francia, la gauche era nella stessa condizione. Divisa, disorganiz­zata, senza idee. Quattro anni dopo Mitterrand l’aveva rimessa in piedi.

Le elezioni per l’europarlam­ento di marzo sono le più importanti della storia.

Bisogna evitare che in questo voto prevalga un sentimento anti-europeo.

Per un valore astratto?

No, per un pericolo concreto. Gli Stati Uniti pensano ai loro interessi, la Cina diventa superpoten­za capace di una politica egemonica, noi senza l’Europa siamo soli. Nous sommes seuls!

Ma quali sono i valori che lei vuole difendere?

La democrazia. Siamo la parte più antica, piu colta, forse più bella, più ricca e più disarmata del mondo.

Perché dice questo?

Se vogliamo tutelare questo patrimonio dobbiamo costruire una politica comune di difesa europea, e tutelare insieme le nostre frontiere.

Perché non emerge un leader che sposi questo valori?

(Sospiro e sorriso). Non lo so. Me lo sto chiedendo. L’Europa è considerat­a la causa dei problemi e non la soluzione.

Ha simpatia per Macron?

Non prendo parte nella politica. Sono un suo amico. E spero, questo sì, che possa avviare una «rivoluzion­e positiva» a tutela di questi valori.

Corbyn ha appena chiuso il congresso del Labour.

È positivo che abbia messo al centro della sua azione l’idea della giustizia sociale.

Qual è il primo valore che lei vorrebbe tutelare?

L’interesse delle generazion­i future. E le politiche ecologiche di lungo termine, lo stato sociale, le politiche educative.

È già un programma di governo.

(Sospiro) Non credo di essere bravo a raccoglier­e consensi. Ma sogno una Europa che diventi l’avanguardi­a di un progetto di economia sostenibil­e. Sono certo che fin quando i mercati resteranno più forti della democrazia perderemo tutti.

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Jacques Attali, 75 anni, economista, è uno dei più brillanti e ascoltati intellettu­ali francesi.

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