Zingaretti vola sul Pd, e Renzi arranca
Renzi cerca un nome da schierare alle primarie del Partito democratico ma nessuno è disposto ad accettare. Intanto i sondaggi danno Zingaretti sicuro vincitore.
Salvate il soldato Renzi. O perlomeno ciò che resta del renzismo. E sì, perché Matteo e i suoi sodali sono messi davvero male. Lo certificano i sondaggi, riservati e non: al momento, alle primarie del 27 gennaio convocate per eleggere il nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti non ha rivali. Doppierebbe, in termini di consensi, persino lo stesso Renzi qualora decidesse di correre. Né il governatore del Lazio avrà grandi problemi dall’altro candidato (quasi) ufficiale in campo, ovvero Francesco Boccia, peraltro pure lui notoriamente avverso al Giglio magico.
Al (fu) rottamatore, dunque, sempre più nel panico, non restano che tre opzioni. La prima è trovare un nome che possa competere con Zingaretti. La seconda, caldeggiata da Luca Lotti, invita alla salita sul carro del favorito. La terza opzione è la meno accreditata ma, stante la situazione, anche la più probabile: l’uscita di scena di Renzi dalla politica
italiana. Finora il senatore di Scandicci ha scartato l’ipotesi Lotti. E infatti si è messo a cercare un candidato spendibile per le primarie. Prima ha valutato alcune figure, come quelle di Matteo Richetti, Debora Serracchiani e Carlo Calenda. Poi ha interpellato Graziano Delrio, Ettore Rosato e Marco Minniti. Ma mentre su alcuni (Richetti, Serracchiani e Rosato) ha cambiato idea lui stesso, gli altri non si sono lasciati persuadere.
Calenda e Minniti sanno che in questo momento candidarsi in nome e per conto di Renzi potrebbe risultare letale per la loro reputazione politica. Altra cosa sarebbe se sui loro nomi ci fosse un’ampia convergenza della quindicina di correnti che popolano il Pd, di cui però almeno una dozzina non vogliono avere più nulla da spartire con il renzismo. Inoltre leggenda vuole che Delrio abbia rifiutato adducendo una motivazione personale, più o meno la seguente: «Matteo caro, noi siamo amici. Ma se io diventassi segretario del Pd, seppur in accordo con te, tempo un paio di settimane e tu cominceresti a farmi la guerra. Anche quando in partenza sei mosso dalle migliori intenzioni, poi ti scatta il demone del comando. Sei fatto così: non sopporti che qualcuno diriga qualcosa al posto tuo. Ti è già capitato con altri amici, a partire da Gentiloni. E io non ho alcuna voglia di mettermi a litigare. Con te come con altri».
A proposito di Gentiloni, pure lui ha respinto
un tentativo di riavvicinamento ( vedi box in alto). Né altri candidabili si intravedono all’orizzonte. Tranne una: Maria Elena Boschi. La ex ministra per le Riforme sta pianificando di correre per la segretaria. Anche in caso di sconfitta, infatti, si qualificherebbe come leader della corrente renziana, che senza un candidato uscirebbe a pezzi dalle primarie. Per questo l’ex ministra si è anche affidata alla migliore agenzia di comunicazione su piazza, la Comin & Partners. E il suo attivismo mediatico - tv, carta stampata, social - sta crescendo con il trascorrere delle settimane. Infine, la prima buona notizia (per lei) sul caso di Banca Etruria l’ha resa ancora più sicura di sé. La Procura di Arezzo ha infatti chiesto l’archiviazione del padre per il reato di «falso in prospetto». Ora Pierluigi Boschi deve affrontare soltanto (si fa per dire) il procedimento per bancarotta.
Tuttavia, la potenziale candidatura di Boschi (figlia) convince poco anche Renzi. «Maria Elena» sarebbe la sua valutazione «è brava ma dovrebbe aspettare un po’: risulta ancora troppo respingente. Non è come Simona Bonafè», cioè come l’unica renziana sicura di vincere le primarie locali, nel suo caso quelle per la segreteria della Toscana. Ecco dunque spiegato perché potrebbe teoricamente trovare una sua forza l’ipotesi avanzata da Lotti, convinto della necessità di tentare l’accordo con Zingaretti per non rimanere tagliati fuori dalla nuova stagione del Pd. Però il governatore, almeno per ora, non ha alcuna voglia di siglare quello che chiama «il bacio della morte».
D’altronde da mesi sostiene la necessità di superare il passato, riunire le forze riformiste, proteggere i più deboli; sono mesi, insomma che Zingaretti dice cose di sinistra alla Jeremy Corbyn: altro che la narrazione ultraliberista renziana. Dunque Matteo - indispettito al punto da fingere di non vedere Nicola in piazza del Popolo il 30 settembre - difficilmente cercherà l’accordo con il vincitore annunciato. In assenza di un suo candidato forte, Renzi eserciterà la terza opzione in campo: il «liberi tutti». L’uomo, infatti, sta seriamente pensando di lasciare l’Italia in anticipo per puntare poi sull’Europa, complici le elezioni di primavera. Annunciata questa scelta, ognuno andrebbe per la sua strada. E chissà, forse un giorno assisteremo alla incredibile diaspora del Giglio magico, con Boschi capocorrente e Lotti zingarettiano. È il renzismo, bellezza: spregiudicato per natura.