Cina. La sua Africa
Il continente nero sta diventando sempre più giallo. Perché l’invasione economica, politica e anche militare di Pechino sembra inarrestabile. Xi Jinping assicura che non è neocolonialismo, ma in alcuni Paesi c’è già insofferenza per un’espansione troppo ingombrante.
La grande celebrazione è andata in scena a Pechino a inizio settembre, quando si è tenuto il forum Cina-Africa che ha glorificato la cooperazione e ha rinnovato l’impegno cinese nel continente, con nuovi aiuti finanziari, investimenti e prestiti in varie forme per un totale di 60 miliardi di dollari (aggiuntivi rispetto alla stessa cifra già promessa in occasione del forum in Sudafrica, nel 2015).
La Cina si presenta come un partner affidabile per l’Africa, continente in cui ha interessi vastissimi e su cui conta per le proprie iniziative, a cominciare dal maxi-progetto Belt and Road di connessione infrastrutturale tra Asia, Europa e Africa. Secondo uno studio McKinsey, dall’inizio del terzo millennio a oggi la Cina è passata dall’essere un piccolo investitore ad avere un ruolo di assoluto primo piano, con flussi finanziari più alti del 15 pr cento rispetto alle cifre ufficiali, e una presenza molto più corposa di quella che traspare dai dati del ministero del Commercio di Pechino, stimata in circa 10 mila imprese, per il 90 per cento private. I colossi statali hanno una presenza più forte soprattutto nei settori dell’energia e delle infrastrutture. L’89 per cento dei dipendenti sono africani.
Il presidente cinese Xi Jinping ha tenuto a sottolineare che la Cina non insegue «progetti narcisistici, non interferisce negli affari interni africani e non vuole imporre la propria volontà». Il rapporto con i vari Paesi africani, però, vive anche momenti controversi. Michael Sata, già nel 2007, prima di diventare presidente dello Zambia, scriveva che «lo sfruttamento coloniale europeo rispetto a quello cinese appare benigno, perché anche se lo sfruttamento commerciale era cattivo allo stesso modo, gli agenti coloniali hanno anche investito nelle infrastrutture sociali ed economiche, mentre gli investimenti cinesi sono interessati solo a prendere tut- to quello che si può prendere, senza alcun riguardo per il benessere delle popolazioni locali». Ad agosto scorso, secondo il giornale The Namibian, il presidente della Namibia, Hage Geingob, aveva discusso animatamente con l’ambasciatore cinese nel Paese, Zhang Yiming, che voleva indirizzare il suo discorso al forum di Pechino verso contenuti positivi sulla cooperazione. «Lei non dovrebbe dirci cosa dovremmo fare» è stata la reazione seccata del presidente namibiano. «Non siamo marionette».
Dallo sviluppo dell’iniziativa Belt and Road ai collegamenti ferroviari, dagli interventi nelle aree di crisi alla sfera militare, passando per l’approvvigionamento delle risorse e per la costruzione di parchi industriali, l’influenza cinese in Africa è complessa e piena di sfaccettature che sembrano trovare un punto in comune nella trappola del debito che tiene molti Paesi africani alla mercé di Pechino.
GIBUTI
Nel novembre 2015 venne annunciata la decisione di realizzare una base navale a Gibuti, la prima in assoluto all’estero. Inaugurata l’1 agosto 2017, in occasione del 90° anniversario dalla fondazione dell’Esercito di liberazione popolare. la base, spiegava l’agenzia Xinhua, servirà per «la cooperazione militare, gli esercizi congiunti, l’evacuazione e la protezione dei cinesi all’estero, le operazioni di emergenza e il mantenimento della sicurezza in rotte marittime strategiche».
ETIOPIA
La Cina ha salutato come una pietra miliare della cooperazione l’apertura della ferrovia Addis Abeba-Gibuti (grandi progetti ferroviari riguardano anche altri Paesi, dal Kenya alla Tanzania). Inaugurata nell’ottobre 2016, la tratta da 752 chilometri, costata quattro miliardi di dollari, è stata realizzata da due giganti del settore: China railway engineering e China civil engineering construction. La tratta accorcia a 12 ore, rispetto ai tre-quattro giorni di viaggio, i tempi di percorrenza per la connessione ai porti di Gibuti, su cui l’Etiopia fa affidamento per il 90 per cento del suo commercio con l’estero. La presenza cinese ad Addis Abeba si espande oltre il settore dei trasporti: interi quartieri, parchi industriali e il quartier generale dell’Unione africana sono stati realizzati da gruppi di Pechino.
SENEGAL
Dopo la visita di Xi del luglio scorso, il Senegal è diventato il primo Paese dell’Africa occidentale a firmare un documento di cooperazione sulla Belt and Road Initiative. «Ogni volta che vengo in Africa vedo il dinamismo del continente e le aspirazioni del suo popolo allo sviluppo», ha detto Xi, al presidente senegalese, Macky Sall. In Senegal, la Cina era già presente con un finanziamento alla tratta ferroviaria che collega le due maggiori città del Paese, la capitale Dakar e Touba, e con la realizzazione di parte di un parco industriale sempre a Dakar.
ANGOLA
Ai primi posti tra gli esportatori di greggio verso la Cina, l’Angola ha un ruolo chiave per l’approvvigionamento delle risorse. Da quando i due Paesi hanno intrapreso relazioni diplomatiche, nel
NON DOVETE DIRCI COSA DOBBIAMO FARE, NON SIAMO MARIONETTE