Perchè la Russia non mi convince
Oggi Vladimir Putin è il modello di riferimento per molti politici occidentali, Matteo Salvini incluso. Ma al di là del deficit democratico e di una narrazione nazionalista, il Paese più vasto del mondo continua ad avere problemi giganteschi. A cominciare da un Pil inferiore a quello dell’Italia.
Non è certo il primo né l’unico, ma di sicuro è un caso clamoroso di abbaglio collettivo.
Molti, forse la maggioranza degli italiani e non solo degli italiani, pensa alla Russia come a un paese ricco, ben governato e considera Vladimir Putin come un leader che merita grande rispetto se non, come nel caso di Matteo Salvini, un’incondizionata ammirazione. In Italia prendere fischi per fiaschi con la Russia non è una novità, nuova è l’identità politica di chi si lascia abbagliare. Oggi è la destra italiana ed europea che guarda a Putin come a un supereroe. Forse perché quando l’orso russo vuole qualcosa dà una zampata e se la prende?
In effetti, quale migliore esempio di sovranismo di quello offerto da uno Stato che per sradicare il terrorismo ceceno ha
massacrato centinaia di migliaia di innocenti? Che per fermare la corsa a occidente dei suoi vicini si è annessa l’Ossezia, poi la Crimea e il Donbass ucraino? Che arresta ogni volta che parla in pubblico quell’Alexei Navalny rimasto l’unico leader dell’opposizione in campo? Che perseguita ed elimina giornalisti e scrittori, rapper e femministe, spie ed ex spie? Un tempo erano milioni i militanti e simpatizzanti comunisti e di sinistra convinti che l’Urss - al di là di «alcuni tratti illiberali» (come diceva Enrico Berlinguer, il segretario del Partito comunista italiano) - fosse il paradiso del proletariato e un modello da imitare.
Allora, anche a Roma come nell’intelligentsia europea, imperava l’ideologia salvifica del comunismo; anche contro l’evidenza, contro ogni prova e confronto. Si bollavano come propaganda borghese e imperialista i dati che contraddicevano il mito sovietico e tanto bastava. Non c’era tempo da perdere in dettagli: la produzione di grano - quarant’anni dopo la rivoluzione - era ancora inferiore a quella, pessima, del periodo zarista? Gli inverni gelidi ancora portavano carestie? La replica era scontata: tutte, senza eccezioni, non erano nient’altro che fandonie, calunnie reazionarie, infamie della Cia destinate a suscitare il disprezzo della classe operaia.
Da allora tutto è cambiato ma non la struttura dispotica del potere che a Mosca rimane lontanissima da quello cui i suoi cittadini hanno diritto e da quel che il resto del mondo gradirebbe. Peccato. Una Russia non compromessa dal ricorso alla forza e ai complotti per restaurare il suo ruolo di grande potenza e più attenta al benessere del suo popolo avrebbe naturalmente un posto d’onore, il suo posto, tra le grandi nazioni. Invece il Paese più grande del pianeta, il meno popolato e il più dotato di risorse energetiche, ha un Pil in cifra assoluta inferiore al nostro e un tenore di vita dei suoi cittadini pari a un terzo di quello dell’Italia che è cinquanta volte più piccola e ha meno della metà di abitanti!
L’ultima notizia da Mosca è l’aumento - causa le spese militari - dell’età pensionabile da 60 a 65 anni in un Paese in cui l’aspettativa di vita è di soli 67! Non ci si crede eppure la demokratura di Vladimir Putin è lo Stato guida, il modello alternativo all’Unione europea cui guarda Matteo Salvini.