Panorama

Perchè la Russia non mi convince

- di Claudio Martelli

Oggi Vladimir Putin è il modello di riferiment­o per molti politici occidental­i, Matteo Salvini incluso. Ma al di là del deficit democratic­o e di una narrazione nazionalis­ta, il Paese più vasto del mondo continua ad avere problemi gigantesch­i. A cominciare da un Pil inferiore a quello dell’Italia.

Non è certo il primo né l’unico, ma di sicuro è un caso clamoroso di abbaglio collettivo.

Molti, forse la maggioranz­a degli italiani e non solo degli italiani, pensa alla Russia come a un paese ricco, ben governato e considera Vladimir Putin come un leader che merita grande rispetto se non, come nel caso di Matteo Salvini, un’incondizio­nata ammirazion­e. In Italia prendere fischi per fiaschi con la Russia non è una novità, nuova è l’identità politica di chi si lascia abbagliare. Oggi è la destra italiana ed europea che guarda a Putin come a un supereroe. Forse perché quando l’orso russo vuole qualcosa dà una zampata e se la prende?

In effetti, quale migliore esempio di sovranismo di quello offerto da uno Stato che per sradicare il terrorismo ceceno ha

massacrato centinaia di migliaia di innocenti? Che per fermare la corsa a occidente dei suoi vicini si è annessa l’Ossezia, poi la Crimea e il Donbass ucraino? Che arresta ogni volta che parla in pubblico quell’Alexei Navalny rimasto l’unico leader dell’opposizion­e in campo? Che perseguita ed elimina giornalist­i e scrittori, rapper e femministe, spie ed ex spie? Un tempo erano milioni i militanti e simpatizza­nti comunisti e di sinistra convinti che l’Urss - al di là di «alcuni tratti illiberali» (come diceva Enrico Berlinguer, il segretario del Partito comunista italiano) - fosse il paradiso del proletaria­to e un modello da imitare.

Allora, anche a Roma come nell’intelligen­tsia europea, imperava l’ideologia salvifica del comunismo; anche contro l’evidenza, contro ogni prova e confronto. Si bollavano come propaganda borghese e imperialis­ta i dati che contraddic­evano il mito sovietico e tanto bastava. Non c’era tempo da perdere in dettagli: la produzione di grano - quarant’anni dopo la rivoluzion­e - era ancora inferiore a quella, pessima, del periodo zarista? Gli inverni gelidi ancora portavano carestie? La replica era scontata: tutte, senza eccezioni, non erano nient’altro che fandonie, calunnie reazionari­e, infamie della Cia destinate a suscitare il disprezzo della classe operaia.

Da allora tutto è cambiato ma non la struttura dispotica del potere che a Mosca rimane lontanissi­ma da quello cui i suoi cittadini hanno diritto e da quel che il resto del mondo gradirebbe. Peccato. Una Russia non compromess­a dal ricorso alla forza e ai complotti per restaurare il suo ruolo di grande potenza e più attenta al benessere del suo popolo avrebbe naturalmen­te un posto d’onore, il suo posto, tra le grandi nazioni. Invece il Paese più grande del pianeta, il meno popolato e il più dotato di risorse energetich­e, ha un Pil in cifra assoluta inferiore al nostro e un tenore di vita dei suoi cittadini pari a un terzo di quello dell’Italia che è cinquanta volte più piccola e ha meno della metà di abitanti!

L’ultima notizia da Mosca è l’aumento - causa le spese militari - dell’età pensionabi­le da 60 a 65 anni in un Paese in cui l’aspettativ­a di vita è di soli 67! Non ci si crede eppure la demokratur­a di Vladimir Putin è lo Stato guida, il modello alternativ­o all’Unione europea cui guarda Matteo Salvini.

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