Il pennello del samurai
Il sofisticato Museum Rietberg di Zurigo dedica una personale a Nagasawa Rosetsu artista giapponese coevo di Goya e autore di preziosi paraventi di templi.
L a notizia è che la tigre più famosa del Giappone è approdata a Zurigo per la mostra Rosetsu. Ferocious brush al Museum Rietberg, fino al 4 novembre. Noto a svizzeri e connoisseur, che ne lodano gli edifici affondati nel verde e una programmazione focalizzata su culture lontane, il museo è da noi pressoché sconosciuto. Come non troppo popolare risulterà il nome del pittore, nel deserto di mostre a lui dedicate presso i nostri lidi. Accade quando l’egemonia culturale impone a ripetizione i blockbuster della sensibilità popolare nostrana, i maestri incisori Hokusai, Hiroshige e Utamaro.
Ma in ambito nipponico, Nagasawa Rosetsu, contemporaneo di Francisco Goya e morto a 45 anni, non ha mai perso rilevanza. È perciò un’occasione rara vederlo qui, con una monografica in Occidente. Ci ha messo tre anni la retrospettiva a venire alla luce, dopo aver fatto un lungo giro: «Troppo complicata o troppo costosa, o entrambe, la giustificazione con cui molte istituzioni declinavano» racconta Matthew McKelway, professore alla Columbia University e curatore della mostra assieme a Khanh Trinh, resident
curator al museo dei dipartimenti d’arte giapponese e coreana. Infine, il tempio zen Muryōji a Kushimoto è stato ricostruito al Rietberg esportando l’intero complesso di pareti divisorie. «Per la prima volta esce dal Giappo
ne, forse l’ultima, grazie alla coincidenza della ristrutturazione dell’edificio sacro, dove alloggia l’iconica tigre» racconta la curatrice. Leggenda vuole che il felino e un dragone di simili proporzioni (spalmati su 12 porte scorrevoli dette «fusuma») ai lati dell’altare fossero stati dipinti da Rosetsu in una sola notte. Proveniente da una famiglia di samurai, l’artista, brillante allievo di Maruyama Okyo con il vizio del sake, divenne una specie di sensazione nel circuito del clero buddhista e tra i facoltosi mercanti della Kyoto imperiale, che lasciò per svolgere la commissione presso il tempio di provincia nel 1786.
Il metodo prevalente consisteva nel dipingere con i pannelli stesi a terra, ma in questo caso tutto lascia supporre che l’esecuzione sia avvenuta «all’impiedi». «Considerato un artista non ortodosso del cosiddetto movimento degli eccentrici, esibisce una stupefacente modernità di linguaggio se pensiamo che risale a 230 anni fa» dicono i curatori. Nelle scene e i paesaggi a decoro dei paraventi che completano la mostra, un totale di 54 pezzi con cui si dà conto anche del suo stile più tradizionale su rotoli e pannelli, compaiono cani pienotti e buffi con uccelli dagli occhi espressivi che paiono usciti da un cartone animato. Come curioso è lo sguardo della tigre, per nulla intimidatoria. A far da modello fu probabilmente un gatto.