LA FORMULA INGLESE: TORNARE SOCIALISTI
Fino a ieri il laburista puro e duro Jeremy Corbyn pareva una figura anacronistica. Oggi invece è diventato il punto di riferimento per la sinistra europea in crisi.
Ripartire da Jeremy. All’inizio non ci avrebbe scommesso un penny neppure lui. Raccontano che nel 2015, alla vigilia della sua candidatura alla leadership laburista, Jeremy Corbyn avesse preparato due comunicati stampa: uno per la vittoria e uno da inviare nel caso non fosse riuscito a racimolare i 35 endorsement necessari a candidarsi. Figuriamoci se credeva che qualche anno più tardi sarebbe divenuto il punto di riferimento a cui tutti guardano per ricostruire una sinistra europea credibile.
Con il suo passato radicale mai rinnegato e la sua immagine da outsider perfino nell’ambito del suo stesso partito, il vecchio leone rosso con la barba e i pantaloni sgualciti è riuscito a far dimenticare il New labour di Tony Blair troppo morbido con i banchieri e gli industriali. Non solo: ha anche fatto resuscitare l’amore per la politica, soprattutto nei giovani che si erano sentiti traditi da una sinistra ormai senza ide- ali, che aveva portato il loro Paese nella guerra del Golfo sulla base di una bugia. Così, dopo aver conquistato la guida del partito, Corbyn è riuscito a raddoppiare il numero degli iscritti e a ottenere il 40 per cento dei voti alle elezioni anticipate del 2017: il miglior risultato dal 2001 in poi. La ricetta di un tale successo sfugge agli altri politici. Eppure è semplice: Corbyn è sempre lo stesso.
Nato 68 anni fa a Chippenham, è figlio di un ingegnere elettronico
e di un’insegnante di matematica che si erano innamorati durante la Guerra civile in Spagna, dove avevano combattuto per la Repubblica contro Francisco Franco. Il suo impegno sindacale inizia a 18 anni alla National union, appena finito il politecnico, e la sua avventura politica sette anni dopo, quando viene eletto al Local council di Haringey. In Parlamento siede, senza interruzioni, dal 1983 come rappresentante laburista di Islington. Pacifista e vegetariano, si muove da sempre in bicicletta perché non possiede un’auto. Ha appoggiato ogni causa a favore dei diritti civili, votando contro il suo stesso partito per più di 500 volte in tre decenni. Il suo nome è stato spesso accostato alle battaglie portate avanti dal Sinn Fein, il braccio armato dell’Ira,
«IL MIO MESSAGGIO AI SOCIAL DEMOCRATICI È SEMPLICE: RIFIUTATE L’AUSTERITÀ»
e a quella per l’Irlanda unita.
Fervente antimonarchico, si è rifiutato di inchinarsi di fronte alla regina e di cantare l’inno nazionale. A vederlo così, sembra un inguaribile utopista, una figura anacronistica nel panorama attuale. Viene da chiedersi come mai, mentre tutti gli altri partiti di sinistra sono in crisi, soltanto lui resista. Secondo il politologo inglese Tim Bale il suo successo è dovuto più alla situazione contingente che a una nuova ricetta. «Il Labour di Corbyn ha promesso qualcosa di positivo alle ultime elezioni. I conservatori non l’hanno fatto» spiega Bale. «Inoltre i tories si sono spostati molto a destra, sia sul piano economico sia su quello dei valori, non lasciando agli elettori di centro nessun’altra opportunità se non quella di votare per i laburisti. Eppoi bisogna riconoscere che Corbyn durante la campagna elettorale è nel suo elemento. La May no».
Effettivamente Jeremy è a suo agio tra la folla, possiede sense of humour e ha un’empatia sconosciuta alla May. Il suo socialismo d’altri tempi ha proposte allettanti: l’abbassamento delle rette universitarie, la garanzia del salario minimo, la rinazionalizzazione di poste e ferrovie, l’aumento delle tasse per le multinazionali... Il suo motto «Per molti, non per pochi», nell’insegna dell’inclusione, è stato copiato anche da Liberi e uguali. Ma a Pietro Grasso e compagni non è bastato per conquistare gli stessi consensi di Corbyn.
Ciò significa che il corbinysmo non è un fenomeno esportabile? «Dubito che sia possibile» continua il professor Bale «perché le situazioni sono diverse. Detto questo, c’è un aspetto a cui i partiti di sinistra europei dovrebbero guardare ed è come Corbyn sia riuscito ad aumentare le iscrizioni al partito, attirando a sé i giovani idealisti e quella parte di cinquantenni depressi da quanto hanno visto negli ultimi anni». È comunque un dato di fatto che in Europa si guarda al leader laburista come a un esempio da seguire per ricostruire una sinistra in rovina. Al recente convegno dei socialdemocratici europei organizzato all’Aia, il suo discorso ha ottenuto un’ovazione.
Eppure è stato molto duro. «Il mio messaggio per i partiti socialdemocratici europei è semplice» ha detto. «Rifiutate l’austerità o sarete rifiutati dagli elettori.
Se i vostri partiti continueranno a presentarsi come parte dell’establishment, sostenendo un sistema economico fallito, controllato dai più ricchi e dall’élite, sarete osteggiati dagli elettori e la destra populista vi rimpiazzerà. I socialisti europei potranno guidare un cambiamento solo se si opporranno a un modello economico e sociale che mette i lavoratori gli uni contro gli altri, che svende i beni comuni per il beneficio di pochi e che favorisce senza vergogna le banche, le multinazionali e gli evasori fiscali».
Insomma, quello del leone rosso è un invito chiaro a fare un passo indietro, a tornare a una sinistra radicale. Una rivoluzione in senso antiorario per recuperare il terreno perduto. Senza dimenticare però che anche lui ha bisogno di essere meno ambiguo su alcune posizioni. Il feroce dibattito interno sulle accuse di antisemitismo, che ha tenuto banco per mesi sulle pagine dei giornali, è stato un fattore pericoloso per la sua immagine. «Sicuramente agli elettori ha fatto apparire il partito diviso» commenta Tim Bale. «Corbyn è apparso razzista e inaffidabile e il partito più preoccupato dei suoi affari interni che del terribile stato in cui versano i servizi pubblici del Paese, oltre che delle trattative con l’Unione europea».
Anche sulla Brexit il leader laburista dovrà essere più trasparente. Solo durante l’ultimo congresso ha appoggiato l’idea di un secondo referendum, in base alle richieste dell’opinione pubblica. Ma le sue antiche posizioni euroscettiche adesso possono risultare imbarazzanti. Corbyn lo sa e ha aggiustato la rotta. Perché se vuole continuare a piacere all’Europa, deve rassegnarsi a rimanerci.