MAZZA CHE BRAVO
Dopo una stagione straordinaria ha trascinato la squadra europea alla vittoria della Ryder cup. Ora che è entrato nella storia del golf, Francesco Molinari, dottore in Economia a Torino, può diventare il numero uno.
Avederlo e a sentirlo, Francesco Molinari non sembra un cannibale dello sport. E non solo perché il suo sport contempla fair play, eleganza dei gesti e dei modi. Ci sono golfisti sanguigni, passionali, anche cattivi. Chicco no. È un leader calmo. È un vincente contenuto. Alza il pugno al cielo, digrigna i denti, poi sorride. L’Europa lo ha appena portato in trionfo: simbolo e uomo chiave della vittoria in Ryder cup. Si porta a casa la coppa con il record di essere l’unico di sempre ad aver vinto cinque duelli su cinque nella competizione America contro Europa. Si porta a casa i cori da stadio, i video sul web, il suo nome inglesizzato per effetto della notorietà. È il suo anno. Perché dopo una buona carriera scandita da vittorie distribuite qua e là (Open d’Italia nel 2006, Hsbc tournament del World golf championship nel 2010, Open di Spagna nel 2012, di nuovo Open d’Italia nel 2016), ha visto se stesso diventare ciò che lui stesso e i suoi genitori avevano sempre sperato: un campione. S’è preso l’European masters Bmw a Wentworth a maggio e il Quicken loans (tappa del Pga tour). Poi il resto, cioè di più: una delle quattro gare del grande slam golfistico, ovvero l’Open championship, quello che si chiama anche semplicemente The Open, per antonomasia, perché tutti gli altri sono solo imitazioni, e che si chiamava anche British open: tanti nomi perché ha una storia ormai su tre secoli, con l’albo d’oro che comincia nel 1860. Chicco è il campione in carica e - manco a dirlo - il primo italiano a vincerlo. È nella storia del golf italiano e mondiale. Ed è così che s’è presentato alla Ryder cup in Francia. Il lascito dell’Open è stato tradotto in un’altra prestazione unica. E questa prestazione unica ora gli apre le porte a un futuro prossimo incredibile: Molinari è in testa alla Race to Dubai, una specie di Coppa del mondo a tappe, e ha quindi grandi possibilità di vincerla. Il finale sarà a Dubai dal 15 al 18 novembre. La chiusura di una stagione fenomenale, che l’ha portato al vertice della classifica e a diventare un Tiger Woods senza fisico, ma con un cervello e una storia che fa venire voglia di diventare golfisti. Laureato in Economia, come ha scritto Giuseppe De Filippi: «Ha valorizzato la strategia della stabilità e della crescita, ovvero investire sulla formazione, internazionalizzare. Il capolavoro della vittoria sul difficilissimo campo di Carnoustie. Può insegnare come si fa a migliorarsi dopo essere diventato un campione». Tutto nasce da piccolo, da un maestro bravo, attento, preciso. Uno di quelli che nella vita servono a tutti, figurarsi a chi vuole essere uno sportivo. In quel caso la vita ha scelto per lui, poi il sistema è cambiato: ha scelto da solo e non ha sbagliato. Coach bravi che hanno creduto in lui, ora è seguito da un intero gruppo di esperti, con diversi compiti: dal controllo di forma fisica e alimentazione, all’organizzazione generale di tutti i suoi spostamenti, dalla concentrazione e controllo dei nervi fino ovviamente alla tecnica golfistica. Tecnica che gli viene riconosciuta dagli avversari che lo rispettano. E lo temono. Capita ai numeri uno, o a chi sta per diventarlo.