Panorama

LETTERE AL DIRETTORE

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Non ho votato il Movimento 5 stelle, però ritengo degno di consideraz­ione il sogno riformista di Casaleggio di una democrazia diretta on line.

a) Il modello di democrazia indiretta è stato sempre motivato dicendo che è impossibil­e portare milioni di cittadini in un nuovo foro romano per votare le proposte di legge. Ora, però, l’evoluzione di internet, tutt’altro che conclusa, realizza un foro virtuale che non costa nulla, a differenza della politica parlamenta­re.

b) Si sostiene che la Costituzio­ne non prevede questo sistema. Grazie! Nel 1948 non esisteva la rete, poi la Costituzio­ne è revisionab­ile in maniera più radicale di quello che molti vogliono ammettere.

c) Alcuni sostengono che la «plebe» su internet non capirebbe nulla dei progetti di legge che vota. Voglio stendere un velo pietoso sulla preparazio­ne e competenza della maggior parte dei 945 «rappresent­anti della nazione».

d) L’istituto della rappresent­anza, in ogni settore della vita umana si basa essenzialm­ente sulla fiducia che il rappresent­ato ha del rappresent­ante. Ora, non serve una indagine demoscopic­a per sapere cosa pensa il cittadino dei politici di qualunque partito o colore politico.

Tramontata la vecchia politica, la democrazia non deve considerar­si morta. Può avere molti aspetti e contenuti nuovi. Marco Mingarelli (Bari)

Non mi spaventa la partecipaz­ione, mi spaventa affidare ogni decisione ai clic del popolo. Credo nelle istituzion­i, nei partiti, nelle rappresent­anze, nei pesi e nei contrappes­i e questa idea di togliere tutte le intermedia­zioni proprio non mi va giù. Lei dice che la Costituzio­ne è vecchia e non ritengo un tabù cambiarla. Ma se parliamo di vecchiaia la Rivoluzion­e francese è più vecchia. Non c’erano i clic ma c’erano la democrazia diretta della piazza e le picche con le teste degli oppositori infilzate sopra.

Egregio direttore, ho letto con interesse sia l’intervista a Casaleggio, sia il suo commento. Concordo con lei che quanto dicono al quartier generale dei Cinquestel­le è forse non sempre condivisib­ile, ma in linea di massima direi sensato.

Poi però ho avuto un’illuminazi­one sistemando una mensola del bagno, quando anch’io, come il dottor Emmett Brown del film Ritorno al Futuro, sono caduto e ho battuto la testa sul water. Ma anziché concepire il Fluido Canalizzat­ore, ho improvvisa­mente visto in tutta la perversità, il Grandioso Disegno Grillino.

Quando la Tata Automobili progetta un’auto destinata al mercato indiano, gli ingegneri hanno ben chiaro il concetto che tutto quello che non c’è, non si rompe. E quindi, con lo stesso principio, Casaleggio ha selezionat­o con lucida perfidia non solo chi non sa fare niente, ma anche chi non ha mai fatto niente, impedendo così che un passato eventualme­nte imbarazzan­te potesse pendere come spade di Damocle sulle testoline dei nuovi eletti.

Quante probabilit­à c’erano di trovare un consistent­e manipolo di italiani che dicessero castroneri­e, di cui essi stessi non comprendev­ano il senso e avessero tutte queste caratteris­tiche insieme? Nessuna. Sono cloni geneticame­nte modificati. Prova lampante ne è l’avversità di Di Maio & C. verso l’italiano, lingua che non è stata loro precaricat­a e che quindi devono imparare di corsa, a suon di scappellot­ti e tweet incomprens­ibili anche per gli analisti dell’Nsa. Credo sia finalmente chiaro a tutti che dietro i Cinquestel­le, non c’è la Casaleggio Associati, ma il Malvagio Signore dei Sith.

Che la Forza sia con noi. Mauro S.

Qui, si vola alto, tra le galassie cinematogr­afiche di Guerre Stellari. La principess­a Leila l’avrebbe arruolata nel suo esercito.

Ho letto il suo articolo sul Sud e condivido la sua analisi. Sono catanese e siciliano come lei. Ho frequentat­o al Nord, in epoca quasi medievale, le scuole superiori il che mi ha dato la possibilit­à di fare alcuni paragoni tra le due Italie già negli Anni ’70. Il destino ha poi voluto che rimanessi a Catania, avendo lì un lavoro. E ho anche messo su famiglia. Non ce l’ho con la città quanto con i suoi abitanti, con i politicant­i, con i gestori di servizi. Mi sono sempre risultati e rimasti estranei, salvo i veri amici. Per cui nessun legame sono mai riuscito a coltivare con questo luogo, splendido ma abbandonat­o e continuame­nte violentato.

Raggiunta infine l’età della pensione ed avendo ormai figli adulti ed inseriti nel mondo del lavoro a Catania (nonostante le avessi spronati ad andare via), per tutte le ragioni da lei esposte ho deciso di fuggire da questa città e mi sono trasferito non a Milano ma nella verde Umbria, in campagna, dove trascorro molti mesi dell’anno. Un altro pianeta: gentilezza, cordialità, vetture lasciate aperte, servizi efficienti. Eppure siamo sempre nello stesso Paese. Vi sarà un motivo.

Quando torno a Catania, già all’aeroporto, appena passato il varco degli arrivi, avverto un immediato malessere che mi spinge a prendere il primo aereo in partenza. Che fare? Oltre agli interventi da lei indicati proporrei una campagna di «civilizzaz­ione del siciliano in Sicilia».

Fabrizio Geraci

Partire dal nostro impegno civico consente di pretendere lo stesso impegno dagli altri.

Un Municipio di Roma intende intitolare una strada a Stefano Cucchi, il giovane tossicodip­endente morto in seguito a un violento pestaggio che avrebbe subìto da alcuni carabinier­i. A Torino, direbbero: «Giustizia rapida ed equa ai familiari del defunto ? Ma esagerùma nen !». O no ?

Pietro Mancini

Se quei carabinier­i hanno fatto quello di cui sono accusati andranno condannati senza sconti. Hanno tradito la legge. Ma che c’entrano i nomi delle strade? In Italia si fa politica anche con la toponomast­ica.

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