ECONOMIA Crescere senza banche, la scommessa del Sud
Decine di aziende a Napoli e in tutta la Campania scelgono di strutturare meglio la loro attività per trovare risorse alternative al credito. Anche se restano troppo prudenti su Borsa e private equity.
Si fa business all’ombra del Vesuvio. A dispetto dei luoghi comuni e anche di qualche pregiudizio, a Napoli, come a Salerno e nel resto della regione, si moltiplicano i segnali che indicano la presenza di molte aziende sane, solide e desiderose di crescere. Non a caso il programma Elite, promosso da Borsa Italiana, che «le affianca in un processo di cambiamento culturale e organizzativo, le avvicina ai mercati di capitali, migliora i rapporti col sistema bancario e imprenditoriale, facilita l’internazionalizzazione» ha spinto la Campania al terzo posto per numero di aziende aderenti (52), dopo due pesi massimi come Lombardia e Veneto, quindi davanti a Emilia Romagna e Piemonte. Guardando i dati per provincia, Napoli è seconda dietro Milano (32 aziende, ma altre tre sono in arrivo) davanti a Torino, Brescia, Treviso, Bergamo e altre importanti realtà industriali. E anche Salerno è in buona posizione.
«Il programma Elite rappresenta il modo migliore di aiutare le nostre aziende a crescere e sviluppare una vera e più forte cultura d’impresa» dice il presidente di Unindustria Napoli e di Confindustria Campania, Vito Grassi «facendo comprendere che la gestione va allargata a manager esterni e che non è più scontato che la proprietà e/o la famiglia abbiano le competenze adeguate per processi di innovazione sempre più veloci».
Con un fatturato al di sotto dei 100 milioni, sono aziende attive nei settori più diversi: dalla logistica per l’industria aerospaziale (Ala) ai prodotti elettrici ed elettronici (Getra Power), dai servizi informatici (Protom) all’alimentare (Dolciaria Acquaviva). Nessuna di loro per ora ha mostrato interesse per la quotazione in Borsa sul mercato delle piccole e medie imprese (Aim), ma una buona parte ha portato comunque avanti delle attività di finanza straordinaria orientate alla crescita: nove fusioni/acquisizioni, sei emissioni obbligazionarie (con due società - Svas e Tecnocap - che hanno anche aderito all’innovativo basket bond, che mette insieme i mini bond di varie piccole aziende), un aumento di capitale. I risultati sono più che incoraggianti: con un fatturato aggregato di 3,6 miliardi e 13 mila dipendenti, dal momento del loro ingresso in Elite a oggi hanno registrato un buon aumento di ricavi (22 per cento), margini (11,8) e dipendenti (35).
«Gli imprenditori del Sud non amano l’idea di aprire
il capitale a nuovi soci: Elite dimostra che, avendo grandi difficoltà a interloquire con le banche, cercano strumenti alternativi» dice Amedeo Giurazza, napoletano, fondatore di Vertis, una delle pochissime realtà di private equity e venture capital nel Sud. «È la disperazione del piccolomedio imprenditore meridionale per il quale il problema non è tanto un tasso d’interesse più alto, ma l’accesso al credito tout court, indipendentemente dal costo. Tanto è vero che alcuni hanno spostato la sede al Nord per tentare di risolvere il problema» smorza gli entusiasmi Giurazza. «Qui più che di private equity c’è bisogno di private debt ( fondi che sottoscrivono non il capitale ma il debito delle imprese, attività per cui l’ultimo rapporto Aifi indica che la Campania raccoglie l’8 per cento delle risorse, dietro
Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana, ndr). Puntando sui micro bond a 5-7 anni, con 600 milioni di euro, per metà pubblici e metà privati, si potrebbero aiutare 250-300 aziende e creare molti posti di lavoro veri».
Proprio in questi giorni, intanto, arriva sul mercato un nuovo strumento, introdotto dalla legge di Stabilità dello scorso anno per dare più risorse alle aziende meridionali: Italia Ventures II - Fondo Imprese Sud è il fondo di private equity gestito da Invitalia Ventures, che fa capo a Invitalia, agenzia del ministero dello Sviluppo. Con una dotazione di 150 milioni (che raddoppiano perché può finanziare solo il 50 per cento degli investimenti, il resto spetta ai privati), si affianca a Italia Venture I che è invece un fondo di venture capital.
Lo gestirà un gruppo di manager con lunga esperienza nel private equity, guidati da Sergio Buonanno, ad di Invitalia Ventures, che a Panora
ma spiega: «Ci sono almeno 300 aziende, per la maggior parte in Campania e Puglia, che possono essere interessanti per dimensioni, redditività, business. Allargando un po’ i parametri, la platea può anche raddoppiare. È vero che la ricerca di un partner privato che ci affianchi può rallentare un po’ le procedure, ma è anche vero il contrario, cioè che un fondo può proporci un deal sul quale magari da solo non sarebbe andato avanti».
Perché, malgrado tutto, prima di investire nel Mezzogiorno ci si pensa sempre almeno due volte.