Il mondo che ispira i miei libri
Ex politico e oggi scrittore di fama, Jeffrey Archer ama i ristoranti italiani della sua Londra, l’arte del Caravaggio e il Duomo di Milano. Ma l’hotel del cuore è a Mumbai...
«Un guaio in attesa di scoppiare», disse di lui William Stephen Ian, primo visconte di Whitelaw, a un’esterrefatta Margaret Thatcher, che durante il suo mandato vide Lord Jeffrey Archer divenire vicepresidente dei conservatori inglesi. Un passato da grande atleta universitario, una carriera politica folgorante iniziata da giovanissimo, un debito da mezzo milione di sterline poco dopo i trent’anni e una straordinaria carriera da scrittore autore di blockbuster, cominciata a 34 anni con il romanzo Non un soldo di più, non un
soldo di meno, che fece subito il botto sul mercato editoriale e lo vede oggi pubblicato in 97 Paesi e 33 lingue. Insomma una vita che somiglia a un bestseller, proprio come il secondo volume della saga dei Clifton appena tradotta in Italia per Harper Collins, I peccati del padre. Atleta, uomo politico, drammaturgo… Quella di scrittore è solo una delle sue tante carriere. Un libro da cui ha tratto ispirazione nei momenti epocali della sua vita?
Racconto di due città di Charles Dickens. È la storia di un uomo che pensa di essere finito, senza speranze di vittoria e che invece riesce a ritornare da un’assurda depravazione, a sconfiggere i suoi nemici e anche a sposare la donna che ama. Il titolo che ha ora sul comodino?
Un gentiluomo a Mosca, di Amor Towles. Narra
le vicende di un aristocratico russo costretto a vivere in confino in un hotel per il resto della sua vita a causa della Rivoluzione. Se esce, gli sparano. Un viaggio da fare assolutamente. Se ami Caravaggio come lo amo io, la città è Roma, dove si possono ammirare 17 sue opere. Un posto del mondo che riesce sempre a commuoverla. Mumbai, assolutamente. Amo l’India, amo le sue persone. Così calorose, amichevoli e gentili. E il Taj Mahal Palace Hotel a Mumbai è il mio hotel preferito. Un ristorante che predilige, invece? Lucio Restaurant, un ristorante italiano in Fulham Road, a Londra. Fanno un gelato indimenticabile. Oltre al gelato, che sapori ama gustare in tavola? Spaghetti alla vongole, accompagnati da un buon bicchiere di rosso di Borgogna, il Nuits-Saint-Georges. Ma c’è un altro piatto che amo molto, britannico: la Shepherd’s pie, uno stufato di agnello con una crosta
di patate sopra. Ogni anno a Natale ai miei ospiti offro champagne e Shepherd’s pie. Alcuni vengono per le bollicine, altri per la torta. Il musicista che la accompagna nei momenti memorabili. Louis Armstrong. Per lui cantare era un gioco, gli veniva naturale, eppure era incredibile. Sapeva suonare la tromba come un angelo. L’opera d’arte che ha cambiato la sua visione della bellezza. L’artista che più amo è Bernardino Luini: oscurato da altri grandi del Rinascimento, meriterebbe più attenzione. Invece il quadro è
Sera d’estate sulla spiaggia di Souther della pittrice danese Marie Krøyer. Bisogna vederlo per capire perché ha trasformato la mia visione dell’arte: due donne su una spiaggia così eleganti, così piene di grazia, che non puoi fare altro che ammirarle a bocca aperta. Un film capolavoro. Almeno tre. Primo assoluto: La cena dei cretini. Poi
Le vite degli altri e infine un film inglese, L’uomo che uccise Liberty Valance.
Una foto che ama e che riguarda spesso. Sono due: Le baiser de l’Hotel de Ville di Robert Doisneau e Ragazza Afgana di Steve McCurry. Ne posseggo una copia, che tengo nella mia casa a Maiorca, dove passo tre o quattro mesi all’anno. Un edificio, una casa o un museo che definirebbe «perfetti». Lo Science Museum di Londra, di cui mia moglie è presidente, e il Duomo di Milano perché sulle sue terrazze posso ammirare più statue di quelle che potrei vedere in tutta l’Inghilterra. Infine, tutte le opere di Lord Norman Foster, che ha costruito edifici stupendi a Londra. Il più grande politico mai esistito? Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti. Ovvio che anche Churchill, Abraham Lincoln o la stessa Thatcher, con cui ho lavorato per 17 anni, sono stati grandi politici. Ma se devo sceglierne uno e uno solo, allora scelgo Jefferson. La sua definizione di politica. Il desiderio di servire gli altri. Magari non tutti la condividono, ma è di certo quella giusta.