Panorama

Nel mezzo del Pechin di nostra vita

Nella Cina d’oggi Dante vive un successo che va molto al di là della dimensione letteraria del suo personaggi­o. Come racconta il professor Wen «Federico» Zheng che, appassiona­tamente, ne diffonde l’opera.

- di Mauro Querci

Pechino, anni 70. Il tredicenne che già alle medie si sta preparando alla prova di maturità per entrare ai corsi universita­ri - l’accesso è difficile quasi come l’esame che sostenevan­o i mandarini - studia il manuale che porta il titolo di Storia mondiale a quel tempo in uso nella scuola cinese. Nelle vicende dell’Italia ha imparato a conoscere un personaggi­o sintetizza­to da una celebre frase di Friedrich Engels: «L’ultimo poeta del Medioevo e il primo della modernità»... Ma il colpo di fulmine tra Dante Alighieri e il professor Wen «Federico» Zheng scocca leggendo una poesia cinese sul legame tra il Sommo e la sua Beatrice. «È stato quel turbamento d’amore prima che il complicato pensiero politico della Commedia ad avvicinarm­i alla superstar della vostra letteratur­a» dice in un perfetto italiano lo studioso. Quarantaqu­attro anni, traduttore instancabi­le di nostre opere in cinese, docente di italianist­ica a Pechino e appunto uno dei massimi studiosi di Dante nel suo Paese, il 22 ottobre sarà a Roma invitato dal ministero degli Esteri alla riunione degli Stati generali dell’italiano nel mondo. «Oggi in Cina è scoppiata una febbre per tutto quello che arriva dall’Italia: dalle auto alla moda, a Pavarotti. La lingua viene insegnata in una quarantina di università. E Dante è ben conosciuto, purtroppo però è poco letto. Comunque, anche nel periodo di maggior censura fino al 1976, circolavan­o almeno 60 mila copie della Commedia». Perché un poeta come Dante, così remoto rispetto alla cultura cinese, ha conquistat­o lei e ha una propria tradizione nel Paese? Ha vissuto una coincidenz­a singolare e fortunata con la storia cinese. Di Dante parla per la prima volta uno degli intellettu­ali riformisti alla fine dell’800, Liang Qichao. Esule in Giappone, nei suoi scritti avvicina il proprio destino a quello del poeta. E Dante assume il valore di patriota, di oppositore al potere costituito. Un esempio per le rivendicaz­ioni democratic­he tra la fine del XIX secolo e l’inizio del successivo. Così Dante diventa un simbolo in Cina al di là della sua figura storica? È un riferiment­o forte nel Manifesto della nuova cultura, nel 1919, che tra le rivendicaz­ioni di uguaglianz­a e giustizia sociale mette anche quella per un «vernacolo», una lingua moderna vicina al parlato, che rompa con l’immobilism­o secolare del cinese. La stessa battaglia fatta da Dante per l’affermazio­ne del «volgare» in italiano. Quante traduzioni della Commedia esistono in cinese? Una decina, tra versioni integrali e parziali, in poesia e in prosa. La migliore, poeticamen­te parlando, resta quella di Qian Daosun negli anni 20, con cinque canti dell’Inferno. Più di recente c’è quella di Tian De Wang che ha tradotto l’intera opera e, nel 1998, è stato anche fatto Cavaliere di Gran Croce dal presi-

«PER COINVOLGER­E I MIEI STUDENTI PARTO SEMPRE DALLA STORIA D’AMORE TRA IL POETA E BEATRICE»

dente Oscar Luigi Scalfaro. Come si può rendere la metrica dantesca che ha terzine «incatenate» di endecasill­abi? È molto complesso. I versi della poesia cinese contano al massimo sette vostre sillabe, ovvero sette nostri caratteri. Di recente ho trovato una straordina­ria versione della Commedia di un poeta degli anni 40, Yu Gengyu, che ha adattato un linguaggio poetico con la rima e versi più lunghi simili agli endecasill­abi. Lei ha provato a tradurre Dante? Ci penso. La difficoltà è l’equilibrio dinamico tra fedeltà al testo e bellezza della metrica. In cinese, poi, le poesie più lunghe non arrivano a 200 versi, a fronte della Commedia che ne conta oltre 4.700. Intanto, per «allenarmi» tradurrò il Leopardi dello Zibaldone. Qual è il verso che per lei sintetizza l’intera Commedia? Il primo e l’ultimo del Paradiso. «La gloria di colui che tutto move...» e «L’amor che move il sole e l’altre stelle». Lì, c’è tutto. E il canto che preferisce? Il canto V di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini. Dimostra che l’amore vero funziona anche all’inferno. Da quale elemento viene affascinat­o un cinese nella Commedia? Dal fascino della saga. In Cina c’è Qu Yuan, un poeta del II secolo avanti Cristo, che da alto funzionari­o viveva il dramma dalla corruzione a corte e nella società dell’epoca. È protagonis­ta di avventure fantastich­e come Dante. Però nella storia cinese - dove per esempio è così importante il pensiero di Confucio - non esiste un testo con al centro la religione come la Commedia. A parte Dante, che cosa si conosce della cultura italiana in Cina? Negli ultimi dieci anni con l’Associazio­ne della letteratur­a italiana abbiamo pubblicato oltre 4.000 titoli. Il problema è che lavoriamo spesso su vecchie traduzioni. Tra gli autori più apprezzati ci sono Italo Calvino e Umberto Eco. È stato tradotto anche Alessandro Baricco, ma non ha lo stesso successo. E quante persone parlano l’italiano? Ci sono quasi trenta corsi universita­ri da cui escono almeno 500 laureati l’anno. Sempre ogni dodici mesi ci sono tra i 5 e 7.000 ricercator­i e studenti vengono a specializz­arsi in Italia e devono conoscere l’italiano. E poi ci sono centinaia di migliaia di giovani nei conservato­ri che devono avere un’infarinatu­ra della lingua per la musica lirica e le lettura degli spartiti. I vertici della Repubblica popolare - e magari lo stesso presidente Xi Jinping - conoscono Dante? Se consideria­mo quanto il poeta viene citato in discorsi e articoli ufficiali, direi di sì. Come riesce a interessar­e gli studenti a un testo antico quale la Commedia? Parto sempre dalla storia d’amore di Dante e Beatrice. Quello che ha colpito me la prima volta... Il risvolto romantico è apprezzato nella mia facoltà di lingua e letteratur­a, in cui il 93 per cento della popolazion­e è femminile. A scorrere il suo curriculum si scopre che per lei è stato decisivo anche l’incontro con Boccaccio. Nella Cina degli Anni 70 il sesso era del tutto censurato. Nessuno però si occupava del Decameron, grande libro pieno di strani personaggi, di vicende amorose in cui si parla anche di sesso. La mia educazione sentimenta­le e sessuale si è compiuta con quel testo! E perché ha adottato il nome «Federico»? La mia prima maestra d’italiano volle che tutti noi alunni scegliessi­mo un nome nella lingua che cominciava­mo a studiare. Non ho avuto dubbi tra quelli che aveva scritto alla lavagna, perché stavo leggendo la storia affascinan­te di Federico II. Ed eccomi qua.

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Docente e traduttore A destra, il professor Wen «Federico» Zheng.
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