L’attrice Jamie Lee Curtis, 60 anni, torna nel sequel di Hallowen.
La figlia di Tony Curtis e Janet Leigh oggi è anche scrittrice per l’infanzia. E dopo 40 anni torna nei panni della baby sitter nel sequel di Halloween, il suo primo film, vendicandosi del serial killer che la tormenta: «Dopo #Metoo non c’è nulla di più a
La prima cosa che vuole sapere è se l’Italia si è ripresa dalla mancata partecipazione all’ultimo mondiale, o se c’è ancora lutto nazionale. E lei come lo sa, le piace il calcio? «Mi piace tutto quello che piace alla gente, che smuove dibattiti, passioni. Io facevo il tifo per i paesi più piccoli, per esempio l’Islanda, sono sempre stata dalla parte degli underdog, gli sfavoriti, gli svantaggiati, le vittime sacrificali. Mi sarebbe piaciuto anche vedere il Messico campione del mondo, sai che schiaffo a quel tipo che vuole tenerli lontani con un muro. E oltretutto vincono un sacco di Oscar…». Jamie Lee Curtis, ultimi giorni da cinquantenne (il 22 novembre ne compie 60), capelli corti, occhiali, vocione e risata contagiosa, è di buonumore. Figlia di Tony Curtis e Janet Leigh, sposata dal 1984 con Christopher Guest, attore e musicista inglese insieme al quale ha adottato Annie e Thomas, Jamie è pure baronessa (il marito ha ereditato dal padre il titolo di barone di HadenGuest nella contea dell’Essex). E ora, ennesimo capitolo del romanzo di una vita singolare, in cui si è anche trasformata in scrittrice di successo di libri per l’infanzia (è già al dodicesimo titolo), torna al suo primo film. Siamo negli Universal Studios, e non le pare vero che sia lo stesso posto dove lavorava 40 anni fa, quando, da figlia predestinata della nobiltà hollywoodiana, aveva ottenuto un contratto di sette anni, per dedicarsi soprattutto a serial televisivi. Invece fece un filmetto, Halloween- La notte
delle streghe, budget di appena 325 mila dollari, che incassò 47 milioni (equivalenti oggi a 184), lanciò la mania dei serial killer cinematografici ed entrò anche nel costume. Il suo personaggio, Laurie Strode, studentessa e babysitter, presa di mira dal serial killer Michael Myers, assurse al ruolo di «final girl», come viene definita nell’horror la sopravvissuta. In tutti questi anni nessuno ha potuto dimenticare la storia, perché fra sequel e reboot ci sono state altre nove versioni. E ora Jamie si cimenta con la decima, che, è diversa, perché è il sequel diretto dell’originale, come se tutto il resto non fosse mai esistito. Contenta di poter festeggiare di nuovo Halloween? Sì, perché non è l’ennesimo rifacimento, ma la naturale prosecuzione dell’originale. Michael Myers ha rovinato la vita a Laurie: lo stress post-traumatico di quella notte le ha causato due divorzi e ha perso l’affidamento di sua figlia, ora a sua volta mamma. Ma non è certo una nonna debole e piagnucolosa, bensì armatissima. Si è preparata all’eventuale ritorno di lui per 40 anni, è prontissima a fare i conti e da preda trasformarsi in cacciatrice. Quando la sceneggiatura è stata scritta, non
era ancora esploso l’uragano #Metoo. Ma potrebbe esserci qualcosa di più attuale? Come è stata contattata? Il regista, David Gordon Green, era il regista di Stronger - Io sono più forte con Jake Gyllenhaal, di cui io sono la madrina. È stato lui a fare da tramite. È un progetto onesto, creativo, non unicamente commerciale, come quei tanti sequel che io chiamo «stampasoldi». Fra un mese compie 60 anni. Umore? Ottimo e abbondante… Se non passo per un’esaltata, sono sicura di essere più bella adesso di quando avevo 19 anni. Intendiamoci, è la bellezza dell’età, della maturità, della consapevolezza, dell’aver finalmente capito chi sono e qual è il mio posto nel mondo. È stato difficile misurarsi con due genitori come i suoi? Mia mamma era la più bella donna che avessi mai visto. E mio padre aveva un fascino irresistibile, anche se lo dico più da spettatrice, perché l’ho frequentato molto poco, i miei hanno divorziato quando avevo quattro anni. Pensi che una volta ho accettato di intervistarlo per una rivista di cinema, solo per sapere qualcosa di più su di lui… Loro erano due dèi, io al massimo ero caruccia… Cosa pensa di aver preso da loro? Da mia madre, spero, la dolcezza e la disponibilità verso il prossimo; da mio padre spero di non aver ereditato il bisogno di attenzioni e rassicurazioni continue. Lei si è risposata solo un volta, con un coetaneo che non aveva niente a che fare col cinema, ed è
durata 42 anni, fino alla sua morte. Lui invece si è risposato cinque volte, e con ragazze sempre più giovani. Le protagoniste dei film horror sono definite ironicamente «scream queen» (regine dell’urlo). Non è stato bizzarro che con Halloween lo sia diventata proprio come sua madre, leggendaria protagonista della scena della doccia in Psyco di Alfred Hitchcock? Sicuramente mi è costato qualche anno di analisi in più. Io non volevo neanche fare l’attrice, e infatti non ho mai preso una lezione di recitazione, aumentando il mio senso di inadegutezza. È capitato tutto per caso. Oggi si sente più a suo agio come attrice o come scrittrice? Scrivere si è rivelato insospettabilmente facile. È la forma di comunicazione che mi viene più naturale. E dopo tanti libri, ho affrontato la prima sceneggiatura. Recitare invece no, perché da autodidatta sono come quegli artisti che seguono il naturalismo, hanno bisogno delle verità, della realtà. Non potrei mai lavorare con un regista che ama il surreale. Mi sentirei persa, senza punti di riferimento. Usa mai il titolo di baronessa? Solo quando prenoto al ristorante dico di essere Lady Haden-Guest. Fa più impressione e mi danno la precedenza. Una dote segreta di cui non abbiamo ancora parlato? Sono una buona cuoca, se la Caesar salad è considerata un valido test. E ho brevettato un’invenzione: dei pannolini che contengono salviette autopulenti da estrarre, semplicemente alzando il velcro. Si può cambiare il bambino con un sola mano, e in piedi, senza doverlo appoggiare. È pronta a dire addio a Laurie Strode? Non dipende da me. Nell’horror nessuno esce di scena per sempre.
Halloween è stato sicuramente un film molto catartico, non ho mai pianto così tanto su un set. E non solo io. Con la troupe si è creata un’atmosfera speciale. E c’è un episodio per capire quanto. Io ho l’abitudine di chiedere ai colleghi di mettersi per i primi giorni un cartellino con il loro nome, in modo che possa familiarizzare senza fare confusione. L’ultimo giorno delle riprese l’ha indossato ognuno di loro, e a sorpresa c’era scritto: «Siamo tutti Laurie Strode».
I miei genitori erano degli dèi. Io, al massimo, una ragazza caruccia