Prima distrutto poi da ricostruire
Più di dieci anni dopo la demolizione di Punta Perotti, le sentenze danno ragione ai costruttori, che avevano i permessi necessari. Ma nessuno a Bari vuole ridare vita a quel progetto in vista delle elezioni.
P unta Perotti è l’Italia. Con tutti i suoi paradossi burocratici, giudiziari e politici. E lo è ancora adesso, 23 anni più tardi. Edificato sul lungomare di Bari nel 1995, abbattuto nel 2006, il fantasma del complesso immobiliare continua infatti a disturbare il sonno della classe dirigente pugliese.
I fatti. Le tre torri alte 45 metri, davvero invasive del territorio, furono realizzate dai gruppi Matarrese Andidero e Quistelli dopo aver ricevuto regolare autorizzazione dal Comune. D’altronde quei terreni erano edificabili ai sensi di una legge regionale. Tuttavia, le proteste di cittadini e ambientalisti promossero una violenta campagna di stampa contro i cosiddetti «ecomostri» di Punta Perotti. Da qui le indagini della magistratura. Nel 1997 il Gip di Bari ordinò il sequestro preventivo di suoli e palazzi poiché la lottizzazione era incompatibile, secondo una legge nazionale, con un’area naturale protetta. Fu questo l’inizio di una battaglia giudiziaria decennale, tra sentenze a vari livelli che consentivano o negavano il completamento della struttura, tenendo fermo il punto che i costruttori non erano abusivi. I permessi li avevano, era lo Stato a essere deficitario.
I costruttori non si sono arresi nem- meno davanti all’abbattimento del 2006 gestito dall’allora sindaco Michele Emiliano, ora governatore della Puglia. Avevano ragione loro.
Tre sentenze della Corte europea
dei diritti dell’uomo hanno stabilito che: il Comune doveva restituire agli imprenditori i terreni e i fabbricati, che però erano stati demoliti nel frattempo (gennaio 2009); lo Stato era obbligato a pagare 49 milioni per risarcire le imprese danneggiate dalla demolizione (maggio 2012); lo Stato aveva violato una proprietà privata poiché la confisca non poteva essere effettuata in assenza di una sentenza di condanna per abusivismo (28 giugno 2018, sentenza inappellabile).
Adesso Punta Perotti torna e fa paura alla politica. Potrebbe infatti rivedere la luce, seppure in forma soft. I costruttori già nel marzo 2015 hanno presentato un nuovo progetto. Una «Punta Perotti 2.0», progettata dallo studio milanese Ottavio Di Blasi & Partners, più ecologica, con palazzi di sei e sette piani e alti massimo 26 metri, mimetizzati nel verde con strade aperte anziché i complessi chiusi di prima, con un parco sul mare per tutta la città e nuova viabilità
meno invasiva sulla costa. Insomma un progetto di sviluppo che in teoria non dovrebbe incontrare problemi per l’approvazione, visto che sempre lì il Piano regolatore prevede proprio un’area di sviluppo, con il primo progetto del 1979 che porta la firma di due noti architetti, Vittorio Chiaia e Massimo Napolitano (fratello del presidente della Repubblica emerito Giorgio).
In Italia la teoria è però sempre più semplice della pratica. I suoli, come stabilito da Strasburgo, sono di proprietà dei costruttori. Ma su quei terreni il Comune ha nel frattempo realizzato un parco pubblico chiamato Parco della legalità che, qualora dovessero iniziare i lavori, verrebbe distrutto. Inoltre, la Sud Fondi della famiglia Matarrese, una delle imprese coinvolte, è entrata in crisi e ha chiesto il concordato preventivo. Infine, fatto più importante di tutti, il solo nome Punta Perotti fa paura dal punto di vista del consenso elettorale.
Forse è per questo che il via libera al nuovo progetto continua a rimbalzare tra il Comune di Bari e la Regione Puglia. Da due anni, infatti, non si riesce a organizzare la conferenza dei servizi mentre la pre-conferenza viene continuamente aggiornata e rinviata. Nell’ultima si è discusso su una nota della Soprintendenza che spiega di non potere dare il via libera se il Comune non approva nel Piano urbanistico generale (Pug) le direttive del Piano paesaggistico territoriale regionale.
La Regione non può dare un parere se il Comune non dice cosa vuol fare davvero su quell’area. Una questione ufficialmente burocratica che nasconde tuttavia un sospetto: con due corse elettorali alle porte - quelle per il sindaco di Bari nella primavera 2019 e per il governatore nel 2020 - nessuno ha voglia di dare un pericoloso ok alla «Punta Perotti 2.0». Mettere la faccia sull’approvazione, anche se dovuta, rischierebbe infatti di travolgere l’immagine di chiunque. Soprattutto di Emiliano. Il governatore ha chiarito che su Punta Perotti «l’unico atto, obbligatorio, che abbiamo compiuto è stato quello di demolire l’immobile. Se non l’avessi fatto, avrei commesso un reato».
Seppur con le ragioni e gli obblighi di legge che ha sempre (giustamente) rivendicato, Emiliano è comunque l’uomo che ha metaforicamente innescato il detonatore dei 500 chili di esplosivo serviti per far cadere giù le torri, un evento che lo rese celebre (in positivo) in Italia; la ricostruzione, va da sé, lo danneggerebbe.
Tuttavia, a spingere per l’abbattimento fu
L’unico atto, obbligatorio, è stato quello di abbattere l’immobile. Se non l’avessi fatto, avrei commesso un reato Michele Emiliano Governatore Regione Puglia
soprattutto l’intera sinistra italiana, guidata dal potentissimo (allora) Fausto Bertinotti, che nel 2005 scelse proprio quelli che definiva «gli ecomostri» per la chiusura della sua campagna elettorale per le primarie dell’Unione di Romano Prodi. Ma anche nel centrodestra non mancarono voci ostili al complesso immobiliare. Sempre nel 2005, l’allora ministro dell’Ambiente Altero Matteoli disse perentorio che «Punta Perotti va solo abbattuta» pur di assecondare l’Italia che glielo chiedeva. E fa nulla che i torti fossero ben distribuiti: adesso dalle ceneri di Punta Perotti potrebbe rinascere un’altra Punta Perotti.