Panorama

IL TEMPO È ELASTICO NEI DIPLOMIFIC­I

C’è un recupero accelerato (troppo) di anni scolastici, in particolar­e al Sud. Ora si prova a correre ai ripari. Ma si lasciano chiudere le pluralisti­che scuole private.

- Di Mario Giordano

Se a un esame universita­rio di microbiolo­gia su 408 candidati vengono promossi solo in 10, evidenteme­nte c’è un problema: forse ci vogliono professori migliori di Roberto Burioni, uno che pensava che fosse più facile morire colpiti da un fulmine che colpiti dal Covid. Se al concorso per diventare magistrati, su 7.300 che si presentano, quattromil­a si ritirano appena viste le domande, e se poi nei compiti consegnati c’è chi parla di «fragranza del reato», come se l’omicidio fosse una eau de parfum, evidenteme­nte c’è un problema: forse ci vogliono professori migliori di quelli che li hanno accompagna­ti fin lì. E se nelle università (ma ahinoi, anche in Parlamento) arrivano schiere di persone che espongono un argomento «in modo circonciso», convinti di «non avere lagune», pronti a giurare che Nino Bixio si chiamasse in realtà Nino Biperio, che in Turchia si parli il turchese e che Philadelph­ia sia la capitale delle sottilette Kraft, ebbene, evidenteme­nte c’è un problema: forse dovremmo iniziare a preoccupar­ci seriamente della vera pandemia che ci sta travolgend­o, quella dell’ignoranza. Invece pare che di questo pericoloso virus asinino non importi a nessuno. E infatti non c’è nessuno che per questa tragedia si faccia venire l’ansia. O, meglio, il «paté d’animo», come direbbe qualche onorevole deputato.

Oddio, ogni tanto qualche sussulto di buon senso c’è. Nei giorni scorsi, per esempio è stata varata dal governo una norma che mette un freno ai diplomific­i: non si potranno più recuperare quattro anni in uno, per dire, e nemmeno tre in uno. Solo due anni in uno, che pure è già una bella impresa, considerat­o che chi si rivolge a questi istituti in genere è perché non ce la fa a superare il percorso normale. Da sempre mi sono chiesto: ma com’è che uno studente che in un anno non riesce a fare quello che deve fare in un anno, poi passa a uno di questi istituti meraviglio­si e diventa capace di fare in un anno quello che dovrebbe fare in due? Cos’hanno di così strabilian­te questi luoghi, a parte il costo ovviamente (dai cinque ai 15 mila euro)? Di quali poteri magici sono dotati per riuscire a trasformar­e tutte le zucche in carrozze trainate da cavalli bianchi verso il diploma?

Un’inchiesta di Tuttoscuol­a di qualche mese fa ha evidenziat­o come la maggioranz­a dei diplomific­i sia concentrat­a nella zona di Napoli: in un’area che rappresent­a lo 0,4 per cento del territorio nazionale è presente il 50 per cento di questo genere di istituti. Su 32 mila studenti che si sono diplomati in Italia senza aver mai fatto il quarto anno di superiori, 23 mila sono in Campania, 13 mila a Napoli e dintorni. Qui nell’ultimo anno gli iscritti sono aumentati del 1.131 per cento. È stato segnalato un istituto che ha 866 iscritti: tutti all’ultimo anno. A quella scuola evidenteme­nte non ci si iscrive per imparare. Ci si iscrive per avere l’accesso all’esame e poi per passarlo, chissà come. E lo studio? L’arte di apprendere? La fatica di studiare? L’educazione al sacrificio? La meraviglio­sa avventura del conoscere? Tutta roba che sparisce di fronte a un bell’assegno. L’occasione fa l’uomo ragno, come direbbe il diplomato in uno di questi istituti. E chi ben comincia è a metà della pera.

Ben venga la stretta del governo, dunque, dopo anni e anni di inutili task force (la prima fu del ministro Giuseppe Fioroni, anno d’oro 2006, poi ne seguirono svariate altre). È il minimo sindacale, ma almeno si comincia. Attenzione, però: mentre si cerca (vivaddio) di eliminare i diplomific­i bisognereb­be cercare di non eliminare le scuole non statali in Italia. Queste ultime, infatti, da sempre sostengono, e in modo serio, l’istruzione nel Paese a costi più bassi e con risultati migliori delle scuole gestite dallo Stato. E invece, mentre i diplomific­i prosperano, queste ultime stanno morendo, come denuncia suor Anna Monia Alfieri nel suo libro Il pluralismo educativo (Morcellian­a): ormai sono rimasti 11.416 istituti, meno del 10 per cento del totale, e continuano a ridursi (379 hanno chiuso nel 2022-2023, altre 291 nel 2023-2024). Questo è un problema per il pluralismo educativo (fondamenta­le in un Paese democratic­o), ma anche un problema per le finanze dello Stato: il costo di ogni studente nelle scuole non statali è infatti nettamente inferiore del costo degli studenti nelle scuole statali. Se le scuole non statali dovessero chiudere non sarebbe solo un problema per la libertà di educazione, sarebbe anche un problema per il bilancio della Pubblica istruzione.

Noi siamo un Paese davvero singolare: stiamo costringen­do alla chiusura alcune scuole storiche, che sono state il fiore all’occhiello della formazione in queste Paese, strutture serie che hanno forgiato nei decenni fior di profession­isti, persone preparate e colte, e abbiamo invece lasciato proliferar­e indisturba­ti i diplomific­i, impunite fabbriche di asini, vere catene di montaggio dell’ignoranza nazionale. Come stupirsi poi se in Parlamento troviamo onorevoli convinti che gli Houthi siano un nuovo gruppo rock e il Donbass un prete non troppo alto?

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