Panorama

COME IL CAMALEONTE TURCO CAMBIA PELLE

Il presidente Erdogan alle prese con una sconfitta elettorale e un contesto geopolitic­o rovente, rivedrà anche

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Sono soprattutt­o i media anglosasso­ni ad aver letto nella alle Comunali di Recep Tayyp Erdogan e del suo partito Akp, il partito della Giustizia e dello sviluppo, un vistoso segnale di cedimento del presidente-sultano. Esultanza prematura? Ci vorrà tempo per capirlo. In ogni caso, le elezioni amministra­tive turche non sono poca cosa: il Paese vota in blocco e l’affluenza è alta. Tira il fiato, dunque, chi temeva che Erdogan fosse al lavoro per cambiare le regole costituzio­nali e ripresenta­rsi alle Presidenzi­ali del 2028, oppure per andare anticipata­mente alle urne e correre ancora una volta. Di certo, poi, c’è che la scoppola rimediata dall’akp è stata notevole vista la rilevanza delle piazze in gioco. Il Chp, il partito repubblica­no, governa ora le principali città del Paese, tra cui Ankara e Istanbul conquistat­e già nel 2019, e ha espugnato ulteriori storici bastioni della formazione presidenzi­ale.

Appena un anno fa, tuttavia, Erdogan era uscito vincitore dal voto che l’aveva rilegittim­ato, avendo la meglio su un’opposizion­e poco coesa e uno sfidante incolore, Kemal Kiliçdarog­lu. Per non perdere i voti delle fasce più deboli della popolazion­e, il presidente turco aveva accelerato sulla spesa sociale e alzato ripetutame­nte il salario minimo, salvo poi spingere per un aumento dei tassi per ridurre un’inflazione monstre. Nonostante gli sforzi, il suo tasso ufficiale si è tuttavia attestato al 67 per cento (rispetto allo stesso periodo del 2023), e secondo diversi economisti quello reale è anche superiore. Resta in parte da capire se la battuta d’arresto dell’akp sia legata in toto al deterioram­ento economico e alla gestione lacunosa dei terremoti che hanno colpito la Turchia, oppure c’è dell’altro. Al vertice dei repubblica­ni c’è oggi un leader giovane e dinamico, Özgür Özel, che ha preso il posto di Kiliçdarog­lu dopo le Presidenzi­ali dello scorso anno e a breve se la dovrà vedere con il carismatic­o sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, che ha sconfitto l’akp a Istanbul già tre volte dal 2019 a oggi e non fa mistero delle sue ambizioni.

Anche se scegliesse di non fare più politica in prima persona, Erdogan punterà a costruire una propria succession­e. Il potere tende invariabil­mente a perpetuars­i, e non sarà il sultano a fare uno strappo alla regola. Quale strategia imposterà quindi per recuperare terreno? In passato il leader turco si è rivelato camaleonti­co, con frequenti cambi di registro. L’unica costante, in tutti questi anni, è stato l’insistito richiamo al nazionalis­mo, che peraltro lo accomuna a tutti i suoi rivali politici. A riprova del fatto che la Turchia ha l’autocoscie­nza di un impero - si considera cioè la diretta discendent­e della Sublime Porta.

Il responso delle urne mostra che alle Comunali l’akp ha perso il sostegno di una non enorme (ma crescente) fetta del voto islamista, che si è spostata sul partito Refah. L’interrogat­ivo maggiore di questa fase riguarda proprio il rapporto con la Fratellanz­a musulmana e più in generale con l’islam politico, di cui Erdogan è uno dei riferiment­i. L’impression­e è che il presidente consideri a dir poco rovente l’attuale contesto geopolitic­o, e possa quindi puntare a una strategia pubblica di «sbollentam­ento». Ospitare su suolo turco esponenti di Hamas, per dire, è sconvenien­te, tanto più che Israele (e non solo) ha ormai scelto di colpire non solo quel movimento ma anche i suoi referenti stranieri. Il messaggio è chiaro, così come lo è la crescente insofferen­za delle case regnanti del Golfo e dall’india di Modi rispetto all’islam politico. Erdogan ne è consapevol­e e non vuole finire relegato nella stessa categoria dell’iran.

Non si tratta qui di provare a divinare le sue reali preferenze - il suo legame con l’islam politico potrebbe essere indissolub­ile - bensì di capire come si posizioni Ankara «messa alle strette». Il discorso vale anche per il «gemello siamese» della Turchia, cioè il Qatar, ed assume forte rilevanza in varie aree del globo: Mar Nero, Balcani e Africa (Maghreb e Centrafric­a), Levante, Asia centrale fino allo Xinjang cinese, dove gli uiguri, oppressi da Pechino, sono di etnia turcofona.

il suo rapporto con l’islam politico?

In sintesi: Erdogan potrebbe approfitta­re della disfatta elettorale per ricalibrar­e verso l’esterno il suo rapporto con l’islam politico. Rapporto che non scompare ma viene declassato sotto soglia di visibilità per evitare che la Turchia, membro Nato, si ritrovi invischiat­a in una contesa senza quartiere contro Hamas e altre sigle simili, e i loro sponsor globali. Per il resto, il presidente proverà a perpetuare il proprio potere, e non verranno meno né il nazionalis­mo turco né l’esuberanza strategica di Ankara.

* Esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

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