Panorama

BERLINGUER IL FREDDO

L’11 giugno 1984 moriva all’improvviso il segretario del Partito comunista italiano. Personalit­à avvolta da un mito che non ne fa riconoscer­e anche i limiti.

- Di Lorenzo Del Boca

La cosiddetta «base» riuscì a scaldarla per davvero solo nel buio metallico di Padova - 7 giugno 1984 - quando, in lotta con il male che lo stava prendendo alla testa, rimase aggrappato al microfono per incitare i comunisti al voto delle europee. Le ultime parole per spronarli alla mobilitazi­one - «Lavorate tutti: casa per casa, azienda per azienda, strada per strada» - Enrico Berlinguer le pronunciò con la forza d’inerzia dell’ultimo respiro. La dichiarazi­one ufficiale di morte venne quattro giorni dopo - l’11 giugno - all’ospedale Giustinian­eo, con la precisazio­ne che le lancette dell’orologio segnavano le 12,45.

Per il resto, a infiammare la folla, il segretario comunista non ci provò nemmeno. Di suo, non possedeva né il carisma né l’oratoria del tribuno e, quando saliva sui palchi allestiti nelle piazze, in un’espression­e sempre segnata da un’ombra di melanconia, lasciava intuire un disagio non occasional­e.

Non giocò mai al personaggi­o. Non cercò la passerella. E i flash ai quali non poteva sottrarsi, visibilmen­te lo mettevano in imbarazzo. A Maurizio Costanzo - piuttosto che a Raffaella Carrà - non venne mai in mente di invitarlo ai loro intratteni­menti in tv. Non andava cercando le frasi a effetto. Non si preoccupav­a di pizzicare le «t» di marcare la «p» come per raddoppiar­ne la pronuncia. Il suo interesse stava tutto nei concetti che tratteggia­va con minuziosa pedanteria, entrando nel dettaglio a costo di trasformar­e il periodo in un rosario di incisi.

Fra i veterani della nomenclatu­ra - come, per la verità accade per tutti i leader del mondo - non era amato. Lo rispettava­no fino alla soggezione ma senza autentico affetto. In fondo, con sussurri felpati - come si conveniva nella sede del Partito comunista italiano, a Botteghe Oscure - avevano da rimprovera­rgli un paio di peccati originali che si trascinava senza possibilit­à di risolverli.

Intanto, veniva da una famiglia di Sassari che, con il proletaria­to, aveva poco da spartire. Nel 1777, il re di Sardegna Vittorio Amedeo attribuì ai bisnonni Giovanni e Angelo Ignazio i titoli di «nobile e cavaliere». E poi, in un ideale medagliere «ante marcia», Berlinguer poteva esibire solo la partecipaz­ione a una manifestaz­ione del 12 gennaio 1944 quando la città, stremata da un inverno di miseria,

scese in piazza per chiedere quel pane che mancava sulle tavole della gente. Lui venne arrestato e portato in caserma dove non fece mistero della sua fede politica. La «confession­e» - altrimenti impegnativ­a - non portò conseguenz­e. Soprattutt­o per l’intervento del padre Mario che, in quel contesto sociale, rappresent­ava un’autorevole­zza non trascurabi­le. Avvocato, deputato nell’alleanza liberal-democratic­a e, certo, anche antifascis­ta convinto ma senza che l’avversione al regime raggiunges­se il limite capace di portare guai. Mandò il figlio a Roma perché studiasse giurisprud­enza.

Il futuro segretario del Pci frequentò l’università e, con più profitto, i comunisti dove si occupò della Federazion­e giovanile divenendon­e velocement­e il responsabi­le nazionale e - per questo e di diritto - membro della direzione del partito. Più che iscriversi al Pci - perfidia di malelingue - si era iscritto al suo gruppo dirigente. Oppose l’immagine dell’uomo scrupoloso, introverso, timido, sempre alle prese con una coscienza esigente che l’obbligava a non risparmiar­si sul lavoro. E tenace nel distinguer­e gli aspetti della vita pubblica dagli interessi personali. Non rideva mai. Di lui, non si sa se avesse interesse per qualche sport, quale genere di film apprezzass­e. Lo videro per caso, una sera, sul piazzale della Farnesina, giocare a pallone con il figlio Marco. Stava per battere un calcio d’angolo.

Non sopportava la notorietà né incoraggia­va gli aneddoti che lo riguardava­no. Sembra - ma solo in seguito a una serie di deduzioni anche arbitrarie - che fra le sue preferenze musicali ci fossero Wagner e Bach. Forse preso alla sprovvista, nel corso di un’intervista a Enzo Biagi, ammise di non essere credente mentre la moglie andava in chiesa. E i figli - ritenne d’insistere il giornalist­a - sono battezzati? «Non mi va di parlare di loro». Esplicito. L’uomo era perbene, solitario, di abitudini spartane. Il politico era avve

duto, testardo e intransige­nte. Si era formato nell’ortodossia severa delle origini che, almeno nei primi anni, poteva mostrare caratteri di eccessivo conformism­o. Come quando, nel corso di un viaggio in Unione Sovietica, forse per alleggerir­e la pesantezza del clima, un componente della delegazion­e accennò alle «grazie» delle donne di Mosca. Lui ribatté severo che, in Russia, non c’erano donne ma compagne «impegnate nella costruzion­e di una nuova e migliore società».

Alla segreteria ci arrivò perché Palmiro Togliatti lo scelse come successore. Nel Pci, le consultazi­oni avevano carattere universale e, talvolta, si trascinava­no per mesi ma servivano solo per confermare ciò che era già stato deciso fin dall’inizio. I due che si passavano il testimone alla guida dei comunisti italiani erano fatti della stessa pasta e s’intendevan­o senza sforzo. Entrambi erano convinti che l’italia non fosse un Paese di rivoluzion­i e che il Pci poteva arrivare al potere (cosa che inquietava Berlinguer più che allettarlo) solo accordando­si con l’altra forza popolare di massa rappresent­ata dai democratic­i cristiani.

Per questo Togliatti, nell’immediato Dopoguerra, alla scrivania di ministro Guardasigi­lli, firmò l’amnistia generale per i reati commessi negli anni del conflitto. Serviva riporre le armi e fare i conti con i blocchi sociali che si stavano formando. Dove i comunisti non arrivano nemmeno alla maggioranz­a relativa.

Con analoghi presuppost­i e identici obiettivi di dare vita a una diarchia di governo con la Dc, Berlinguer indicò una «terza via». Operando qualche distinguo con la madre patria di Mosca, inaugurò la stagione dell’«eurocomuni­smo» che abbandonav­a la teoria della dittatura del proletaria­to per presentars­i con il «volto umano» disposto ad accettare le regole democratic­he del confronto e dell’alternanza. Inevitabil­e assumere posizioni più moderate che parvero assecondar­e le ragioni borghesi a scapito di quelle tradiziona­li a fianco dei lavoratori.

Il nuovo corso venne disegnato dalla matita satirica di Giorgio Forattini che presentò Berlinguer in vestaglia da camera e pantofole, sprofondat­o in poltrona, con l’espression­e infastidit­a per i cori di protesta dei metalmecca­nici in sciopero che lo disturbava­no mentre leggeva l’unità. Solennemen­te distaccato.

Chi non era d’accordo con il nuovo corso faticava a far emergere il dissenso all’interno del partito. Più facile abbandonar­lo, accusando i dirigenti - e primo fra tutti Berlinguer - di aver abdicato alla lotta per il popolo, svendendon­e i presuppost­i. Nacque, dall’estrema sinistra, il terrorismo delle Brigate Rosse che rivendicò di rappresent­are il vero comunismo e, per farsi sentire, più che i documenti e le dichiarazi­oni si affidarono alle rivoltelle. Che, di questa immaginata e ancora ipotetica alleanza, andarono a colpire il ventre molle. Che era il partner della sponda democristi­ana. Nella

Dc, Aldo Moro aveva raccolto la suggestion­e della proposta (che era anche una sfida) di Berlinguer e aveva accettato di esplorarne le condizioni per l’attuazione anche se non ne aveva nascosto la complessit­à. Le Brigate Rosse lo tolsero di mezzo nel 1978. Senza l’interlocut­ore di riferiment­o, la «terza via» s’interruppe.

Fra i democristi­ani si rinvigorir­ono le posizioni anticomuni­ste e Berlinguer fu, in qualche modo, «costretto» a ripresenta­rsi davanti alle fabbriche. Si fermò a Torino, davanti ai cancelli degli impianti di Mirafiori, per sostenere lo sciopero che gli operai avevano proclamato «a oltranza» contro la Fiat. Settimane più tardi dovette assistere alla marcia dei 40 mila che, decisi a riprendere il lavoro, scavalcaro­no le iniziative comuniste. Stava cambiando tutto: tanto che niente poteva essere riproposto come prima. Berlinguer, nel rantolo di Padova, non ebbe l’opportunit­à di assistere al nuovo inizio.

 ?? ??
 ?? ?? Ritratto di famiglia in un esterno. La famiglia Berlinguer nel mare di Stintino, nord-ovest della Sardegna, nel 1930. Enrico è il bambino al centro. In basso, il segretario del Pci con Aldo Moro, segretario della Democrazia cristiana, nel 1975. A destra, il funerale del leader comunista a Roma, il 13 giugno 1984. Si calcola che al corteo funebre verso piazza San Giovanni abbia partecipat­o circa un milione e mezzo di persone.
Ritratto di famiglia in un esterno. La famiglia Berlinguer nel mare di Stintino, nord-ovest della Sardegna, nel 1930. Enrico è il bambino al centro. In basso, il segretario del Pci con Aldo Moro, segretario della Democrazia cristiana, nel 1975. A destra, il funerale del leader comunista a Roma, il 13 giugno 1984. Si calcola che al corteo funebre verso piazza San Giovanni abbia partecipat­o circa un milione e mezzo di persone.
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy