CAPITANI MIEI CAPITANI
DEVONO ESSERE AUTOREVOLI, EQUILIBRATI, LEALI. PERCHÉ SONO IL PERNO DELLA SQUADRA IN UN CALCIO SEMPRE PIÙ VOTATO ALL’INDIVIDUALISMO. UN LIBRO CELEBRA MERITI E GESTA DI CHI HA PORTATO LA FASCIA AL BRACCIO.
L’unica fascia che conservo è bianca, con due fettucce più sottili per essere annodate attorno al braccio. È candida, leggera. Uno spazio di cotone tutto da immaginare, onorare e rendere memorabile». È stata la fascia da capitano di suo padre in Nazionale. E da quel rettangolo di stoffa Gianfelice Facchetti parte per raccontare un mondo nascosto, quello della fedeltà, dell’esempio, dell’unità di squadra rappresentato da uomini che nel calcio-business tutto highlight e statistiche sembrano stingere verso il fondale, diventare comparse, rappresentare qualcosa di indefinibile che riguarda il passato. E invece per tifosi veri, per quei papà che accompagnano allo stadio i figli nel rito di iniziazione pallonara, rimangono i totem messianici dell’identità di maglia: i capitani.
Ogni squadra ne ha avuto almeno uno, entrato direttamente nella leggenda: Gaetano Scirea, Franco Baresi, Armando Picchi, Giampiero Boniperti, Valentino Mazzola, Gigi Riva, Antonio Juliano, Roberto Baggio, Francesco Totti, Gianluca Signorini, Xavier Zanetti, Franz Beckenbauer, Johann Cruijff, Lev Jascin, Bobby Charlton. Guardacaso gente di poche parole, capace di piantare la bandiera del club sulle spiagge dello Sbarco in Normandia senza neppure farsi fotografare da Robert Capa. «Sono i condottieri di squadre e delle schiere fedeli dei loro seguaci, quelli che lo scrittore Vladimir Dimitrijevic chiamava “i santi del pallone”, i tifosi, paragonabili agli apocrifi dei Vangeli, veri custodi della memoria di un club, di cui conoscono date, protagonisti e miracoli», spiega il figlio di Giacinto, drammaturgo e regista. «Per questo era importante andare a riscoprire il senso più puro di una figura fondamentale della storia del calcio».