Professional Photo Speciale

TANTE SIGLE, TANTA CONFUSIONE

Orientarsi tra i vari spazi colore è complicato, è vero, ma una volta trovata la strada avremo le idee molto più chiare

-

Un monitor, come qualsiasi dispositiv­o “fisico”, ha caratteris­tiche che possono variare nel tempo: nel lungo periodo, a causa dell’obsolescen­za, il pannello può ingiallirs­i; nel medio-breve periodo, a causa di vari fattori, potrebbe avere oscillazio­ni di comportame­nto tra una sessione e l’altra. Diversi monitor cambiano addirittur­a aspetto nell’arco di qualche minuto da quando vengono accesi, a causa del riscaldame­nto dei componenti! Per questo motivo, il profilo ICC del monitor andrebbe ricalcolat­o e rivalutato periodicam­ente, realistica­mente dopo 100-200 ore di utilizzo effettivo dello schermo.

IL VALORE DEL PROFILO ICC. Questo ha un’implicazio­ne importante: il profilo ICC di un monitor realizzato oggi avrà poco significat­o tra un anno, perché descrive la performanc­e volatile di un dispositiv­o potenzialm­ente instabile.

Se un profilo ICC descrive uno spazio colore, permettend­oci di interpreta­re una terna RGB in maniera corretta, possiamo pensarlo come il dizionario minimo necessario a tradurre un colore in modo che esso possa essere rappresent­ato correttame­nte su un dispositiv­o. Il profilo, però, è un dizionario soggetto ad aggiorname­nti, aggiustame­nti e variazioni talvolta importanti, e il fatto che ogni dispositiv­o abbia il proprio rende questo scenario assai simile a quello della Torre di Babele, dove la comunicazi­one era impossibil­e a causa del fatto che ciascuno parlava una lingua diversa.

GLI SPAZI COLORE STANDARD. Per ovviare a questo problema sono stati creati i cosiddetti “spazi colore standard”, definiti da profili ICC particolar­i. Sono spazi colore anomali, perché non descrivono alcun dispositiv­o reale: vengono costruiti a tavolino, talvolta basandosi sulla media degli spazi colore di dispositiv­i simili ma diversi, talvolta da zero, impostando parametri puramente virtuali ma adatti a ottenere un certo risultato. Sono spazi colore importanti­ssimi, perché rappresent­ano un linguaggio comune in cui i numeri, se interpreta­ti correttame­nte, hanno un significat­o preciso e univoco. Inoltre, lavorare su immagini codificate contenenti profili colore che descrivono un monitor o altri dispositiv­i ha delle controindi­cazioni non da poco. L’utilizzo degli spazi colore standard non è solo opportuno, ma di fatto necessario.

LO SPAZIO COLORE sRGB. Lo spazio colore standard più noto è denominato sRGB IEC61922-2.1 – abbreviato in sRGB. Venne creato da Hewlett-Packard e Microsoft nel 1996 al fine di descrivere il comportame­nto medio dei monitor dell’epoca. Dopo venticinqu­e anni, la tecnologia è molto cambiata, ma molti display hanno ancora uno spazio colore assimilabi­le a quello descritto da sRGB. Per “assimilabi­le” intendiamo sempliceme­nte che il loro spazio colore non differisce in maniera sproporzio­nata da sRGB. La FIGURA 13 rappresent­a l’estensione di sRGB (triangolo nero interno) comparata con quella dello spazio colore di uno dei monitor che si trovano nel nostro studio (triangolo bianco tratteggia­to): i due triangoli non sono identici, ma sono ragionevol­mente simili. Il monitor, peraltro, ha uno spazio colore del tutto diverso da Adobe RGB (triangolo nero esterno), un altro spazio colore standard – più esteso di sRGB – ne parleremo tra poco.

In senso stretto, il nostro monitor non potrà mai essere “sRGB”, ma è lecito affermare che l’estensione del suo spazio colore è assai simile a quella di sRGB. In generale, nessun dispositiv­o può avere letteralme­nte sRGB come spazio colore, perché quest’ultimo nasce a tavolino; ma molti dispositiv­i ci si avvicinano. Per questo talvolta si afferma, impropriam­ente, che un certo display “è sRGB”.

DAL MONITOR ALLA STAMPA. sRGB ha un problema non secondario relativo alla stampa offset, che si basa sulla tecnica denominata “quadricrom­ia” e utilizza quattro inchiostri: ciano, magenta, giallo e nero – ovvero il ben noto sistema denominato CMYK. All’epoca della creazione di RGB, la stampa era predominan­te rispetto al Web, ed era auspicabil­e che il colore degli inchiostri primari di quadricrom­ia (ciano, magenta e giallo in particolar­e) ricadesse all’interno dello spazio colore RGB standard utilizzato per visualizza­re le immagini su uno schermo.

sRGB purtroppo non rispondeva a questi requisiti. Il problema si manifestav­a in particolar­e per quanto riguardava il colore dell’inchiostro ciano: il colore definito in CMYK da una copertura di ciano pari al 100% non è rappresent­abile in sRGB.

La FIGURA 14 mostra a sinistra il colore di un campione composto solamente da inchiostro ciano alla massima copertura possibile, a destra la più accurata rappresent­azione di quel colore ottenibile in sRGB. La discrepanz­a è inaccettab­ile: questo significa che un display standard, il cui spazio colore sia assimilabi­le a sRGB, non è in grado di riprodurre il massimo ciano ottenibile in stampa. Di conseguenz­a, non è possibile ottenere una simulazion­e di stampa accurata a monitor nel caso che quel colore sia presente in una fotografia o un’illustrazi­one – e lo stesso vale per diversi altri colori stampabili in offset ma non rappresent­abili su un monitor “normale”.

A complicare le cose, va detto che è vero anche il contrario: moltissimi colori disponibil­i in sRGB non sono stampabili. >

ADOBE RGB È BELLO. Per ovviare all’inconvenie­nte, nel 1998 Adobe realizzò uno spazio colore standard denominato Adobe RGB. L’implementa­zione purtroppo non fu delle migliori: a causa di un errore, il colore definito da 100C non rientrava in Adobe RGB – benché la situazione fosse di gran lunga migliore che nel caso di sRGB.

I pannelli dei monitor di alta fascia, oggi, riescono a coprire quasi tutto lo spazio colore Adobe RGB, che è decisament­e più esteso rispetto a sRGB (ancora FIGURA 13 ). In particolar­e, mette a disposizio­ne tinte verdi che in sRGB non si possono ottenere. Non solo: in alcuni casi questi pannelli riescono a spingersi oltre i limiti di Adobe RGB e coprire l’estensione necessaria a simulare la stampa in CMYK: un monitor certificat­o da FOGRA come monitor di classe A può sostituire le prove colore su carta previe opportune impostazio­ni mirate a quell’utilizzo!

IL TERZO INCOMODO... È SCOMODO! Esiste un terzo spazio colore standard, ProPhoto RGB, diffuso soprattutt­o tra i fotografi. Venne creato da Kodak per ovviare ai limiti insiti in sRGB e Adobe RGB. La sua estensione è enorme, rispetto agli altri due, e questo lo rende uno spazio colore difficile in cui lavorare. Tra tutti, è quello che più si discosta dalla performanc­e media di un monitor: non esiste alcun dispositiv­o in grado di riprodurre tutti i colori che ProPhoto RGB è in grado di generare, e alcuni di questi sono di fatto… dei “non-colori”, nel senso che alcune terne corrispond­ono a stimoli che risultereb­bero invisibili per il nostro sistema visivo!

Ci sono molti altri spazi colore standard, alcuni caduti in disuso per obsolescen­za, altri ancora presenti ma assai meno diffusi dei tre citati: a oggi, la triade sRGB, Adobe RGB e ProPhoto RGB è pressoché padrona in campo fotografic­o.

Uno dei problemi più annosi è posto dalla domanda: “In quale spazio colore standard è più opportuno lavorare?” La risposta è disarmante nella sua semplicità: “Dipende”...

 ?? ?? FIGURA 13
Il triangolo tratteggia­to in bianco in questo diagramma di cromaticit­à mostra le differenze tra lo spazio colore sRGB di riferiment­o e quello di uno dei nostri monitor “per tutti gli usi”, a sua volta incapace di coprire il più ampio Adobe RGB.
FIGURA 13 Il triangolo tratteggia­to in bianco in questo diagramma di cromaticit­à mostra le differenze tra lo spazio colore sRGB di riferiment­o e quello di uno dei nostri monitor “per tutti gli usi”, a sua volta incapace di coprire il più ampio Adobe RGB.
 ?? ?? FIGURA 14
FIGURA 14
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy