Al cuore della musica…
TAT TVAM ASI è il secondo album dei romani Bludeepa, ensemble basato su due artisti dallo stesso nome (Danilo Pieroni e Danilo Mintrone), propongono musica che vive di forti emozioni in chiaroscuro. Pieroni ci presenta il loro mondo…
IBludeepa hanno impiegato, più o meno, cinque anni per chiudere il progetto “aperto” di TAT TVAM ASI (edito in Cd e disponibile su molte piattaforme digitali). Il missaggio e la masterizzazione sono opera di Saro Cosentino (Franco Battiato, Alice, Mino Di Martino, Ivano Fossati, Peter Gabriel, Peter Hammill, Trey Gunn, Natasha Atlas), che suona la chitarra in Ferociously. Cosentino è stato an- che il produttore artistico del loro IN PRESENZA DI FRAGILITÀ (Ep, 2006). Le composizioni sono quasi tutte nate al piano dal lavoro di Pieroni e Mintrone, poi vestite di archi alla These New Puritans di FIELD OF REEDS del 2013 (Rome is Burning), elettronica mista alla batteria acustica, tipo le ultime proposte del tedesco Apparat. Violoncello, tromba, piano acustico e batteria acustica sono elementi che àncorano gli arrangiamenti al calore e all’immediatezza. Nell’album si respira pure molta “elettricità” ed elementi rock anni 70. La prima è rappresentata dalla robusta presenza di chitarre, che intrecciano riff evocativi e strizzano a volte l’occhio allo shoegaze (This Is How Love Falls On Us e Ferociously). La presenza dell’organo Hammond (Solitude Standing, Iron & Flesh) amalgama gli elementi sonori ed evoca anche profu
mi rock/prog. L’elettronica è presente, preponderante (Broken) o sullo sfondo, quando lascia al piano, acustico ed elettrico, di Mintrone il ruolo di prima fila (Haiku, Ferociously). Il risultato è un intreccio di suoni e di strumenti, che avvolgono e sorreggono i testi e la voce in maniera decisa e mai invadente. Il filo conduttore sono le varie esperienze scaturite dall’amore: presenza, assenza, ferocia, dissolvimento, l’essere vitale e passionale.
Il cuore della vostra musica?
Credo che il cuore risieda nella sincerità della nostra creatività. È la pulsione prima che mi ha sempre spinto a sedermi e scrivere. Usarla, letteralmente, per unire ciò che quotidianamente vivo: rapporti, film, musica, letture, incontri. Non sempre riesco a essere creativo, perché non è detto che il risultato sia inevitabilmente degno di considerazione. Creatività vuol dire essere in movimento, accumulare vita, trasformarla in musica e parole per l’esigenza di buttare tutto fuori… finalmente avere nuovo spazio e nuovo tempo per altra vita da trasformare. E poi, più semplicemente, è pura gioia.
Che senso ha fare musica “diversa” ora che la circuitazione della stessa è ai minimi storici?
Non vivo la musica seguendo il mercato. Senza comporre musica non potrei stare. Che resti in casa o sia pubblicata non smorza questa esigenza primaria, anche se c’è sempre un progetto globale (comporre, registrare, far ascoltare). È bello pensare un disco dalla prima nota/parola fino alla promozione e all’esecuzione live, ma la musica ha senso di per sé nella mia voglia di creare.
Come sono cambiati i Bludeepa con l’incontro tra Danilo & Danilo?
Quando qualcuno dice “Danilo” ci giriamo entrambi. L’incontro tra me e lui ha cambiato la band, riportandola a un nuovo anno zero. Ora il progetto è incentrato su questo rapporto. Questa fase ha resettato il mio modo di pensare i brani, dandomi la possibilità di ampliarne il percorso grazie alla perizia, alla preparazione e alla disciplina dell’altro Danilo. Dal confronto sono venute, e continuano a scaturire, lezioni importanti su come affrontare armonicamente una sezione, sull’esplorare nuove e diverse soluzioni in termini di suoni e utilizzo della voce. Le nostre esperienze, messe in comune, sono il fondamento di questi ultimi anni di lavoro. Spesso ci sorprendiamo a vicenda portando un brano “altrove”, riuscendo a “risolverlo” in modo inaspettato.
Nelle vostre canzoni si avvertono il sapore anglofono e il retrogusto di “cose” italiane non identificabili. Mi vengono in mente Giovanni Lindo Ferretti nelle incarnazioni CCCP/CSI e Faust’o, oltre a sprazzi di Oriente e misticismo…
Io provengo sia dal mondo anglofono sia da quello italiano, anche per motivi non musicali. Diciamo 50% di entrambe le culture. Sono cresciuto musicalmente con gli anni 80 inglesi (new wave, rock, post punk). Il mio primo amore? I Police. In Italia i CCCP e poi CSI mi hanno travolto in maniera definitiva, ma anche Franco Battiato (ritengo L’IMBOSCATA del 1996 l’album pop perfetto). In seguito ho scoperto i dischi di Faust’o/fausto Rossi e me ne sono innamorato per la crudezza poetica. Chiudi gli occhi/la vita è un sogno, inclusa nell’album L’ERBA del 1996, ti strappa il cuore e le viscere per tanta bellezza. La parte orientale esprime il vissuto di vari viaggi, letture copiose e la scoperta della musica Qawwali, grazie a Peter Gabriel e Nusrat Fateh Alì Khan (di cui mi sono appassionato anche grazie a NIGHT SONG, pubblicato nel 1996 su Real World, inciso con Michael Brook, artista ambient canadese). Sono comunque onnivoro, musicalmente parlando. A me piace ascoltare musica in generale e con gli anni la curiosità è cresciuta esponenzialmente. Se apprezzo un brano non mi interessa sapere di chi è.
Il rapporto con Saro Cosentino?
Saro è un amico prezioso con cui ormai parlo a 360 gradi. Ci siamo conosciuti nel 2005. Da quel momento abbiamo portato avanti una bella collaborazione, poi diventata un’amicizia profonda. Con Saro discutiamo e ci confrontiamo su tutto: musica (mi ha fatto conoscere Scott Walker), lettura (devo restituirgli un libro di Thích Nhat Hanh), calcio, discorsi da bar. In questi anni gli ho sempre mandato i nostri brani per avere un parere, poi anche lui ha iniziato a inviarmi i suoi. Grazie a lui ho conosciuto Massimo Zamboni, mentre stava producendo L’INERME È L’IMBATTIBILE del 2008, dove ho fatto dei cori. È venuto naturale chiedergli di occuparsi del missaggio e del mastering di TAT TVAM ASI, anche perché già conosceva il significato e la genesi dei brani.
Il “progetto aperto” del nuovo album nasce con un Ep, pubblicato nel 2018 solo in digitale, in italiano e in inglese (IL CIELO ARMA D’AMORE / HEAVEN ARMS WITH LOVE).
Come mai avete abbandonato l’italiano per concludere il viaggio? È una scelta definitiva? Che cosa significa “progetto aperto”?
L’EP è stato messo on line perché avevamo voglia di rendere reale e concreta la nuova fase della nostra musica. Non volevamo solo comporre e registrare. Quando abbiamo avuto sei brani convincenti li abbiamo fatti missare e masterizzare da Saro, così da certificare che il progetto Bludeepa esisteva. Condividerlo è stato pure un modo per uscire allo scoperto e scommettere sul nuovo materiale. Abbiamo scelto di lasciare “aperto” l’ep, visto che avevamo altri brani nello stesso spirito, quindi passibile di aggiunte ed eventuali modifiche. Inoltre sentivo di non aver detto tutto, che l’ep era una versione parziale di quanto avevo in testa. Alla fine mi sono reso conto di aver scritto i testi solo in inglese e non avevo l’esigenza di trasporli in italiano. D’altronde il suono e gli arrangiamenti hanno un respiro più internazionale. In futuro ci saranno altri brani in italiano, lingua che adoro e in cui mi piace scrivere.
Il Sanscrito torna sia nel vostro nome sia nel titolo, TAT TVAM ASI…
Insieme al nostro primo chitarrista ho “inventato” il nome Bludeepa, unendo blu e deepa, sostantivo femminile sanscrito che ha a che fare con la luce. A lui, insegnante di religioni e filosofie dell’india, ho chiesto come si esprime il concetto tu sei (tutto) questo in Sanscrito. Tat tvam asi è rimasto parcheggiato nella mia testa fino ad oggi. Mai come in queste undici tracce la musica e le parole sono state influenzate dallo scorrere della vita: relazioni, nascite, morti, fallimenti, successi.
Ascoltando più volte le vostre canzoni mi sono sembrate poco in sintonia con la cultura musicale veloce di oggi, quella dell’eterno “skip”. Non pensate che in un mondo distratto come questo sia un problema?
Ci vuole tempo per rendersi veramente conto di qualsiasi cosa, sia essa un rapporto, un film, un libro, una canzone. Ci è stato detto più volte che ad ogni ascolto delle nostre canzoni si scopre qualcosa di nuovo. Sì, oggi potrebbe essere un problema. Ma cosa ci possiamo fare? Le canzoni ci rappresentano pienamente. Esprimiamo ciò che siamo. Non vivendo noi in modo distratto, la distrazione del mondo (ma solo una parte, in verità) nell’ascoltare non rappresenta una preoccupazione. Ci sono comunque molte persone e comunità musicali che hanno voglia, pazienza e attenzione verso la musica come la nostra… oltre l’eterno “skip”, oltre il mainstream, buono per un ascolto di sottofondo riempitivo.
Hai conosciuto Fernanda Pivano, a cui hai fatto ascoltare le tue prime cose…
L’ho incontrata a Roma, vicino alla John Cabot University a Trastevere, mentre ero con un amico. L’abbiamo fermata per strada chiedendo di poterla incontrare per fare quattro chiacchiere. Lei, senza battere ciglio, ci ha fissato giorno ed ora, indicandoci dove viveva, proprio di fronte l’università. Il mercoledì seguente (ricordo ancora il giorno!) siamo andati a trovarla. La sua casa, da lei definita la mia piccola casbah, era piccola ed accogliente e aveva il frigo stracolmo di lattine di Coca-cola. Ci siamo raccontati… io la mia vita e qualche incontro, lei qualcosa della sua e dei suoi amici “stratosferici”. Ernest Hemingway, Bob Dylan, Jack Kerouac, Lawrence Ferlinghetti, Fabrizio De André (praticamente suo fratello), Cesare Pavese. Momenti da brividi. Abbiamo passato l’estate insieme, incontrandoci spesso per parlare, leggerle i miei racconti e farle ascoltare i primi testi messi insieme (quelli che avrebbero costituito L’ETÀ INQUIETA, il nostro primo disco del 2002). E lei, attenta e curiosa, mi ha chiesto particolari sulle liriche per entrarci più dentro. Mi disse che le sfuggiva la metrica ritmica di Velocemente, così io presi la chitarra e la cantai. Fernanda disse: “Ecco, ora ha senso, cantando il testo funziona bene”. Poi siamo andati insieme al cinema, abbiamo cenato a casa di un amico chiacchierando di Genova e della beat generation. Un giorno mi disse che il Centro Sperimentale di Cinematografia intendeva realizzare un documentario su di lei a casa di Tito Schipa Jr. Voleva farmi incontrare il regista e la produzione perché “non si sa mai, se gli fai ascoltare la tua musica… da cosa nasce cosa!”. Un giorno mi segnalò un articolo sul libro Il partigiano Johnny (condividevamo la passione smodata per lo scrittore Beppe Fenoglio); nella stessa occasione mi disse che la PFM avrebbe musicato un suo testo nel nuovo album (Domo Dozo su SERENDIPITY, uscito nel 2000, dove la stessa Pivano fa un intervento alla voce). Aveva una cultura sterminata e una gentilezza infinita, in più possedeva la grandezza delle “poche” persone famose capaci di sedersi con chiunque, ascoltando per confrontarsi.
Altre radici artistiche?
Molti artisti inglesi: Smiths, Beatles, Cure, Depeche Mode, Japan, David Sylvian, David Bowie, Scott Walker, Tears for Fears, U2 (fino a ZOOROPA), Björk. In America? Springsteen, Joni Mitchell, Nine Inch Nails, America, R.E.M., Seattle Sound. In Italia anche Litfiba, Pino Daniele (fino al 1989), Subsonica, Paolo Benvegnù, Lucio Battisti.