MESSAGGI IN CODICE
Codice C è il nome del nuovo progetto che vede protagonisti Danilo Cherni e Gianluca Capitani, rispettivamente tastierista e batterista di D-yes-is e Goblin Rebirth. Il primo omonimo album è prog al 100% tra tempi dispari, melodia, contaminazione e intuizioni felicemente sorprendenti.
Negli anni Settanta era un percorso condiviso: ci si ritrovava in saletta e si iniziava suonando brani di altri artisti, mettendo su un repertorio e andando in giro nei locali. Solo il tempo avrebbe detto se e quando l’idea di andare oltre e di dare vita a un progetto originale sarebbe finalmente emersa, spingendo per uscire a respirare creatività e voglia di stupire. Fortunatamente anche oggi, a volte, il processo si ripete. E così da un’ottima tribute band può nascere un gruppo straordinario. È il caso di Codice C, il nuovo progetto fondato e guidato da Danilo Cherni e Gianluca Capitani. Dal 2008 i due suonano insieme nei D-yes-is, il tributo italiano agli Yes, nelle cui fila militano anche Fabio Pignatelli (basso), Giacomo Anselmi (chitarra) e Frank Corigliano (voce). I cinque musicisti sono entrati talmente in sintonia che hanno pensato di lavorare a una serie di composizioni originali, ovviamente di matrice prog. Sono nati due nuovi brani, Light e Energy, ma nel frattempo la sinergia tra Danilo e Luca si è ulteriormente cementata ed è emersa una nuova direzione, più aperta e imprevedibile, in cui sono confluiti anche i pezzi scritti in precedenza dal solo batterista. Nascono quindi i Codice C, il cui primo omonimo album, pubblicato lo scorso anno, è ora distribuito in tutto il mondo dall’etichetta Ma.ra.cash di Massimo Orlandini. Si tratta di un lavoro piacevole e sorprendente al tempo stesso, arricchito dalla presenza di numerosi ospiti (Fabio Pignatelli, Maurizio Perfetto, Giacomo Anselmi, Frank Marino, Damiano Borgi, Gianluca Mastrangelo, Greta Di Iacovo, Giulia Stefani, David Pieralisi, Emanuel Elisei, Marco Caudai, Adriano Lo Giudice, Claudio Corvini, Francesco Marquez, Marco Dea, Daniele Marcelli, Andrea Casali, Alessandro Canini, Frank Corigliano) ma che non perde mai il filo conduttore, dettato dalla voglia di contaminare tipica del progressive rock, pur senza eccedere in tecnicismi fini a sé stessi. Codice C ha esordito dal vivo il 27 luglio al Kill Joy Summer Festival nella formazione a quattro costituita da Cherni, Capitani, Casali e Anselmi, dimostrando di essere un gruppo a tutti gli effetti. E ora, voce ai protagonisti: Danilo (DC) e Gianluca (GC)…
Quarantotto minuti, nove brani – quattro a testa più uno firmato a sei mani insieme a Marco Caudai… in pratica vi siete divisi equamente le tracce dell’album: quali sono state le sorprese più piacevoli che vi siete fatti a vicenda?
DC: La cosa che mi ha stupito di più è stata scoprire che Luca oltre ad essere un grande batterista è anche un eccellente compositore, che riesce a produrre riff e melodie con estrema facilità.
GC: Dal mio punto di vista più che di sorprese parlerei di conferme. Eravamo consapevoli di essere in sinergia, ma la conferma è arrivata in studio, lavorando sulle rispettive idee, senza quasi mai il bisogno di pianificare in anticipo il da farsi. Le melodie, gli arrangiamenti, la scelta dei suoni, tutto si è incastrato in modo assolutamente naturale e spesso si è concretizzato in pochi minuti.
Nonostante nell’album siano contenuti episodi differenti tra loro, la sensazione è comunque di una grande unità di intenti. Qual è il filo conduttore nella musica di Codice C?
GC: Entrambi affondiamo le radici nel prog, ma durante i nostri ormai tanti anni di musica abbiamo avuto la fortuna di poter esplorare qualsiasi stile, dal pop alla classica, dal jazz alla musica elettronica, dal metal alla musica latinoamericana, dal liscio alla fusion… Questa forte contaminazione credo si possa riassumere nella musica di Codice C.
DC: Il filo conduttore è sicuramente l’emozione: in studio spesso ci ritroviamo a guardarci con gli occhi umidi e la gola bloccata, prima di lasciarci andare in un grande abbraccio.
Avete coinvolto ben otto cantanti, i quali si sono occupati anche di scrivere i testi delle canzoni.
Come li avete selezionati e come avete lavorato insieme a loro?
GC: Sì, nel disco ci sono otto cantanti, ma uno di loro sono io, quindi sette ospiti super graditi. L’idea è stata mia: si tratta di splendidi ragazzi, grandi voci del panorama rock e metal italiano, artisti che girano l’europa con le loro band e che ho visto crescere anagraficamente e artisticamente. Ciascuno di loro è dotato di un timbro uni- co e di una spiccata personalità. Sono stati fantastici nel mettersi a completa disposizione e nello scrivere dei testi davvero intensi. Il concetto di “condivisione” è un’idea che amiamo e che ci rende felici.
DC: La cosa più strana è che tutti i cantanti, pur essendo totalmente liberi di scrivere, hanno prodotto dei testi che affrontano lo stesso argomento, ovvero la morte in tutte le sue sfaccettature. Per questo motivo l’album potrebbe considerarsi quasi un concept.
I primi due brani, Light e One Day More, partono lungo un percorso ma poi prendono in contropiede l’ascoltatore con delle svolte improvvise tra RIO e musica elettronica. Una delle cose che ho apprezzato di più dell’album è che con Codice C l’imprevisto è sempre dietro l’angolo…
GC: Grazie per il complimento! È una nostra caratteristica, nella vita e quindi anche nella musica, cercare di esse- re “dinamici”. A volte serve urlare, altre volte è necessario il silenzio. Le dinamiche credo siano parte fondamentale della vita. Mi diverto anche a dipingere. Quando lo faccio, cerco di riportare sulle tele lo stesso concetto: le emozioni di cui parlava Danilo.
La traccia che avete scelto come singolo, Chemical, con il suo tempo in 11/8 e le sue atmosfere compresse mi ha ricordato i migliori Porcupine Tree…
GC: Sì, in effetti il pensiero è andato un po’ in quella direzione. Adoriamo i Porcupine Tree e personalmente adoro Gavin Harrison come batterista. Abbiamo scelto Chemical proprio per la sua atmosfera intensa e leggermente “mistica”, anche se nell’economia del pezzo è predominante la melodia, quindi ritmicamente si tratta di un 11/8 mascherato da 4/4.
A proposito, cosa rappresentano i famigerati tempi dispari per un compositore di musica rock?
DC: Per me rientrano sempre nella voglia di fare cose diverse e nella libertà del prog e dintorni di poterli utilizzare, non con una finalità esclusivamente tecnica ma principalmente espressiva. GC: I tempi dispari sono un “must” per chi vuole sperimentare; in particolare nel rock progressivo rappresentano da sempre una tappa obbligata. Personalmente sono cresciuto ascoltando e studiando Phil Collins, Bill Bruford, Neil Peart… Quindi anche nel Codice C non potevano mancare i tempi in sette, undici e via dicendo…
70 Days, con la straordinaria voce di Gianluca Mastrangelo, ha un incedere ondeggiante e molto particolare, tra King Crimson e David Bowie…
GC: 70 days è nata da un groove di batteria. Durante le pause mi capita spesso di “giocare” con i tamburi. Un giorno stavo suonando dei groove funk con l’hi-hat in ottavi e ho deciso di mettere il piede in mezzo, tra hi-hat e doppio pedale, in modo tale da poterli suonare simultaneamente.
Quale strumentazione avete utilizzato nel dettaglio per registrare i vari brani?
DC: Per quanto mi riguarda ho usato principalmente i due moduli Receptor, ma anche cose più vintage, come alcuni expander degli anni Ottanta e Novanta o il Virus Indigo. E poi il Max Cal organ Mc-1.
GC: Utilizzo da circa quindici anni batterie TAMA e piatti UFIP. Nello specifico, una Starclassic Performer B/B con cassa 22”, tom 8”, 10”, 12”, timpani 16” e 18”, vari rullanti. Piatti: ride customizzato da 20”, vari crash serie Bionic, Experience e Blast, una serie creata da me in collaborazione con il grande Damiano Tronci.