La luce in fondo al tunnel
«Peter è un artista incredibilmente versatile: sa essere sorprendente sia come paroliere che come compositore» Mats Johansson
A DUE ANNI DI DISTANZA DAL SORPRENDENTE IN AMAZONIA, ARRIVA IL SECONDO CAPITOLO DELLA COLLABORAZIONE TRA GLI ISILDURS BANE DI MATS JOHANSSON E IL LEADER DEI VAN DER GRAAF GENERATOR, PETER HAMMILL: IN DISEQUILIBRIUM.
Fin dai tempi di MIND VOLUME 1 (1997), il capolavoro che ha conquistato il popolo del prog dagli orizzonti aperti, l’idea musicale del tastierista e compositore svedese Mats Johansson era chiara: lavorare in totale libertà, utilizzando strumentazione e stilemi compositivi provenienti non solo dalla musica classica ma anche dall’ala più intransigente del progressive rock. Dopo un lungo periodo di pausa all’inizio del nuovo millennio, la band ha ripreso a produrre nel 2017, traendo linfa prima dall’ispirazione melodica e testuale di Steve Hogarth (COLOURS NOT FOUND IN NATURE) e poi da quella di Peter Hammill (Van der Graaf Generator). Proprio la collaborazione con Hammill, che nel 2019 ha portato alla pubblicazione del sorprendente IN AMAZONIA, viene ora riproposta nel nuovo album IN DISEQUILIBRIUM: un lavoro corale che merita di essere approfondito, oltre che con l’alchimista Johansson, anche con Luca Calabrese, membro del gruppo e trombettista di valore internazionale e, naturalmente, con il leggendario Peter Hammill. Il tutto sotto l’occhio vigile di Thomas Olsson, manager della band.
1/LA MENTE
Mats Johansson: musica, tastiere
Quando hai capito che volevi proseguire la collaborazione con Peter Hammill anche nel nuovo album? Diciamo che ho iniziato a comporre avendo in mente Peter e l’idea è diventata via via sempre più consistente. Al tempo stesso ero convinto che, dopo aver realizzato IN AMAZONIA, la col- laborazione con Peter non si fosse ancora esaurita. Così dopo un po’ di tempo ho pensato a come avrebbe potuto interagire con il nuovo materiale. Ero sicuro che i suoi testi e le sue melodie vocali avrebbero potuto completare e in un certo senso portare a un nuovo livello le composizioni, perché Peter scrive dei testi e delle melodie bellissime. Gli abbiamo chiesto se avrebbe voluto partecipare alla realizzazione del nuovo album e, con nostra grande gioia, Peter ha risposto di sì, o meglio, come era già accaduto con IN AMAZONIA, ha detto che quantomeno ci avrebbe provato.
Puoi descrivere il tuo processo compositivo? Quanto spazio viene effettivamente lasciato a disposizione degli altri musicisti? La struttura delle composizioni e le composizioni in sé non subiscono mai grandi variazioni: fondamentalmente tutta la parte musicale è già definita attraverso una serie di tracce di tastiere e sintetizzatori. Gradualmente gli altri strumenti rimpiazzano alcune delle tracce di tastiere e il sound inizia a cambiare, per arrivare a un mix tra strumenti elettronici e acustici. Prima di tutto insieme ad Axel Croné, che sa suonare un sacco di cose, cerchiamo di definire il tipo di strumentazione che alla fine caratterizzerà l’intero album e, in questo caso, la collaborazione con Peter. Gli altri musicisti vengono coinvolti in un secondo momento: se il loro contributo è in grado di convivere con le melodie vocali e con i testi, allora viene integrato all’interno delle composizioni. Voglio comunque che i vari musicisti contribuiscano in modo personale, senza adattarsi a un sound predeterminato.
A questo punto, vengono realizzati vari editing e varie versioni di ogni brano, prima di passare al brano successivo. Dopo di che il processo ricomincia di nuovo, come una giostra musicale, fino a quando non si arriva all’arrangiamento definitivo.
Come è nata l’idea di coinvolgere Pat Mastelotto come batterista nel nuovo album al posto di Kjell Severinsson?
Ci conoscevamo da tanti anni, avendo suonato insieme parecchie volte durante i vari eventi denominati IB Expos [Pat è presente come ospite anche su IN AMAZONIA, ndr]. È un batterista fantastico, sia quando suona la batteria acustica che le percussioni elettroniche. Si tratta di una scelta che è stata fatta alla luce del sole, perché Kjell, che suona con noi dal 1976, ha deciso di prendersi una pausa. È stato proprio lui a suggerirci di contattare Pat. Ovviamente le parti di batteria sono state registrate a distanza, in Texas. Eravamo nel bel mezzo della pandemia e non avevamo scelta.
Qual è stata invece la molla che ti ha portato a contattare Peter Hammill? Sei un fan dei Van der Graaf Generator? Il contesto musicale degli IB, almeno apparentemente,
Peter Hammill (Ealing, 5 novembre 1948).
è completamente differente rispetto a quello dei VDGG…
Mi piace la musica dei Van der Graaf Generator, come mi piace quella di Henry Cow, Kurt Weill, Phillip Glass e tanti altri. Dopo tutto, c’è un filo che lega le canzoni alle storie e a un tipo di linguaggio musicale un po’ teatrale, in cui credo che Peter possa trovarsi particolarmente a suo agio. È stato il nostro produttore, Thomas Olsson, a pensare che una collaborazione sarebbe potuta essere interessante, e si è adoperato per fare in modo che si concretizzasse.
Il mondo delle tastiere e dei sintetizzatori permette di attingere a un bacino di suoni quasi infinito. Come riesci a definire le timbriche da utilizzare in ogni brano?
Penso che sia una questione di esperienza pregressa, sulla base dei suoni che mi piacciono e del mio subconscio. Non mi metto a pensare più di tanto quando creo o scelgo i suoni, utilizzo un processo ormai collaudato nel tempo. Il lavoro più corposo viene fatto nella fase successiva, quando vengono effettuati gli edits e applicati gli effetti. Mi piace avere come base di partenza dei suoni squillanti, inoltre utilizzo principalmente sintetizzatori monofonici ed effetti a pedale per chitarra. Ad esempio, se devo suonare un accordo, lo registro tre volte adottando filtri e settaggi differenti prima di scegliere la versione definitiva. I sintetizzatori sono delle fantastiche macchine astratte.
Nella seconda suite sei accreditato ai “palloni d’acqua”… di cosa si tratta? Si tratta esattamente di quello che è scritto: palloni pieni d’acqua che sono stati registrati varie volte con un microfono e poi processati attraverso diversi tipi di software.
L’inizio della seconda suite, Gently, si muove su atmosfere più pacate rispetto alla prima suite, e anche la parte finale è quasi rassicurante, una specie di inno che ricorda un brano come Wondering dei Van der Graaf Generator. È stata determinante l’influenza di Peter? Sicuramente Peter è un artista incredibilmente versatile e sa essere sorprendente sia come scrittore di testi che come compositore. Abbiamo lavorato in parallelo su entrambe le suite, senza paletti o indicazioni preventive. Quando poi si attiva il processo creativo, preferisco non farmi domande e non analizzare nel dettaglio quello che sta accadendo.
«Questa collaborazione è la più riuscita a cui mi sono dedicato finora» Peter Hammill
Immagino che IN DISEQUILIBRIUM sia stato concepito durante il lockdown. In che modo questa situazione eccezionale ha influenzato la realizzazione dell’album?
L’album è stato registrato in sei nazioni diverse, anche se gran parte del materiale è stato registrato in Svezia. Non è stato semplice, nonostante ormai in ambito musicale sia diventata praticamente la norma lavorare a distanza, più che altro perché nel nostro caso bisognava decidere attentamente quando registrare cosa, dato che ogni volta che aggiungi qualcosa, inevitabilmente vai a modificare il sound della traccia e quindi condizioni il processo di registrazione.
Ero presente al festival di Gouveia nel 2019, quando avete riproposto per intero IN AMAZONIA con Peter. Ho avuto la sensazione che l’album suonasse in modo molto diverso dal vivo e che sarebbe interessante poter riascoltare quella performance: hai mai pensato di pubblicare un live ufficiale?
Indubbiamente c’è una grande differenza tra un album e un concerto degli Isildurs Bane: quando assisti a un nostro concerto potresti anche non riuscire a riconoscere i brani che vengono eseguiti. Del resto l’obiettivo in ambito live è proprio quello di dare vita a qualcosa di nuovo, lasciando spazio all’improvvisazione e cercando di sorprendere l’ascoltatore. Abbiamo registrato il concerto di Gouveia e sono passati molti anni dall’ultima volta che abbiamo pubblicato un album dal vivo, ma non sono sicuro di avere voglia e tempo di lavorarci, senza dimenticare che anche Peter dovrebbe essere d’accordo su una eventuale pubblicazione. Tutto è possibile, ma per il momento niente è stato ancora definito.
2/LA LEGGENDA
Peter Hammill: voce, chitarra, testi, melodie
Quanto erano definiti i demo che ti ha sottoposto Mats e sui quali hai composto le linee vocali e i testi? Direi molto definiti in termini di struttura, anche se erano ancora assenti tutte le varie sovraincisioni. Fondamentalmente la struttura dei brani non è cambiata dopo il mio intervento, cosa che invece era accaduta in alcuni punti di IN AMAZONIA. C’è giusto una sezione cantata a cappella che non era prevista, alla fine della prima suite.
Come è cambiato il tuo modo di elaborare le tue parti sulla musica di Mats rispetto al disco precedente? È stato più facile o più difficile? Nonostante le varie composizioni fossero praticamente definite nel momento in cui ho iniziato a lavorarci, non avevo ancora idea di come sarebbero state collegate tra loro e in quale ordine. Inoltre stavolta mi è stata sottoposta l’opera completa, mentre con IN AMAZONIA i vari brani mi erano stati proposti uno alla volta. Ho iniziato a cercare di capire dove potessi effettivamente intervenire e dove invece era meglio che mi facessi da parte: gli IB sono un gruppo formidabile dal punto di vista strumentale e non volevo assolutamente monopolizzare lo spazio sonoro. Con il passare del tempo, Mats e Thomas mi hanno gradualmente convinto ad ampliare il mio raggio d’azione e siamo arrivati alla versione definitiva.
Questa volta oltre a cantare hai suonato anche la chitarra elettrica… Dopo l’esperienza di IN AMAZONIA mi sono reso conto che le composizioni di Mats sono imprevedibili, tra svolte improvvise e quasi totale assenza di ripetizioni. Perciò ho pensato che il modo migliore per entrarci dentro fosse suonarci sopra, piuttosto che limitarmi a cantarci sopra. E l’ho fatto sia con il pianoforte che con la chitarra.
Ti aspettavi che le tue parti di chitarra fossero incluse nel mix definitivo? Chiariamo subito una cosa: Samuel Hällkvist è molto più bravo di me come chitarrista e non volevo certo sembrare offensivo o inopportuno, ma ho pensa
che in questo caso il mio stile sparta- no sulla chitarra ritmica si sposasse bene con il suo modo di suonare. Comunque non ho assolutamente insistito e ho lasciato la decisione se includere le mie parti di chitarra o meno nell’album a Mats. Gli ho semplicemente detto “questo è quanto, fanne pure ciò che vuoi”.
Il testo di Gently termina in modo ottimistico e positivo: “Lascia l’oscurità del passato dietro di te, perché domani sarà un giorno migliore”. Un messaggio inconsueto da parte tua… Insolitamente ottimista, direi…
Hai spiegato che il motivo per cui hai deciso di realizzare un album di cover come IN TRANSLATION fosse dovuto principalmente al fatto di non sentirti pronto a lavorare a qualcosa di nuovo durante il lockdown. Come si colloca IN DISEQUILIBRIUM in questo scenario? Quando ho iniziato a lavorare sui brani degli IB avevo già ultimato da tempo il lavoro per IN TRANSLATION, quindi i testi di IN DISEQUILIBRIUM sono i primi testi originali che ho scritto dall’inizio della pandemia. Quello che è accaduto non poteva non influenzarto mi. La frase che hai citato, “Leave the darkness of the past behind you / because tomorrow will be a better day” è un grido di speranza per un futuro migliore, qualunque esso sia e in qualunque momento sia destinato a manifestarsi. Una frase decisamente emozionante da cantare!
La frase “Going gently into the night” sembra una replica alla celebre poesia di Dylan Thomas “Do not go gentle into that good night”…
Sì, è proprio così. Anche il tunnel di luce che è presente nel testo è un riferimento al tunnel verso il quale dovremmo dirigerci alla fine della nostra vita. Siamo sospesi tra la vita e la morte.
Onestamente, quanto ti sei divertito a lavorare a questi due album con gli IB? Possiamo considerarli parte integrante del tuo percorso artistico? Senza dubbio mi sono divertito e spesso sono rimasto piacevolmente sorpreso. Li reputo assolutamente parte integrante del resto della mia produzione, si tratta probabilmente della collaborazione più riuscita a cui mi sono dedicato finora.
3/L’ITALIANO
Luca Calabrese: tromba
Come e quando sei entrato a far parte degli Isildurs Bane?
All’inizio di questa storia c’è un trio di improvvisazione, Metamorfosi Trio, che avevo creato nel 1999 coinvolgendo il contrabbassista Franco Feruglio e il chitarrista Christian Saggese. Con questo trio avevamo registrato qualche brano che risultava interessante e questa registrazione, che non è mai stata pubblicata ufficialmente, ci ha aperto le porte a una prima collaborazione con Isildurs Bane in formato trio: Mats Johansson alle tastiere e synth, Jonas Christophs alla chitarra elettrica e Kjell Severinsson alla batteria. In pratica abbiamo formato un doppio trio per musicare L’evento, uno spettacolo che vedeva coinvolte due realtà scolastiche in una sorta di gemellaggio fra Asti e Halmstad. Era il 2001 e da lì si è avviata una collaborazione che ha portato alla pubblicazione nel 2003 di MIND VOL. 3: un album che non ha goduto di molto successo da parte della critica, ma che per noi è stato fondamentale, soprattutto perché ci ha fatto scoprire il nostro potenziale espressivo. Quando dico nostro, intendo sia nostro individualmente che nostro dal punto di vista collettivo. Dopo MIND VOL. 3, per quanto mi riguarda c’è stata solo una piccola partecipazione in MIND VOL. 4: piccola ma grande nel ricordo, dato che ho registrato la mia tromba nello studio dei Roxette. Il consolidamento dei rapporti fra IB e Metamorfosi è arrivato nel 2005 con il primo IB Expo. Per un paio di edizioni è esistito ancora il marchio Metamorfosi, che poi pian piano è sparito lasciando spazio ai nomi dei singoli musicisti. Il mio nome continuava ad apparire fra quelli degli ospiti, uno spazio importante, che dava tanta visibilità, ma la mia ambizione, forse perché amo i progetti collettivi, era far parte del gruppo, entrare a far parte della famiglia a pieno titolo. Questo significava sapersi mettere al servizio del gruppo, saper sacrificare il proprio ego o perlomeno riuscire a conciliarlo con le esigenze degli altri. Io mi sento parte di IB da sempre, ma è solo da qualche anno che ho un ruolo ufficiale in seno al gruppo e quando è capitato di collaborare con altri artisti (es. Richard Barbieri, Stefano Panunzi, Grice, Judy Dyble & David Longdon), è stato appagante vedere citare nei credits “Isildurs Bane” di fianco al mio nome. È come una bandiera. Dopotutto IB è il mio popolo. E oggi è una famiglia allargata sia in termini di Paesi di provenienza che in termini generazionali. IB è un gruppo di in Svezia, ma composto da musici- sti che provengono da Svezia, Italia, Belgio, Danimarca, UK e USA, un gruppo pieno di giovani musicisti meravigliosi fra i quali amo citare Xerxes Andren, Axel Croné e Adam Sass. Questo dimostra una certa lungimiranza e una volontà di far sì che la storia di questo gruppo, nato nel 1976, non si fermi mai ma possa andare avanti per tanti anni ancora.
Quanto è difficile lavorare con gli IB? Da quello che ho capito, il lavoro in studio e la performance live sono due momenti differenti e ben distinti… Ci sono aspetti complicati nel suonare con IB, così come altri molto semplici. La semplicità deriva spesso dal fatto che non ti è richiesto altro che essere ciò che sei, che poi è il mio ideale filosofico per la gestione di un gruppo. Ognuno porta qualcosa di profondamente personale e il tutto viene gestito, miscelato, equilibrato dal gusto in questo caso del nostro Mats Johansson, che è l’autore principale delle parti musicali e, quindi, sorta di art director/producer. Le difficoltà invece le incontri quando hai a che fare con proposte musicali che magari sono un po’ distanti dal tuo modo di pensare e concepire la musica. Anche solo dal tuo modo di essere in quel preciso momento. Fa parte del gioco però, e in certi casi, come nella registrazione di IN DISEQUILIBRIUM, mi sono avvalso delle partiture della sezione orchestrale per trovare un mio spazio. Amo gli spazi solistici ma ho sempre svolto un lavoro d’orchestra, soprattutto nei primi anni della mia carriera artistica e quindi ci sono momenti in cui mi esalto anbase
che suonando parti orchestrali in sezione. Fare parte di un gruppo è anche mettersi al servizio di un’idea e questo è qualcosa che non andrebbe mai dimenticato. Venendo alla seconda parte della tua domanda, suonare su disco e suonare dal vivo sono due esperienze completamente differenti. Molto spesso trovi gruppi che eseguono dal vivo esattamente quello che hanno registrato sull’album. Isildurs Bane ha un’idea diversa in merito. Il prodotto registrato è perfetto, misurato, tagliato a misura come un abito di sartoria. Ma quando ci troviamo per provare per un live, amiamo un po’ tutti l’esperienza di vedere come il materiale dell’album sia in grado di evolversi e di trasformarsi. Cambiano le dinamiche, cambiano gli arrangiamenti, magari ci sono spazi solistici che si aprono per me o per altri che nemmeno erano previsti in fase di registrazione. Nel live tutto acquista una freschezza inaspettata e magari quella frasetta che tu avevi registrato improvvisando su disco diventa una frase importante che tutti si aspettano, un colore che ti ricorda, insieme alle melodie e ai testi, che stai trattando lo stesso materiale, ma che al tempo stesso è diverso, più ricco, più imprevedibile, più divertente.
Puoi raccontare qualcosa su ogni album degli IB a cui hai partecipato? Prima ho citato MIND VOL. 3 (2003): è stato un album sperimentale non solo per ciò che riguarda la musica, ma per- sino per la tecnica con cui è stato realizzato. La banda larga ancora non esisteva, ma la seconda metà dell’album è stata registrata spedendo le tracce digitali masterizzate su diversi Dvd fra la Svezia e l’italia, avanti e indietro, fino al completamento del lavoro. Mats ci inviava dei loop e noi ci lavoravamo nell’home studio di Franco Feruglio. Parte del materiale proveniva anche da registrazioni che avevamo realizzato nella “nostra” casa di Harplinge, lavorando fra salotto e cucina con lo studio mobile di Mats. La prima parte invece era la colonna sonora de L’evento, che come detto aveva rappresentato l’occasione per cui ci siamo riuniti la prima volta. Essendo un disco sperimentale, era normale che la critica lo cassasse un po’, specialmente dopo l’ascolto di MIND VOL. 1 che personalmente ritengo il punto più alto mai raggiunto da IB, nonostante io non facessi ancora parte del gruppo. Il periodo 2003/2005 non mi è sembrato molto positivo e personalmente non amo molto MIND VOL. 4 e MIND VOL. 5: sono un po’ troppo pop per i miei gusti, anche se tutto acquista senso se lo si inserisce nell’ambito delle esperienze e della ricerca. In quegli anni si cercava una strada, la frontline si era arricchita di colori differenti e importanti. Io portavo le mie esperienze jazz, il free jazz, l’improvvisazione, così come il suono caldo e un po’ latino del flicorno, ma la presenza di Christian Saggese con la sua arte chitarristica dava un colore e un calore che non trovi dietro ogni angolo. Se io portavo le esperienze con Cecil Taylor e l’italian Instabile Orchestra, lui portava il suo bagaglio culturale classico che ha arricchito tutti, nessuno escluso. Dopo un lungo silenzio durato oltre dieci anni, gli IB si sono riaffacciati sul mercato discografico con COLOURS NOT FOUND IN NATURE, realizzato in collaborazione con Steve Hogarth: un lavoro che in verità ho amato poco su disco mentre ho adorato live. Devo confessare che ancora oggi guardo con grande emozione il video integrale del set live registrato ad Halmstad nel 2016, piuttosto che ascoltare l’album. Dopo la collaborazione con Steve Hogarth c’è stata la necessità di pubblicare un album solo strumentale, OFF THE RADAR: un lavoro che mi piace molto e che, come spesso accade, piace meno alla critica e forse anche al pubblico, che lo conosce poco. Peccato perché in quell’album è racchiusa molta più essenza di IB rispetto ad altri titoli del gruppo. La svolta vera però è arrivata grazie all’incontro con
Peter Hammill. Apprezzo da sempre la verve compositiva di Mats Johansson, ma con IN AMAZONIA prima e ora con IN DISEQUILIBRIUM ammetto di essere spesso rimasto sorpreso per le scelte melodiche o armoniche, oppure per i suoni dei synth… penso che Mats sia un compositore fantasioso e visionario che con Peter Hammill al fianco è cresciuto ulteriormente in termini di qualità ed efficacia musicale.
Nel nuovo album la tua tromba sembra essere utilizzata soprattutto per creare un’atmosfera particolare, specialmente all’inizio dei brani… cos’è che ti piace fare di più con il tuo strumento?
Mi piace questa tua osservazione che dà modo di spiegare anche a me stesso alcune cose. Personalmente sono cambiato molto nel corso degli ultimi anni. Suonare con IB mi ha aperto delle strade lavorative a cui non avrei nemmeno mai osato pensare, ma allo stesso tempo mi ha dato la possibilità di esprimermi in modi per me musicalmente nuovi. Il mio suono è cambiato, diventando più rotondo e corposo e sono cambiate anche le mie velleità artistiche. Lavorando con un ensemble come IB ti ritrovi spesso ad affrontare parti di carattere orchestrale, dalle quali a volte sfuggo per andare a crearmi degli spazi espressivi che diano un colore diverso alla musica che si sta interpretando. Amo pensare che, in certi frangenti, la mia tromba, a volte acustica, a volte filtrata da effetti, a volte suonata pensando più a un cello o a un flauto rispetto al suo suono caratteristico, sia in grado di dare un colore più originale e attrattivo al tutto, magari riuscendo a valorizzare delle parti in partenza un po’ più deboli nell’economia di un album. Piccole parti, intermezzi, transizioni: mi piace agire in quel territorio anche perché sto amando sempre di più giorno dopo giorno il suono minimale, l’assenza piuttosto che l’eccesso, facendo mio il detto “less is more”, conosciuto e amato lavorando con un maestro del minimale come Richard Barbieri.
Quindi…
Quindi amo praticamente tutto l’album, e mi sono divertito moltissimo a registrare le mie tracce. Se vuoi sapere dove mi sono emozionato e divertito di più prova ad ascoltare e a scoprire quando la tromba suona all’unisono con la chitarra. Adoro suonare all’unisono con Samuel Hällkvist, così come adoro, durante un live, dividere un solo con lui. È sempre un’esperienza bellissima.