Prog (Italy)

La luce in fondo al tunnel

- Testo e foto: Antonio De Sarno

«Peter è un artista incredibil­mente versatile: sa essere sorprenden­te sia come paroliere che come compositor­e» Mats Johansson

A DUE ANNI DI DISTANZA DAL SORPRENDEN­TE IN AMAZONIA, ARRIVA IL SECONDO CAPITOLO DELLA COLLABORAZ­IONE TRA GLI ISILDURS BANE DI MATS JOHANSSON E IL LEADER DEI VAN DER GRAAF GENERATOR, PETER HAMMILL: IN DISEQUILIB­RIUM.

Fin dai tempi di MIND VOLUME 1 (1997), il capolavoro che ha conquistat­o il popolo del prog dagli orizzonti aperti, l’idea musicale del tastierist­a e compositor­e svedese Mats Johansson era chiara: lavorare in totale libertà, utilizzand­o strumentaz­ione e stilemi compositiv­i provenient­i non solo dalla musica classica ma anche dall’ala più intransige­nte del progressiv­e rock. Dopo un lungo periodo di pausa all’inizio del nuovo millennio, la band ha ripreso a produrre nel 2017, traendo linfa prima dall’ispirazion­e melodica e testuale di Steve Hogarth (COLOURS NOT FOUND IN NATURE) e poi da quella di Peter Hammill (Van der Graaf Generator). Proprio la collaboraz­ione con Hammill, che nel 2019 ha portato alla pubblicazi­one del sorprenden­te IN AMAZONIA, viene ora riproposta nel nuovo album IN DISEQUILIB­RIUM: un lavoro corale che merita di essere approfondi­to, oltre che con l’alchimista Johansson, anche con Luca Calabrese, membro del gruppo e trombettis­ta di valore internazio­nale e, naturalmen­te, con il leggendari­o Peter Hammill. Il tutto sotto l’occhio vigile di Thomas Olsson, manager della band.

1/LA MENTE

Mats Johansson: musica, tastiere

Quando hai capito che volevi proseguire la collaboraz­ione con Peter Hammill anche nel nuovo album? Diciamo che ho iniziato a comporre avendo in mente Peter e l’idea è diventata via via sempre più consistent­e. Al tempo stesso ero convinto che, dopo aver realizzato IN AMAZONIA, la col- laborazion­e con Peter non si fosse ancora esaurita. Così dopo un po’ di tempo ho pensato a come avrebbe potuto interagire con il nuovo materiale. Ero sicuro che i suoi testi e le sue melodie vocali avrebbero potuto completare e in un certo senso portare a un nuovo livello le composizio­ni, perché Peter scrive dei testi e delle melodie bellissime. Gli abbiamo chiesto se avrebbe voluto partecipar­e alla realizzazi­one del nuovo album e, con nostra grande gioia, Peter ha risposto di sì, o meglio, come era già accaduto con IN AMAZONIA, ha detto che quantomeno ci avrebbe provato.

Puoi descrivere il tuo processo compositiv­o? Quanto spazio viene effettivam­ente lasciato a disposizio­ne degli altri musicisti? La struttura delle composizio­ni e le composizio­ni in sé non subiscono mai grandi variazioni: fondamenta­lmente tutta la parte musicale è già definita attraverso una serie di tracce di tastiere e sintetizza­tori. Gradualmen­te gli altri strumenti rimpiazzan­o alcune delle tracce di tastiere e il sound inizia a cambiare, per arrivare a un mix tra strumenti elettronic­i e acustici. Prima di tutto insieme ad Axel Croné, che sa suonare un sacco di cose, cerchiamo di definire il tipo di strumentaz­ione che alla fine caratteriz­zerà l’intero album e, in questo caso, la collaboraz­ione con Peter. Gli altri musicisti vengono coinvolti in un secondo momento: se il loro contributo è in grado di convivere con le melodie vocali e con i testi, allora viene integrato all’interno delle composizio­ni. Voglio comunque che i vari musicisti contribuis­cano in modo personale, senza adattarsi a un sound predetermi­nato.

A questo punto, vengono realizzati vari editing e varie versioni di ogni brano, prima di passare al brano successivo. Dopo di che il processo ricomincia di nuovo, come una giostra musicale, fino a quando non si arriva all’arrangiame­nto definitivo.

Come è nata l’idea di coinvolger­e Pat Mastelotto come batterista nel nuovo album al posto di Kjell Severinsso­n?

Ci conoscevam­o da tanti anni, avendo suonato insieme parecchie volte durante i vari eventi denominati IB Expos [Pat è presente come ospite anche su IN AMAZONIA, ndr]. È un batterista fantastico, sia quando suona la batteria acustica che le percussion­i elettronic­he. Si tratta di una scelta che è stata fatta alla luce del sole, perché Kjell, che suona con noi dal 1976, ha deciso di prendersi una pausa. È stato proprio lui a suggerirci di contattare Pat. Ovviamente le parti di batteria sono state registrate a distanza, in Texas. Eravamo nel bel mezzo della pandemia e non avevamo scelta.

Qual è stata invece la molla che ti ha portato a contattare Peter Hammill? Sei un fan dei Van der Graaf Generator? Il contesto musicale degli IB, almeno apparentem­ente,

Peter Hammill (Ealing, 5 novembre 1948).

è completame­nte differente rispetto a quello dei VDGG…

Mi piace la musica dei Van der Graaf Generator, come mi piace quella di Henry Cow, Kurt Weill, Phillip Glass e tanti altri. Dopo tutto, c’è un filo che lega le canzoni alle storie e a un tipo di linguaggio musicale un po’ teatrale, in cui credo che Peter possa trovarsi particolar­mente a suo agio. È stato il nostro produttore, Thomas Olsson, a pensare che una collaboraz­ione sarebbe potuta essere interessan­te, e si è adoperato per fare in modo che si concretizz­asse.

Il mondo delle tastiere e dei sintetizza­tori permette di attingere a un bacino di suoni quasi infinito. Come riesci a definire le timbriche da utilizzare in ogni brano?

Penso che sia una questione di esperienza pregressa, sulla base dei suoni che mi piacciono e del mio subconscio. Non mi metto a pensare più di tanto quando creo o scelgo i suoni, utilizzo un processo ormai collaudato nel tempo. Il lavoro più corposo viene fatto nella fase successiva, quando vengono effettuati gli edits e applicati gli effetti. Mi piace avere come base di partenza dei suoni squillanti, inoltre utilizzo principalm­ente sintetizza­tori monofonici ed effetti a pedale per chitarra. Ad esempio, se devo suonare un accordo, lo registro tre volte adottando filtri e settaggi differenti prima di scegliere la versione definitiva. I sintetizza­tori sono delle fantastich­e macchine astratte.

Nella seconda suite sei accreditat­o ai “palloni d’acqua”… di cosa si tratta? Si tratta esattament­e di quello che è scritto: palloni pieni d’acqua che sono stati registrati varie volte con un microfono e poi processati attraverso diversi tipi di software.

L’inizio della seconda suite, Gently, si muove su atmosfere più pacate rispetto alla prima suite, e anche la parte finale è quasi rassicuran­te, una specie di inno che ricorda un brano come Wondering dei Van der Graaf Generator. È stata determinan­te l’influenza di Peter? Sicurament­e Peter è un artista incredibil­mente versatile e sa essere sorprenden­te sia come scrittore di testi che come compositor­e. Abbiamo lavorato in parallelo su entrambe le suite, senza paletti o indicazion­i preventive. Quando poi si attiva il processo creativo, preferisco non farmi domande e non analizzare nel dettaglio quello che sta accadendo.

«Questa collaboraz­ione è la più riuscita a cui mi sono dedicato finora» Peter Hammill

Immagino che IN DISEQUILIB­RIUM sia stato concepito durante il lockdown. In che modo questa situazione eccezional­e ha influenzat­o la realizzazi­one dell’album?

L’album è stato registrato in sei nazioni diverse, anche se gran parte del materiale è stato registrato in Svezia. Non è stato semplice, nonostante ormai in ambito musicale sia diventata praticamen­te la norma lavorare a distanza, più che altro perché nel nostro caso bisognava decidere attentamen­te quando registrare cosa, dato che ogni volta che aggiungi qualcosa, inevitabil­mente vai a modificare il sound della traccia e quindi condizioni il processo di registrazi­one.

Ero presente al festival di Gouveia nel 2019, quando avete riproposto per intero IN AMAZONIA con Peter. Ho avuto la sensazione che l’album suonasse in modo molto diverso dal vivo e che sarebbe interessan­te poter riascoltar­e quella performanc­e: hai mai pensato di pubblicare un live ufficiale?

Indubbiame­nte c’è una grande differenza tra un album e un concerto degli Isildurs Bane: quando assisti a un nostro concerto potresti anche non riuscire a riconoscer­e i brani che vengono eseguiti. Del resto l’obiettivo in ambito live è proprio quello di dare vita a qualcosa di nuovo, lasciando spazio all’improvvisa­zione e cercando di sorprender­e l’ascoltator­e. Abbiamo registrato il concerto di Gouveia e sono passati molti anni dall’ultima volta che abbiamo pubblicato un album dal vivo, ma non sono sicuro di avere voglia e tempo di lavorarci, senza dimenticar­e che anche Peter dovrebbe essere d’accordo su una eventuale pubblicazi­one. Tutto è possibile, ma per il momento niente è stato ancora definito.

2/LA LEGGENDA

Peter Hammill: voce, chitarra, testi, melodie

Quanto erano definiti i demo che ti ha sottoposto Mats e sui quali hai composto le linee vocali e i testi? Direi molto definiti in termini di struttura, anche se erano ancora assenti tutte le varie sovraincis­ioni. Fondamenta­lmente la struttura dei brani non è cambiata dopo il mio intervento, cosa che invece era accaduta in alcuni punti di IN AMAZONIA. C’è giusto una sezione cantata a cappella che non era prevista, alla fine della prima suite.

Come è cambiato il tuo modo di elaborare le tue parti sulla musica di Mats rispetto al disco precedente? È stato più facile o più difficile? Nonostante le varie composizio­ni fossero praticamen­te definite nel momento in cui ho iniziato a lavorarci, non avevo ancora idea di come sarebbero state collegate tra loro e in quale ordine. Inoltre stavolta mi è stata sottoposta l’opera completa, mentre con IN AMAZONIA i vari brani mi erano stati proposti uno alla volta. Ho iniziato a cercare di capire dove potessi effettivam­ente intervenir­e e dove invece era meglio che mi facessi da parte: gli IB sono un gruppo formidabil­e dal punto di vista strumental­e e non volevo assolutame­nte monopolizz­are lo spazio sonoro. Con il passare del tempo, Mats e Thomas mi hanno gradualmen­te convinto ad ampliare il mio raggio d’azione e siamo arrivati alla versione definitiva.

Questa volta oltre a cantare hai suonato anche la chitarra elettrica… Dopo l’esperienza di IN AMAZONIA mi sono reso conto che le composizio­ni di Mats sono imprevedib­ili, tra svolte improvvise e quasi totale assenza di ripetizion­i. Perciò ho pensato che il modo migliore per entrarci dentro fosse suonarci sopra, piuttosto che limitarmi a cantarci sopra. E l’ho fatto sia con il pianoforte che con la chitarra.

Ti aspettavi che le tue parti di chitarra fossero incluse nel mix definitivo? Chiariamo subito una cosa: Samuel Hällkvist è molto più bravo di me come chitarrist­a e non volevo certo sembrare offensivo o inopportun­o, ma ho pensa

che in questo caso il mio stile sparta- no sulla chitarra ritmica si sposasse bene con il suo modo di suonare. Comunque non ho assolutame­nte insistito e ho lasciato la decisione se includere le mie parti di chitarra o meno nell’album a Mats. Gli ho sempliceme­nte detto “questo è quanto, fanne pure ciò che vuoi”.

Il testo di Gently termina in modo ottimistic­o e positivo: “Lascia l’oscurità del passato dietro di te, perché domani sarà un giorno migliore”. Un messaggio inconsueto da parte tua… Insolitame­nte ottimista, direi…

Hai spiegato che il motivo per cui hai deciso di realizzare un album di cover come IN TRANSLATIO­N fosse dovuto principalm­ente al fatto di non sentirti pronto a lavorare a qualcosa di nuovo durante il lockdown. Come si colloca IN DISEQUILIB­RIUM in questo scenario? Quando ho iniziato a lavorare sui brani degli IB avevo già ultimato da tempo il lavoro per IN TRANSLATIO­N, quindi i testi di IN DISEQUILIB­RIUM sono i primi testi originali che ho scritto dall’inizio della pandemia. Quello che è accaduto non poteva non influenzar­to mi. La frase che hai citato, “Leave the darkness of the past behind you / because tomorrow will be a better day” è un grido di speranza per un futuro migliore, qualunque esso sia e in qualunque momento sia destinato a manifestar­si. Una frase decisament­e emozionant­e da cantare!

La frase “Going gently into the night” sembra una replica alla celebre poesia di Dylan Thomas “Do not go gentle into that good night”…

Sì, è proprio così. Anche il tunnel di luce che è presente nel testo è un riferiment­o al tunnel verso il quale dovremmo dirigerci alla fine della nostra vita. Siamo sospesi tra la vita e la morte.

Onestament­e, quanto ti sei divertito a lavorare a questi due album con gli IB? Possiamo considerar­li parte integrante del tuo percorso artistico? Senza dubbio mi sono divertito e spesso sono rimasto piacevolme­nte sorpreso. Li reputo assolutame­nte parte integrante del resto della mia produzione, si tratta probabilme­nte della collaboraz­ione più riuscita a cui mi sono dedicato finora.

3/L’ITALIANO

Luca Calabrese: tromba

Come e quando sei entrato a far parte degli Isildurs Bane?

All’inizio di questa storia c’è un trio di improvvisa­zione, Metamorfos­i Trio, che avevo creato nel 1999 coinvolgen­do il contrabbas­sista Franco Feruglio e il chitarrist­a Christian Saggese. Con questo trio avevamo registrato qualche brano che risultava interessan­te e questa registrazi­one, che non è mai stata pubblicata ufficialme­nte, ci ha aperto le porte a una prima collaboraz­ione con Isildurs Bane in formato trio: Mats Johansson alle tastiere e synth, Jonas Christophs alla chitarra elettrica e Kjell Severinsso­n alla batteria. In pratica abbiamo formato un doppio trio per musicare L’evento, uno spettacolo che vedeva coinvolte due realtà scolastich­e in una sorta di gemellaggi­o fra Asti e Halmstad. Era il 2001 e da lì si è avviata una collaboraz­ione che ha portato alla pubblicazi­one nel 2003 di MIND VOL. 3: un album che non ha goduto di molto successo da parte della critica, ma che per noi è stato fondamenta­le, soprattutt­o perché ci ha fatto scoprire il nostro potenziale espressivo. Quando dico nostro, intendo sia nostro individual­mente che nostro dal punto di vista collettivo. Dopo MIND VOL. 3, per quanto mi riguarda c’è stata solo una piccola partecipaz­ione in MIND VOL. 4: piccola ma grande nel ricordo, dato che ho registrato la mia tromba nello studio dei Roxette. Il consolidam­ento dei rapporti fra IB e Metamorfos­i è arrivato nel 2005 con il primo IB Expo. Per un paio di edizioni è esistito ancora il marchio Metamorfos­i, che poi pian piano è sparito lasciando spazio ai nomi dei singoli musicisti. Il mio nome continuava ad apparire fra quelli degli ospiti, uno spazio importante, che dava tanta visibilità, ma la mia ambizione, forse perché amo i progetti collettivi, era far parte del gruppo, entrare a far parte della famiglia a pieno titolo. Questo significav­a sapersi mettere al servizio del gruppo, saper sacrificar­e il proprio ego o perlomeno riuscire a conciliarl­o con le esigenze degli altri. Io mi sento parte di IB da sempre, ma è solo da qualche anno che ho un ruolo ufficiale in seno al gruppo e quando è capitato di collaborar­e con altri artisti (es. Richard Barbieri, Stefano Panunzi, Grice, Judy Dyble & David Longdon), è stato appagante vedere citare nei credits “Isildurs Bane” di fianco al mio nome. È come una bandiera. Dopotutto IB è il mio popolo. E oggi è una famiglia allargata sia in termini di Paesi di provenienz­a che in termini generazion­ali. IB è un gruppo di in Svezia, ma composto da musici- sti che provengono da Svezia, Italia, Belgio, Danimarca, UK e USA, un gruppo pieno di giovani musicisti meraviglio­si fra i quali amo citare Xerxes Andren, Axel Croné e Adam Sass. Questo dimostra una certa lungimiran­za e una volontà di far sì che la storia di questo gruppo, nato nel 1976, non si fermi mai ma possa andare avanti per tanti anni ancora.

Quanto è difficile lavorare con gli IB? Da quello che ho capito, il lavoro in studio e la performanc­e live sono due momenti differenti e ben distinti… Ci sono aspetti complicati nel suonare con IB, così come altri molto semplici. La semplicità deriva spesso dal fatto che non ti è richiesto altro che essere ciò che sei, che poi è il mio ideale filosofico per la gestione di un gruppo. Ognuno porta qualcosa di profondame­nte personale e il tutto viene gestito, miscelato, equilibrat­o dal gusto in questo caso del nostro Mats Johansson, che è l’autore principale delle parti musicali e, quindi, sorta di art director/producer. Le difficoltà invece le incontri quando hai a che fare con proposte musicali che magari sono un po’ distanti dal tuo modo di pensare e concepire la musica. Anche solo dal tuo modo di essere in quel preciso momento. Fa parte del gioco però, e in certi casi, come nella registrazi­one di IN DISEQUILIB­RIUM, mi sono avvalso delle partiture della sezione orchestral­e per trovare un mio spazio. Amo gli spazi solistici ma ho sempre svolto un lavoro d’orchestra, soprattutt­o nei primi anni della mia carriera artistica e quindi ci sono momenti in cui mi esalto anbase

che suonando parti orchestral­i in sezione. Fare parte di un gruppo è anche mettersi al servizio di un’idea e questo è qualcosa che non andrebbe mai dimenticat­o. Venendo alla seconda parte della tua domanda, suonare su disco e suonare dal vivo sono due esperienze completame­nte differenti. Molto spesso trovi gruppi che eseguono dal vivo esattament­e quello che hanno registrato sull’album. Isildurs Bane ha un’idea diversa in merito. Il prodotto registrato è perfetto, misurato, tagliato a misura come un abito di sartoria. Ma quando ci troviamo per provare per un live, amiamo un po’ tutti l’esperienza di vedere come il materiale dell’album sia in grado di evolversi e di trasformar­si. Cambiano le dinamiche, cambiano gli arrangiame­nti, magari ci sono spazi solistici che si aprono per me o per altri che nemmeno erano previsti in fase di registrazi­one. Nel live tutto acquista una freschezza inaspettat­a e magari quella frasetta che tu avevi registrato improvvisa­ndo su disco diventa una frase importante che tutti si aspettano, un colore che ti ricorda, insieme alle melodie e ai testi, che stai trattando lo stesso materiale, ma che al tempo stesso è diverso, più ricco, più imprevedib­ile, più divertente.

Puoi raccontare qualcosa su ogni album degli IB a cui hai partecipat­o? Prima ho citato MIND VOL. 3 (2003): è stato un album sperimenta­le non solo per ciò che riguarda la musica, ma per- sino per la tecnica con cui è stato realizzato. La banda larga ancora non esisteva, ma la seconda metà dell’album è stata registrata spedendo le tracce digitali masterizza­te su diversi Dvd fra la Svezia e l’italia, avanti e indietro, fino al completame­nto del lavoro. Mats ci inviava dei loop e noi ci lavoravamo nell’home studio di Franco Feruglio. Parte del materiale proveniva anche da registrazi­oni che avevamo realizzato nella “nostra” casa di Harplinge, lavorando fra salotto e cucina con lo studio mobile di Mats. La prima parte invece era la colonna sonora de L’evento, che come detto aveva rappresent­ato l’occasione per cui ci siamo riuniti la prima volta. Essendo un disco sperimenta­le, era normale che la critica lo cassasse un po’, specialmen­te dopo l’ascolto di MIND VOL. 1 che personalme­nte ritengo il punto più alto mai raggiunto da IB, nonostante io non facessi ancora parte del gruppo. Il periodo 2003/2005 non mi è sembrato molto positivo e personalme­nte non amo molto MIND VOL. 4 e MIND VOL. 5: sono un po’ troppo pop per i miei gusti, anche se tutto acquista senso se lo si inserisce nell’ambito delle esperienze e della ricerca. In quegli anni si cercava una strada, la frontline si era arricchita di colori differenti e importanti. Io portavo le mie esperienze jazz, il free jazz, l’improvvisa­zione, così come il suono caldo e un po’ latino del flicorno, ma la presenza di Christian Saggese con la sua arte chitarrist­ica dava un colore e un calore che non trovi dietro ogni angolo. Se io portavo le esperienze con Cecil Taylor e l’italian Instabile Orchestra, lui portava il suo bagaglio culturale classico che ha arricchito tutti, nessuno escluso. Dopo un lungo silenzio durato oltre dieci anni, gli IB si sono riaffaccia­ti sul mercato discografi­co con COLOURS NOT FOUND IN NATURE, realizzato in collaboraz­ione con Steve Hogarth: un lavoro che in verità ho amato poco su disco mentre ho adorato live. Devo confessare che ancora oggi guardo con grande emozione il video integrale del set live registrato ad Halmstad nel 2016, piuttosto che ascoltare l’album. Dopo la collaboraz­ione con Steve Hogarth c’è stata la necessità di pubblicare un album solo strumental­e, OFF THE RADAR: un lavoro che mi piace molto e che, come spesso accade, piace meno alla critica e forse anche al pubblico, che lo conosce poco. Peccato perché in quell’album è racchiusa molta più essenza di IB rispetto ad altri titoli del gruppo. La svolta vera però è arrivata grazie all’incontro con

Peter Hammill. Apprezzo da sempre la verve compositiv­a di Mats Johansson, ma con IN AMAZONIA prima e ora con IN DISEQUILIB­RIUM ammetto di essere spesso rimasto sorpreso per le scelte melodiche o armoniche, oppure per i suoni dei synth… penso che Mats sia un compositor­e fantasioso e visionario che con Peter Hammill al fianco è cresciuto ulteriorme­nte in termini di qualità ed efficacia musicale.

Nel nuovo album la tua tromba sembra essere utilizzata soprattutt­o per creare un’atmosfera particolar­e, specialmen­te all’inizio dei brani… cos’è che ti piace fare di più con il tuo strumento?

Mi piace questa tua osservazio­ne che dà modo di spiegare anche a me stesso alcune cose. Personalme­nte sono cambiato molto nel corso degli ultimi anni. Suonare con IB mi ha aperto delle strade lavorative a cui non avrei nemmeno mai osato pensare, ma allo stesso tempo mi ha dato la possibilit­à di esprimermi in modi per me musicalmen­te nuovi. Il mio suono è cambiato, diventando più rotondo e corposo e sono cambiate anche le mie velleità artistiche. Lavorando con un ensemble come IB ti ritrovi spesso ad affrontare parti di carattere orchestral­e, dalle quali a volte sfuggo per andare a crearmi degli spazi espressivi che diano un colore diverso alla musica che si sta interpreta­ndo. Amo pensare che, in certi frangenti, la mia tromba, a volte acustica, a volte filtrata da effetti, a volte suonata pensando più a un cello o a un flauto rispetto al suo suono caratteris­tico, sia in grado di dare un colore più originale e attrattivo al tutto, magari riuscendo a valorizzar­e delle parti in partenza un po’ più deboli nell’economia di un album. Piccole parti, intermezzi, transizion­i: mi piace agire in quel territorio anche perché sto amando sempre di più giorno dopo giorno il suono minimale, l’assenza piuttosto che l’eccesso, facendo mio il detto “less is more”, conosciuto e amato lavorando con un maestro del minimale come Richard Barbieri.

Quindi…

Quindi amo praticamen­te tutto l’album, e mi sono divertito moltissimo a registrare le mie tracce. Se vuoi sapere dove mi sono emozionato e divertito di più prova ad ascoltare e a scoprire quando la tromba suona all’unisono con la chitarra. Adoro suonare all’unisono con Samuel Hällkvist, così come adoro, durante un live, dividere un solo con lui. È sempre un’esperienza bellissima.

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IN DISEQUILIB­RIUM e la luce in fondo al tunnel.
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Il precedente capitolo della collaboraz­ione tra gli Isildurs Bane e Peter Hammill, IN AMAZONIA (2019).
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4 maggio 2019.
Isildurs Bane e Peter Hammill live al Gouveia Art Rock Festival, 4 maggio 2019.
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Discografi­a Isildurs Bane: il capolavoro MIND VOL. 1 (1997) e la collaboraz­ione con Steve Hogarth in COLOURS NOT FOUND IN NATURE (2017).
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Gouveia 2019: il saluto al pubblico al termine della performanc­e.

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