ASSASSINI, INCUBI E CAMALEONTI
GRAZIE ALLA RECENTE OPERA DI REMIX COMPLETATA DA ANDY BRADFIELD E AVRIL MACKINTOSH, FUGAZI HA FINALMENTE INDOSSATO UN ABITO SONORO PIÙ CONFORTEVOLE E APPAGANTE. EPPURE, NONOSTANTE CONTENGA DIVERSI BRANI ESALTANTI E ALL’ASCOLTO TRASMETTA UNA GRANDE ENERGIA, PER I MARILLION RIMARRÀ SEMPRE UNO DEGLI ALBUM PIÙ COMPLICATI E PROBLEMATICI MAI PUBBLICATI.
Avete mai sentito parlare della “sindrome da secondo album”? A detta dei protagonisti, è quella di cui furono vittima i Marillion durante la realizzazione del successore di SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR. Il leggendario primo disco, pubblicato il 13 marzo del 1983, aveva raggiunto la settima posizione delle classifiche inglesi e anche i due singoli estratti dall’album, He Knows You Know e Garden Party, avevano ottenuto ottimi riscontri in termini di vendite (trentacinquesima e sedicesima posizione rispettivamente). Logico quindi che la EMI, con cui il gruppo era sotto contratto, volesse sfruttare il momento positivo e spingesse per immettere al più presto sul mercato nuovo materiale. Il problema era che i Marillion avevano esaurito tutti i brani disponibili. E in più dovevano anche trovare un nuovo batterista…
Priorità ritmica
Se c’era una cosa su cui Steve Rothery (chitarra), Mark Kelly (tastiere), Pete Trewavas (basso) e Derek William Dick, in arte Fish (voce) erano d’accordo, era che ci fosse bisogno di un avvicendamento dietro i tamburi. La sostituzione di Mick Pointer, batterista e membro fondatore del gruppo, era ritenuta prioritaria a tal punto che pochi giorni dopo l’ultima data del tour di SCRIPT… – 18 aprile 1983, Hammersmith Odeon di Londra con Peter Hammill in apertura – una delegazione della band si presentò nel suo appartamento per dargli ufficialmente il benservito. “Mentre tutti gli altri componenti del gruppo avevano fatto dei progressi rispetto agli esordi”, spiega l’allora manager dei Marillion, John Arnison, “Mick non era riuscito a migliorare quasi per niente, rendendo molto complicate le session di registrazione in studio e mettendo a rischio la buona riuscita dei concerti”. Visto lo status del batterista, che aveva dedicato cinque anni della sua vita alla crescita e all’affermazione della band, culminati proprio nella pubblicazione di SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR, non si trattò certamente di una separazione indolore. Mick si prenderà comunque una parziale rivincita dieci anni dopo, quando darà vita agli Arena insieme al tastierista Clive Nolan (Pendragon), ottenendo un buon successo tra gli appassionati di progressive rock.
A dorso di cammello
Per trovare il nuovo batterista, i Marillion si dedicarono immediatamente a una serie di audizioni ai Nomis Studios
di Londra. La voce si sparse rapidamente e in loco si presentarono i musicisti più disparati: anche Woody Woodmansey, storico batterista degli Spiders from Mars di David Bowie, fece un salto per chiedere informazioni, ma venne messo alla porta per ragioni anagrafiche, essendo una decina d’anni più vecchio rispetto agli altri componenti del gruppo. Il percorso di reclutamento si rivelò più lungo e complesso del previsto; anche per questo motivo, quando qualcuno propose il nome dell’ex batterista dei Camel, An
«ANDY WARD ERA UNA PERSONA ADORABILE E CON MOLTA ESPERIENZA. SAPEVAMO CHE STAVA CERCANDO DI SUPERARE UN BRUTTO PERIODO DOPO AVER LASCIATO I CAMEL» (Fish)
dy Ward, la notizia venne accolta con grande entusiasmo dalla band, in particolare da Rothery e Kelly, che erano grandi fan del gruppo inglese. Quello che purtroppo i due non potevano sapere, era che nell’agosto del 1982, alla fine del tour di NUDE, l’abuso prolungato di alcool e droghe aveva spinto Andy a tentare il suicidio, tagliandosi le vene e danneggiandosi anche i tendini dei polsi. Da quando era uscito dall’ospedale, in pratica, non aveva più suonato la batteria. “Era una persona adorabile e aveva anche molta esperienza”, ricorda Fish. “Tutto quello che sapevamo era che stava cercando di tornare in pista dopo aver lasciato i Camel, francamente non ci siamo messi a fare delle ricerche più approfondite. Ci bastava che fosse una brava persona e che suonasse bene il suo strumento. È stata sufficiente una sola prova per decidere: finalmente potevamo ascoltare le parti di batteria dei nostri brani nel modo in cui avremmo sempre voluto che fossero suonate!”. Il coinvolgimento di Andy è immediato e totale: debutto live al Marquee Club il 12 maggio 1983 (per questa data la band utilizzò lo pseudonimo Skyline Drifters), poi il 20 maggio l’esibizione all’old Grey Whistle Test per la BBC – Forgotten Sons con Fish che nel finale mima il gesto di spararsi in bocca con una pistola – e infine il 29 dello stesso mese le riprese per il divertente videoclip di Garden Party. Dopo alcune date outdoor in Germania, Danimarca, Olanda e UK, e un soggiorno ai Mountain Studios per gettare le basi dei nuovi brani, i Marillion sono carichi e pronti a partire per il loro primo viaggio negli States…
Script for an American Tour
Da Youngstown, Ohio il 14 luglio del 1983, fino a San Francisco il 31 agosto, passando per il Canada: trentuno date programmate, alcune delle quali come band di apertura per gli Utopia di Todd Rundgren, Roger Powell, Ka
I Marillion ai Rockfield Studios, Monmouth, Galles, nel giugno del 1983. Da sinistra a destra: Andy Ward, Mark Kelly, Fish, Steve Rothery e Pete Trewavas.
sim Sulton e Willie Wilcox. Pubblico non sempre favorevole, a volte letteralmente assente (al The Chance di Poughkeepsie si contano solo sei presenze). A Toronto lo stesso giorno in cui suonano i Marillion, dall’altra parte della città sono di scena gli Asia e Fish commenta dal palco: “Chissà quanto si stanno rompendo le palle quelli che sono andati a vederli”. Ma il problema vero è un altro e si chiama Andy Ward. Le condizioni fisiche e mentali del batterista peggiorano giorno dopo giorno: lo stress per il tour, l’alcool, la nostalgia di casa e della sua ragazza incidono pesantemente sul suo umore e sulla qualità delle sue performance. Arrivati faticosamente a New York, gli altri quattro musicisti non hanno scelta: Andy viene imbarcato sul primo volo disponibile per l’inghilterra e le restanti dodici date del tour vengono cancellate. Riprende così la caccia al nuovo batterista. Stavolta è il turno di John Marter (Mr Big, Alaska di Bernie Marsden,
Voyager) che ha il privilegio di suonare con i Marillion al leggendario festival di Reading nell’agosto del 1983. È sempre Marter a incidere con la band le nuove versioni di Market Square Heroes e Three Boats Down From The Candy che nel gennaio del 1984 finiranno sul lato B del 45 giri di Punch And Judy, che anticipa l’uscita del nuovo disco. Il suo drumming solido ma poco creativo non entusiasma gli altri componenti del gruppo, che però sono costretti a fare di necessità virtù. Anche perché è alle viste un sorprendente ritorno in America: i Marillion hanno infatti l’opportunità di aprire le cinque date dei Rush alla prestigiosa Radio City Hall di New York tra il 18 e il 23 settembre e non c’è tempo per altri avvicendamenti. Purtroppo il soggiorno nella Grande Mela si rivela un’altra cocente delusione: odiati dai fan dei Rush, che si mostrano particolarmente ostili nei loro confronti, e boicottati dalla crew della band canadese che fa di tutto per rendere la vita difficile al gruppo, i cinque musicisti tornano a casa con la coda tra le gambe e l’idea di mettersi ancora una volta alla ricerca di un nuovo batterista.
La terza vittima
In quella che ormai sembra essere una storia “alla Spinal Tap”, le audizioni si succedono freneticamente in vista del concerto del 1° ottobre a Baunatal, in Germania, che verrà trasmesso in diretta radiofonica. Durante il breve soggiorno a New York, si era proposto alla band un giovane batterista americano: Jonathan Mover. Nato a Peabody nel 1963, Mover era cresciuto a Boston, studiando batteria al Berklee College of Music. Estremamente dotato tecnicamente, non si fece problemi a volare a Londra per sostenere le selezioni con il gruppo: la sua conoscenza della produzione dei Marillion era talmente accurata che durante il provino fu lui a correggere gli altri musicisti, rammentandogli alcuni passaggi presenti nelle versioni in studio dei vari brani. Il concerto in Germania è salvo e Jonathan si unisce al gruppo agli Old Mill House Studios, Monmouth, Galles, per contribuire alla composizione e all’arrangiamento dei pezzi destinati al nuovo album. Finalmente alcune canzoni incominciano a prendere forma: viene completato il demo di Punch And Judy e anche per quanto riguarda Assassing si registrano dei passi avanti. “Stilisticamente Jonathan assomigliava un po’ a Simon Phillips”, ricorda Steve Rothery. “Tecnicamente era molto preparato, ma purtroppo aveva un modo di fare un po’ troppo spavaldo e sopra le righe. Questo inevitabilmente lo fece entrare in conflitto con Fish”. Le cose peggiorarono ulteriormente quando i Marillion si spostarono ai vicini Rockfield Studios: “Non mi piaceva per niente il suo stile, era troppo americano”, sottolinea Fish. “Per colpa sua stavamo perdendo di vista il nostro tipico sound da prog band inglese. Non era una questione personale, semplicemente ritenevo che
non fosse il batterista adatto per la nostra musica. Così chiesi di indire una riunione e comunicai agli altri che se Jonathan avesse continuato a suonare con noi avrei lasciato il gruppo”. Ovviamente l’out-out del cantante ebbe l’effetto sperato e Mover fu costretto a fare i bagagli. La falsa partenza con i Marillion non gli impedì comunque di intraprendere una brillante carriera, prima entrando a far parte dei GTR di Steve Hackett e Steve Howe e poi iniziando una lunga collaborazione con Joe Satriani.
L’arrivo di Ian
Di nuovo privi del batterista e con la necessità sempre più impellente di completare e registrare il nuovo materiale: per i Marillion la realizzazione del famigerato secondo album si stava tramutando in un vero e proprio incubo. Per fortuna qualcuno si ricordò il nome di un batterista che avrebbe dovuto partecipare alle prime audizioni per sostituire Mick Pointer, ma che aveva dovuto dare forfait all’ultimo minuto. Si tratta di Ian Mosley (Paddington, 16 giugno 1953), negli ultimi anni al servizio di Steve Hackett e già membro dei Wolf dell’ex Curved
Air Darryl Way. Nonostante qualche perplessità sull’età –
Ian aveva appena compiuto trent’anni – la band diede l’ok a John Arnison per convocarlo ai Rockfield Studios, con l’obiettivo di impiegarlo come turnista per completare la registrazione del nuovo album. L’impatto con i ragazzi fu subito positivo, come ricorda lo stesso Mosley: “Quando arrivai ai Rockfield, la prima cosa che abbiamo fatto è stata cenare tutti insieme, così ho conosciuto
Fish e Mark Kelly. Ho chiesto a Fish cosa fosse successo all’ultimo batterista che avevano avuto e lui mi rispose sempli- cemente ‘Niente, era americano’. Al che io prontamente ho detto: ‘Allora andrai sicuramente d’accordo con mia moglie, è americana’. Ci fu una scintilla nei suoi occhi, evidentemente gli era piaciuta la mia ironia”. Il modo di fare serafico ma al tempo stesso sicuro e determinato di Ian (“ricordava un po’ Clint Eastwood”, affermerà in seguito Fish) oltre alle sue indubbie capacità tecniche, permisero alla band di uscire dall’impasse che si era venuta a creare e riprendere a marciare in maniera più spedita: nel giro di un paio di settimane Assassing e Punch And Judy furono completate e vennero gettate le basi per Emerald Lies e She Chameleon. Il battesimo del palco per Mosley avviene il 27 ottobre alla King’s Hall di Aberystwyth: dei brani che faranno parte del nuovo album, oltre a quelli citati, in scaletta trovano spazio anche delle versioni embrionali di Incubus e Jigsaw, mentre è ancora assente la title-track.
Il vecchio maniero
Il 14 novembre i Marillion si spostano ai Manor Recording Studios, nelle campagne a nord di Oxford, per iniziare finalmente a incidere il loro secondo Lp. L’imponente struttura del XV secolo, di proprietà del proprietario della Virgin, Richard Branson, era organizzata come uno studio residenziale di lusso, dotato di alloggi e ristorante, in modo tale da permettere ai musicisti di soggiornare in loco durante l’intero processo di registrazione ed evitare fastidiosi spostamenti. Dall’inizio degli anni Settanta, ai Manor avevano inciso numerosi artisti di rilievo come Mike Oldfield (TUBULAR BELLS). Gong (FLYING TEAPOT, YOU), Robert Wyatt (ROCK BOTTOM), Tangerine Dream (RUBYCON, RICOCHET), Queen (A DAY AT THE RACES), Lucio Battisti (UNA DONNA PER AMICO), Black Sabbath (BORN AGAIN). A coadiuvare la band c’erano Nick Tauber come produttore (confermato dopo il
successo di SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR) e Simon Hanhart come tecnico del suono. Purtroppo l’estenuante ricerca del nuovo batterista e i vari tour avevano inevitabilmente compromesso la tabella di marcia del gruppo, che si presentò in studio con il nuovo materiale non ancora ultimato al 100%. I musicisti furono quindi costretti a portare avanti l’attività di scrittura e registrazione in parallelo per cercare di sottostare alle scadenze imposte dalla casa discografica. Paradossalmente, la location non fu d’aiuto: le comodità offerte dai Manor, unite alla scarsa lucidità di Tauber, permisero al gruppo di indulgere in attività che avevano poco a che fare con la musica. “Mi ricordo che passavamo un sacco di tempo a giocare a biliardo e a fare ogni tipo di porcheria”, conferma Fish. “La droga era sempre disponibile per tutti, il cibo fantastico… Nick si sentiva sotto pressione, dovendo rispettare le scadenze, ma ormai aveva capito che non ce l’avremmo mai fatta. Questa consapevolezza lo rese mentalmente instabile e poco lucido: a un certo punto ci chiese se fossimo disponibili a trascorrere anche il giorno di Natale in studio!”. Per allentare la pressione, John Arnison pensò di organizzare un mini tour di cinque date tra il 27 e il 31 dicembre, che fu denominato “Farewell to ’83 Tour”, con tanto di Jester vestito da Babbo Natale sulle magliette in vendita ai concerti. Durante il tour Ian Mosley entrò a far parte a tutti gli effetti della band, su richiesta esplicita da parte degli altri quattro componenti.
Swinging London
Il nuovo anno si apre con un vecchio problema per i Marillion: c’è ancora un album da ultimare. Il tempo a disposizione del gruppo ai Manor però è ormai esaurito e così inizia un vero e proprio tour de force londinese, saltando da uno studio all’altro – Odyssey, Wessex, Maison Rouge, Sarm East, Abbey Road, Eel Pie – montando e smontando tutta la strumentazione a ogni cambio di location e spesso lavorando in due studi contemporaneamente. “Iniziavamo a lavorare intorno a mezzogiorno”, ricorda Hanhart, “e non uscivamo prima delle tre o delle quattro di mattina. Non c’erano giorni di vacanza. Quando lavoravamo agli Odyssey mi fermavo a dormire sotto il mixer, era una cosa ridicola”. Nonostante gli sforzi di Hanhart, che si occupò di mixare le tracce il più velocemente possibile ai Wessex Sound Studios di Highbury New Park, nel febbraio del 1984 il gruppo fu costretto ad andare in tour senza aver ancora pubblicato il nuovo album. Per cercare di accelerare i tempi, la EMI decise di coinvolgere anche un altro tecnico del suono/produttore, Tony Platt (AC/DC, Foreigner, Iron Maiden), a cui vennero affidati i mix di Punch And Judy, Incubus e Fugazi, anche se a quanto pare nel disco venne utilizzato solo quello di Incubus. Mentre il tour promozionale per un album che non era ancora uscito proseguiva in maniera inesorabile, i
cinque musicisti si ritrovarono agli Amazon Studios di Liverpool per ascoltare i mix definitivi delle sette tracce che avrebbero fatto parte del lavoro finito. Una volta terminato l’ascolto non eravamo del tutto soddisfatti e così avanzammo alcune proposte per migliorare il bilanciamento dei suoni”, spiega Fish. “Ma ci dissero che ormai non era più possibile modificare nulla, perché il master era già andato in stampa. Ci fu uno scoramento generale, perché non era il disco che avremmo voluto pubblicare. Se FUGAZI fosse stato prodotto in modo più accurato, avrebbe generato molte più reazioni positive di quelle che ricevette all’epoca”. A posteriori, anche Steve Rothery è dello stesso avviso: “FUGAZI non aveva la stessa consistenza di SCRIPT FOR A JESTER’S TE- AR, né dal punto di vista testuale né da quello musicale. Spesso capita di passare anni a scrivere e a suonare le canzoni che poi verranno pubblicate sull’album di debutto e poi di trovarsi improvvisamente a dover realizzare un altro disco in pochi mesi. Ma così vanno le cose e non resta che cercare di fare del proprio meglio. Il secondo album è quasi sempre quello più difficile”.
«AI MANOR STUDIOS PASSAVAMO UN SACCO DI TEMPO A GIOCARE A BILIARDO E A FARE OGNI TIPO DI PORCHERIA» (Fish)