Prog (Italy)

ASSASSINI, INCUBI E CAMALEONTI

- Testo: Paolo Carnelli

GRAZIE ALLA RECENTE OPERA DI REMIX COMPLETATA DA ANDY BRADFIELD E AVRIL MACKINTOSH, FUGAZI HA FINALMENTE INDOSSATO UN ABITO SONORO PIÙ CONFORTEVO­LE E APPAGANTE. EPPURE, NONOSTANTE CONTENGA DIVERSI BRANI ESALTANTI E ALL’ASCOLTO TRASMETTA UNA GRANDE ENERGIA, PER I MARILLION RIMARRÀ SEMPRE UNO DEGLI ALBUM PIÙ COMPLICATI E PROBLEMATI­CI MAI PUBBLICATI.

Avete mai sentito parlare della “sindrome da secondo album”? A detta dei protagonis­ti, è quella di cui furono vittima i Marillion durante la realizzazi­one del successore di SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR. Il leggendari­o primo disco, pubblicato il 13 marzo del 1983, aveva raggiunto la settima posizione delle classifich­e inglesi e anche i due singoli estratti dall’album, He Knows You Know e Garden Party, avevano ottenuto ottimi riscontri in termini di vendite (trentacinq­uesima e sedicesima posizione rispettiva­mente). Logico quindi che la EMI, con cui il gruppo era sotto contratto, volesse sfruttare il momento positivo e spingesse per immettere al più presto sul mercato nuovo materiale. Il problema era che i Marillion avevano esaurito tutti i brani disponibil­i. E in più dovevano anche trovare un nuovo batterista…

Priorità ritmica

Se c’era una cosa su cui Steve Rothery (chitarra), Mark Kelly (tastiere), Pete Trewavas (basso) e Derek William Dick, in arte Fish (voce) erano d’accordo, era che ci fosse bisogno di un avvicendam­ento dietro i tamburi. La sostituzio­ne di Mick Pointer, batterista e membro fondatore del gruppo, era ritenuta prioritari­a a tal punto che pochi giorni dopo l’ultima data del tour di SCRIPT… – 18 aprile 1983, Hammersmit­h Odeon di Londra con Peter Hammill in apertura – una delegazion­e della band si presentò nel suo appartamen­to per dargli ufficialme­nte il benservito. “Mentre tutti gli altri componenti del gruppo avevano fatto dei progressi rispetto agli esordi”, spiega l’allora manager dei Marillion, John Arnison, “Mick non era riuscito a migliorare quasi per niente, rendendo molto complicate le session di registrazi­one in studio e mettendo a rischio la buona riuscita dei concerti”. Visto lo status del batterista, che aveva dedicato cinque anni della sua vita alla crescita e all’affermazio­ne della band, culminati proprio nella pubblicazi­one di SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR, non si trattò certamente di una separazion­e indolore. Mick si prenderà comunque una parziale rivincita dieci anni dopo, quando darà vita agli Arena insieme al tastierist­a Clive Nolan (Pendragon), ottenendo un buon successo tra gli appassiona­ti di progressiv­e rock.

A dorso di cammello

Per trovare il nuovo batterista, i Marillion si dedicarono immediatam­ente a una serie di audizioni ai Nomis Studios

di Londra. La voce si sparse rapidament­e e in loco si presentaro­no i musicisti più disparati: anche Woody Woodmansey, storico batterista degli Spiders from Mars di David Bowie, fece un salto per chiedere informazio­ni, ma venne messo alla porta per ragioni anagrafich­e, essendo una decina d’anni più vecchio rispetto agli altri componenti del gruppo. Il percorso di reclutamen­to si rivelò più lungo e complesso del previsto; anche per questo motivo, quando qualcuno propose il nome dell’ex batterista dei Camel, An

«ANDY WARD ERA UNA PERSONA ADORABILE E CON MOLTA ESPERIENZA. SAPEVAMO CHE STAVA CERCANDO DI SUPERARE UN BRUTTO PERIODO DOPO AVER LASCIATO I CAMEL» (Fish)

dy Ward, la notizia venne accolta con grande entusiasmo dalla band, in particolar­e da Rothery e Kelly, che erano grandi fan del gruppo inglese. Quello che purtroppo i due non potevano sapere, era che nell’agosto del 1982, alla fine del tour di NUDE, l’abuso prolungato di alcool e droghe aveva spinto Andy a tentare il suicidio, tagliandos­i le vene e danneggian­dosi anche i tendini dei polsi. Da quando era uscito dall’ospedale, in pratica, non aveva più suonato la batteria. “Era una persona adorabile e aveva anche molta esperienza”, ricorda Fish. “Tutto quello che sapevamo era che stava cercando di tornare in pista dopo aver lasciato i Camel, francament­e non ci siamo messi a fare delle ricerche più approfondi­te. Ci bastava che fosse una brava persona e che suonasse bene il suo strumento. È stata sufficient­e una sola prova per decidere: finalmente potevamo ascoltare le parti di batteria dei nostri brani nel modo in cui avremmo sempre voluto che fossero suonate!”. Il coinvolgim­ento di Andy è immediato e totale: debutto live al Marquee Club il 12 maggio 1983 (per questa data la band utilizzò lo pseudonimo Skyline Drifters), poi il 20 maggio l’esibizione all’old Grey Whistle Test per la BBC – Forgotten Sons con Fish che nel finale mima il gesto di spararsi in bocca con una pistola – e infine il 29 dello stesso mese le riprese per il divertente videoclip di Garden Party. Dopo alcune date outdoor in Germania, Danimarca, Olanda e UK, e un soggiorno ai Mountain Studios per gettare le basi dei nuovi brani, i Marillion sono carichi e pronti a partire per il loro primo viaggio negli States…

Script for an American Tour

Da Youngstown, Ohio il 14 luglio del 1983, fino a San Francisco il 31 agosto, passando per il Canada: trentuno date programmat­e, alcune delle quali come band di apertura per gli Utopia di Todd Rundgren, Roger Powell, Ka

I Marillion ai Rockfield Studios, Monmouth, Galles, nel giugno del 1983. Da sinistra a destra: Andy Ward, Mark Kelly, Fish, Steve Rothery e Pete Trewavas.

sim Sulton e Willie Wilcox. Pubblico non sempre favorevole, a volte letteralme­nte assente (al The Chance di Poughkeeps­ie si contano solo sei presenze). A Toronto lo stesso giorno in cui suonano i Marillion, dall’altra parte della città sono di scena gli Asia e Fish commenta dal palco: “Chissà quanto si stanno rompendo le palle quelli che sono andati a vederli”. Ma il problema vero è un altro e si chiama Andy Ward. Le condizioni fisiche e mentali del batterista peggiorano giorno dopo giorno: lo stress per il tour, l’alcool, la nostalgia di casa e della sua ragazza incidono pesantemen­te sul suo umore e sulla qualità delle sue performanc­e. Arrivati faticosame­nte a New York, gli altri quattro musicisti non hanno scelta: Andy viene imbarcato sul primo volo disponibil­e per l’inghilterr­a e le restanti dodici date del tour vengono cancellate. Riprende così la caccia al nuovo batterista. Stavolta è il turno di John Marter (Mr Big, Alaska di Bernie Marsden,

Voyager) che ha il privilegio di suonare con i Marillion al leggendari­o festival di Reading nell’agosto del 1983. È sempre Marter a incidere con la band le nuove versioni di Market Square Heroes e Three Boats Down From The Candy che nel gennaio del 1984 finiranno sul lato B del 45 giri di Punch And Judy, che anticipa l’uscita del nuovo disco. Il suo drumming solido ma poco creativo non entusiasma gli altri componenti del gruppo, che però sono costretti a fare di necessità virtù. Anche perché è alle viste un sorprenden­te ritorno in America: i Marillion hanno infatti l’opportunit­à di aprire le cinque date dei Rush alla prestigios­a Radio City Hall di New York tra il 18 e il 23 settembre e non c’è tempo per altri avvicendam­enti. Purtroppo il soggiorno nella Grande Mela si rivela un’altra cocente delusione: odiati dai fan dei Rush, che si mostrano particolar­mente ostili nei loro confronti, e boicottati dalla crew della band canadese che fa di tutto per rendere la vita difficile al gruppo, i cinque musicisti tornano a casa con la coda tra le gambe e l’idea di mettersi ancora una volta alla ricerca di un nuovo batterista.

La terza vittima

In quella che ormai sembra essere una storia “alla Spinal Tap”, le audizioni si succedono freneticam­ente in vista del concerto del 1° ottobre a Baunatal, in Germania, che verrà trasmesso in diretta radiofonic­a. Durante il breve soggiorno a New York, si era proposto alla band un giovane batterista americano: Jonathan Mover. Nato a Peabody nel 1963, Mover era cresciuto a Boston, studiando batteria al Berklee College of Music. Estremamen­te dotato tecnicamen­te, non si fece problemi a volare a Londra per sostenere le selezioni con il gruppo: la sua conoscenza della produzione dei Marillion era talmente accurata che durante il provino fu lui a correggere gli altri musicisti, rammentand­ogli alcuni passaggi presenti nelle versioni in studio dei vari brani. Il concerto in Germania è salvo e Jonathan si unisce al gruppo agli Old Mill House Studios, Monmouth, Galles, per contribuir­e alla composizio­ne e all’arrangiame­nto dei pezzi destinati al nuovo album. Finalmente alcune canzoni incomincia­no a prendere forma: viene completato il demo di Punch And Judy e anche per quanto riguarda Assassing si registrano dei passi avanti. “Stilistica­mente Jonathan assomiglia­va un po’ a Simon Phillips”, ricorda Steve Rothery. “Tecnicamen­te era molto preparato, ma purtroppo aveva un modo di fare un po’ troppo spavaldo e sopra le righe. Questo inevitabil­mente lo fece entrare in conflitto con Fish”. Le cose peggioraro­no ulteriorme­nte quando i Marillion si spostarono ai vicini Rockfield Studios: “Non mi piaceva per niente il suo stile, era troppo americano”, sottolinea Fish. “Per colpa sua stavamo perdendo di vista il nostro tipico sound da prog band inglese. Non era una questione personale, sempliceme­nte ritenevo che

non fosse il batterista adatto per la nostra musica. Così chiesi di indire una riunione e comunicai agli altri che se Jonathan avesse continuato a suonare con noi avrei lasciato il gruppo”. Ovviamente l’out-out del cantante ebbe l’effetto sperato e Mover fu costretto a fare i bagagli. La falsa partenza con i Marillion non gli impedì comunque di intraprend­ere una brillante carriera, prima entrando a far parte dei GTR di Steve Hackett e Steve Howe e poi iniziando una lunga collaboraz­ione con Joe Satriani.

L’arrivo di Ian

Di nuovo privi del batterista e con la necessità sempre più impellente di completare e registrare il nuovo materiale: per i Marillion la realizzazi­one del famigerato secondo album si stava tramutando in un vero e proprio incubo. Per fortuna qualcuno si ricordò il nome di un batterista che avrebbe dovuto partecipar­e alle prime audizioni per sostituire Mick Pointer, ma che aveva dovuto dare forfait all’ultimo minuto. Si tratta di Ian Mosley (Paddington, 16 giugno 1953), negli ultimi anni al servizio di Steve Hackett e già membro dei Wolf dell’ex Curved

Air Darryl Way. Nonostante qualche perplessit­à sull’età –

Ian aveva appena compiuto trent’anni – la band diede l’ok a John Arnison per convocarlo ai Rockfield Studios, con l’obiettivo di impiegarlo come turnista per completare la registrazi­one del nuovo album. L’impatto con i ragazzi fu subito positivo, come ricorda lo stesso Mosley: “Quando arrivai ai Rockfield, la prima cosa che abbiamo fatto è stata cenare tutti insieme, così ho conosciuto

Fish e Mark Kelly. Ho chiesto a Fish cosa fosse successo all’ultimo batterista che avevano avuto e lui mi rispose sempli- cemente ‘Niente, era americano’. Al che io prontament­e ho detto: ‘Allora andrai sicurament­e d’accordo con mia moglie, è americana’. Ci fu una scintilla nei suoi occhi, evidenteme­nte gli era piaciuta la mia ironia”. Il modo di fare serafico ma al tempo stesso sicuro e determinat­o di Ian (“ricordava un po’ Clint Eastwood”, affermerà in seguito Fish) oltre alle sue indubbie capacità tecniche, permisero alla band di uscire dall’impasse che si era venuta a creare e riprendere a marciare in maniera più spedita: nel giro di un paio di settimane Assassing e Punch And Judy furono completate e vennero gettate le basi per Emerald Lies e She Chameleon. Il battesimo del palco per Mosley avviene il 27 ottobre alla King’s Hall di Aberystwyt­h: dei brani che faranno parte del nuovo album, oltre a quelli citati, in scaletta trovano spazio anche delle versioni embrionali di Incubus e Jigsaw, mentre è ancora assente la title-track.

Il vecchio maniero

Il 14 novembre i Marillion si spostano ai Manor Recording Studios, nelle campagne a nord di Oxford, per iniziare finalmente a incidere il loro secondo Lp. L’imponente struttura del XV secolo, di proprietà del proprietar­io della Virgin, Richard Branson, era organizzat­a come uno studio residenzia­le di lusso, dotato di alloggi e ristorante, in modo tale da permettere ai musicisti di soggiornar­e in loco durante l’intero processo di registrazi­one ed evitare fastidiosi spostament­i. Dall’inizio degli anni Settanta, ai Manor avevano inciso numerosi artisti di rilievo come Mike Oldfield (TUBULAR BELLS). Gong (FLYING TEAPOT, YOU), Robert Wyatt (ROCK BOTTOM), Tangerine Dream (RUBYCON, RICOCHET), Queen (A DAY AT THE RACES), Lucio Battisti (UNA DONNA PER AMICO), Black Sabbath (BORN AGAIN). A coadiuvare la band c’erano Nick Tauber come produttore (confermato dopo il

successo di SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR) e Simon Hanhart come tecnico del suono. Purtroppo l’estenuante ricerca del nuovo batterista e i vari tour avevano inevitabil­mente compromess­o la tabella di marcia del gruppo, che si presentò in studio con il nuovo materiale non ancora ultimato al 100%. I musicisti furono quindi costretti a portare avanti l’attività di scrittura e registrazi­one in parallelo per cercare di sottostare alle scadenze imposte dalla casa discografi­ca. Paradossal­mente, la location non fu d’aiuto: le comodità offerte dai Manor, unite alla scarsa lucidità di Tauber, permisero al gruppo di indulgere in attività che avevano poco a che fare con la musica. “Mi ricordo che passavamo un sacco di tempo a giocare a biliardo e a fare ogni tipo di porcheria”, conferma Fish. “La droga era sempre disponibil­e per tutti, il cibo fantastico… Nick si sentiva sotto pressione, dovendo rispettare le scadenze, ma ormai aveva capito che non ce l’avremmo mai fatta. Questa consapevol­ezza lo rese mentalment­e instabile e poco lucido: a un certo punto ci chiese se fossimo disponibil­i a trascorrer­e anche il giorno di Natale in studio!”. Per allentare la pressione, John Arnison pensò di organizzar­e un mini tour di cinque date tra il 27 e il 31 dicembre, che fu denominato “Farewell to ’83 Tour”, con tanto di Jester vestito da Babbo Natale sulle magliette in vendita ai concerti. Durante il tour Ian Mosley entrò a far parte a tutti gli effetti della band, su richiesta esplicita da parte degli altri quattro componenti.

Swinging London

Il nuovo anno si apre con un vecchio problema per i Marillion: c’è ancora un album da ultimare. Il tempo a disposizio­ne del gruppo ai Manor però è ormai esaurito e così inizia un vero e proprio tour de force londinese, saltando da uno studio all’altro – Odyssey, Wessex, Maison Rouge, Sarm East, Abbey Road, Eel Pie – montando e smontando tutta la strumentaz­ione a ogni cambio di location e spesso lavorando in due studi contempora­neamente. “Iniziavamo a lavorare intorno a mezzogiorn­o”, ricorda Hanhart, “e non uscivamo prima delle tre o delle quattro di mattina. Non c’erano giorni di vacanza. Quando lavoravamo agli Odyssey mi fermavo a dormire sotto il mixer, era una cosa ridicola”. Nonostante gli sforzi di Hanhart, che si occupò di mixare le tracce il più velocement­e possibile ai Wessex Sound Studios di Highbury New Park, nel febbraio del 1984 il gruppo fu costretto ad andare in tour senza aver ancora pubblicato il nuovo album. Per cercare di accelerare i tempi, la EMI decise di coinvolger­e anche un altro tecnico del suono/produttore, Tony Platt (AC/DC, Foreigner, Iron Maiden), a cui vennero affidati i mix di Punch And Judy, Incubus e Fugazi, anche se a quanto pare nel disco venne utilizzato solo quello di Incubus. Mentre il tour promoziona­le per un album che non era ancora uscito proseguiva in maniera inesorabil­e, i

cinque musicisti si ritrovaron­o agli Amazon Studios di Liverpool per ascoltare i mix definitivi delle sette tracce che avrebbero fatto parte del lavoro finito. Una volta terminato l’ascolto non eravamo del tutto soddisfatt­i e così avanzammo alcune proposte per migliorare il bilanciame­nto dei suoni”, spiega Fish. “Ma ci dissero che ormai non era più possibile modificare nulla, perché il master era già andato in stampa. Ci fu uno scoramento generale, perché non era il disco che avremmo voluto pubblicare. Se FUGAZI fosse stato prodotto in modo più accurato, avrebbe generato molte più reazioni positive di quelle che ricevette all’epoca”. A posteriori, anche Steve Rothery è dello stesso avviso: “FUGAZI non aveva la stessa consistenz­a di SCRIPT FOR A JESTER’S TE- AR, né dal punto di vista testuale né da quello musicale. Spesso capita di passare anni a scrivere e a suonare le canzoni che poi verranno pubblicate sull’album di debutto e poi di trovarsi improvvisa­mente a dover realizzare un altro disco in pochi mesi. Ma così vanno le cose e non resta che cercare di fare del proprio meglio. Il secondo album è quasi sempre quello più difficile”.

«AI MANOR STUDIOS PASSAVAMO UN SACCO DI TEMPO A GIOCARE A BILIARDO E A FARE OGNI TIPO DI PORCHERIA» (Fish)

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 ?? ?? Andy Ward (Epsom, 28 settembre 1952) ha fatto parte dei Camel fino al 1982.
Andy Ward (Epsom, 28 settembre 1952) ha fatto parte dei Camel fino al 1982.
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Scatto promoziona­le con Andy Ward, primavera 1983.
Mark Wilkinson al lavoro nel suo studio grafico nel 1982. Scatto promoziona­le con Andy Ward, primavera 1983.
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 ?? ?? “I am the assassin”: Fish al top del suo personaggi­o scenico.
“I am the assassin”: Fish al top del suo personaggi­o scenico.
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Nei camerini durante il tour di FUGAZI.
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 ?? ?? Nell’altra pagina e in questa, Fish prima del concerto all’alabamahal­le di Monaco (9 maggio 1984).
Nell’altra pagina e in questa, Fish prima del concerto all’alabamahal­le di Monaco (9 maggio 1984).
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 ?? ?? He Knows You Know è stato il primo singolo estratto da SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR, pubblicato nel gennaio del 1983. In alto: la line-up di FUGAZI con Ian Mosley (il primo da sinistra) alla batteria.
He Knows You Know è stato il primo singolo estratto da SCRIPT FOR A JESTER’S TEAR, pubblicato nel gennaio del 1983. In alto: la line-up di FUGAZI con Ian Mosley (il primo da sinistra) alla batteria.
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