NEVER SAY DIE!
(28 settembre 1978)
Universalmente considerato fra gli episodi più deboli nella cospicua discografia del combo di Birmingham, NEVER SAY DIE! risente certamente del periodo complicato che l’intera band sta vivendo. Ozzy addirittura abbandona nel 1977, anche se in seguito si limiterà a considerarla una mera pausa di riflessione, stanti la penosa malattia e il successivo decesso del padre. Sta di fatto che i Sabbath cominciano a lavorare con un nuovo cantante, Dave Walker, il cui timbro caldo e stentoreo aveva caratterizzato tre ottimi dischi dei grandi Savoy Brown, interpreti di un rock blues con venature soul di alto livello (STREET CORNER TALKIN del 1971, HELLBOUND TRAIN e LION’S SHARE, entrambi del 1972), e in seguito transitato anche nei Fleetwood Mac, prestando servizio ai tempi di PENGUIN (1973). È con Walker che il nuovo materiale prende forma embrionale, e questa line-up esegue due brani (il classico War Pigs e l’inedito Junior’s Eyes) nel programma televisivo Look Hear, trasmesso dalla BBC il 6 gennaio 1978. Quando Ozzy manifesta l’intenzione di rientrare nel gruppo (grazie al lavoro da pontiere di Bill Ward) Walker viene rapidamente dimissionato, ma la situazione è ben lungi dall’essere ricomposta, visto che l’irrequieto Ozzy si rifiuta di cantare i testi scritti da Walker. Lo stesso titolo del nuovo album, scelto da Butler, è palesemente sarcastico: “Ci rimettemmo con Ozzy per un ultimo giro di giostra, ma sapevamo tutti che i Sabbath, o almeno QUELLA versione dei Sabbath, erano ormai finiti per sempre”. Il prodotto finito, per quanto decisamen- te atipico, presenta comunque diversi motivi d’interesse: paradossalmente i brani meno riusciti sono proprio quelli in cui il Sabba Nero prova a rimanere nel solco dell’heavy rock. Hard Road, ad esempio, è un ruvido boogie assai derivativo; Shock Wave parte invece con un promettente riff, che inspiegabilmente Iommi non recupera più e, nonostante un atipico assolo velocissimo, quasi da shredder anni 80, lascia un senso di brano incompiuto. Colpiscono invece nel segno Air Dance, melodica e sperimentale, con un bel solo di chitarra e le oblique tastiere dell’ospite Don Airey (prossimo a entrare nei Rainbow di Ritchie Blackmore dopo aver a lungo militato nei Colosseum II); oppure Over To You, dove il pianoforte estetizzante avrebbe potuto giustificarne la mai avvenuta pubblicazione come singolo. La già citata Junior’s Eyes, con le nuove liriche di Geezer in onore del padre di Ozzy, è costruita su un atipico incipit di basso e batteria, tanto da lasciarci supporre che abbia preso forma da una improvvisata studio jam. Sorprendono anche Swinging The Chain, poderoso blues con l’armonica di Jon Elstar in evidenza (tastierista/cantante degli inglesi Highway), affidato all’ugola di Ward, e lo strumentale Break Out, che recupera incredibilmente un forte sapore Vertigo/ Neon d’inizio decennio, sospeso tra Affinity, Ben e Ton Ton Macoute, con atmosfere prog/blues e un inaspettato assolo di sax. Visto che queste due provengono dalle session con Walker, il rifiuto di Ozzy di cantarle è quasi inevitabile. Nel tour successivo, logorati dall’abuso di droghe e da numerosi dissidi interni, i Sabbath verranno sovente messi all’angolo dai Van Halen, band di supporto composta da giovani leoni, affamati e talentuosi.