HEAVEN AND HELL
(21 aprile 1980)
Sempre più capriccioso e inaffidabile, Ozzy abbandona nuovamente i Black Sabbath nel 1979. È solamente la punta dell’iceberg dei problemi in seno al gruppo, con Bill Ward fiaccato dagli abusi e dalla depressione, mentre Geezer Butler, nel bel mezzo di un doloroso divorzio, sembra avere la testa da un’altra parte. Spetta come al solito a Iommi il gravoso compito di tenere saldamente il timone (tanto per far capire, una volta di più, chi sia il vero leader dei guerrieri di Birmingham, con buona pace di coloro che ne identificano il periodo migliore con la presenza di questo o quel cantante). Un incontro a Los Angeles con Ronnie James Dio, acrobatico estensore di corde vocali, reduce da una tormentata esperienza nei Rainbow di Ritchie Blackmore, con tre grandi studio album in carniere, si rivela salvifico per il futuro della band. Inizialmente l’idea è di costituire una nuova entità, ma ben presto, anche su spinta della casa discografica, che non intende rinunciare al fruttifero moniker Black Sabbath, si decide di proseguire sotto quel vessillo. Curioso come la medesima questione si proporrà diverse altre volte negli anni a venire, al momento della pubblicazione di album come BORN AGAIN (1983) e SEVENTH STAR (1986). Alle prime session è lo stesso Ronnie a reinventarsi bassista, proprio come ai tempi degli Elf, suo primo gruppo professionale, dove poi si alternano Geoff Nicholls dei Quartz e Craig Gruber, altro ex Rainbow; alla fine il fedele Geezer ritorna nei ranghi, anche se è tutt’oggi dibattuto se e quanto abbia effettivamente suonato sul disco. L’unica certezza è che l’album che introduce il Sabba Nero al nuovo decennio presenta inequivocabilmente le stimmate del capolavoro. Dio è un cantante abissalmente superiore al pur carismatico Ozzy, e il suo range vocale offre un’infinità di nuove soluzioni a Iom- mi, che oltretutto ha finalmente al suo fianco un altro autore dal pennino magico, e non un mero esecutore. HEAVEN AND HELL saltabecca compiaciuto dalla cadenzata imperiosità della title-track all’oscuro viaggio negli inferi di Children Of The Sea, dal rabbioso incedere di Neon Knights alla preghiera pagana di Lonely Is The Word. È incredibile il progresso stilistico del chitarrista, non più “soltanto” inesorabile architetto di implacabile rifferama, ma anche ineguagliabile cesellatore di solismo ad alta gradazione melodica, come in Die Young, degna della sindrome di Stendhal. È come se il nuovo cantante spingesse Tony a riappropriarsi dello stile più liquido già palesato tra i solchi del sottovalutato TECHNICAL ECSTASY. Nel corso del tour (al quale partecipa come membro esterno Nicholls, in qualità di tastierista, però posizionato sul retro del palco), un esausto Ward getta definitivamente la spugna, venendo avvicendato dal solido picchiatore americano Vinnie Appice, fratello del grande Carmine e già a sua volta al servizio di ottimi gruppi quali Derringer e Axis.